EL
ALAMEIN
resoconto
storico a cura di Andrea e Antonio TALLILLO
Introduzione
Poco dopo le 20.30
del 23 ottobre di settant’anni fa, cominciò una delle più importanti
battaglie della Seconda Guerra Mondiale. Essa finì certamente per segnare
una svolta, di prima grandezza, nel conflitto in Africa Settentrionale e di
conseguenza nell’andamento della Seconda guerra mondiale. Il 1942 fu l’anno
decisivo per le illusioni di vittoria per le nazioni dell’Asse (Germania,
Italia e Giappone), cominciando con la sconfitta giapponese a Midway
nell’Oceano Pacifico nel giugno e proseguendo con la lunga battaglia per
Stalingrado sul fronte russo, che finirà drammaticamente per i reparti
tedeschi solo nel febbraio del 1943.
Come urto fra
masse di carri, El Alamein differì dalle grandi battaglie del fronte
orientale, specie in relazione all’esigua larghezza del fronte, di circa 40
km. Da parte italiana, carristi, bersaglieri, fanti, artiglieri e
paracadutisti diedero il meglio di sè stessi, ma vennero sommersi dalla
superiorità tecnica e materiale dei mezzi della 8^ Armata inglese. Dalla
fine della battaglia in poi, gli Alleati ottennero un forte logoramento
della volontà combattiva italiana e furono in condizione poi di attaccare il
continente europeo. Cosa rimane dei grandiosi progetti di chi scatenò la
vasta e dolorosissima guerra, in quel lembo di deserto torrido che si
affaccia su di un mare limpido come pochi altri ? Un silenzio rarefatto,
quasi magico per chi abbia letto o ascoltato il racconto di chi partecipò
alle tre battaglie di El Alamein. Il tempo ha posto un velo quasi d’oblio,
pure se gli uomini vi hanno eretto tre grandi sacrari : alleato, tedesco ed
italiano.
Ora che El Alamein
è diventata un’apprezzata località vacanziera, il paesaggio giallo-ocra,
appena punteggiato da qualche arbusto verdastro, è animato da molti turisti
ed è possibile visitare questa capsula temporale con uno spirito nuovo.
Percorrendo la litoranea da Alessandria, il primo che s’incontra è il
cimitero di guerra alleato, con le sue lunghe file di lapidi, mentre il
sacrario tedesco si leva, severo come una fortezza, su di un’altura in
faccia al mare. E’ in pietra grigia ed ha pesanti porte di bronzo che
immettono in un cortile circolare, mentre il sacrario italiano si
caratterizza per il suo aspetto mediterraneo : una torre ottagonale di
travertino bianco, con una grande vetrata interna che lascia passare
liberamente il sole.
Rimane da
ricordare a chi è più giovane l’enorme contributo di valore e sacrificio di
moltissimi soldati, marinai ed aviatori, che da ambo le parti soffrirono il
peso di questa tremenda battaglia nelle sabbie del deserto egiziano. Molti
di essi, noti ed ignoti, riposano ancora sotto ad esse, anche fuori dai
Sacrari.
Vogliamo ricordare
quel che significa El Alamein, anche noi modellisti, nel nostro piccolo, con
le nostre realizzazioni in scala. Fu una battaglia che costò molto anche in
termini di vite umane, tra caduti, feriti e dispersi ai 13.560 inglesi e del
Commonwealth, si affiancano i 18.000 italo- tedeschi. Questo lungo articolo
è nato nella sua ossatura ancora nel 2006, ma di recente lo abbiamo ripreso
in mano in occasione della mostra storico-modellistica tenutasi al Circolo
Ufficiali di Verona sull’argomento. Rimasti impressionati dall’approccio
nient’affatto pregiudiziale degli studenti di due licei veronesi ai risvolti
umani della battaglia, non volendo che lo scritto vada perso o poco
utilizzato, lo presentiamo al Sito, ampliato, perché rimanga a disposizione
di chiunque voglia saperne un pò di più, senza la pretesa di aggiungere
qualcosa d’inedito alla copiosa documentazione rintracciabile. Uno dei
compiti del modellista “anni 2000” secondo noi è anche quello di divulgare
quel che si è studiato, per curiosità o passione per la Storia, non importa,
ma sempre ai fini di realizzare una replica corretta il più possibile. In
questo senso un Sito Internet è la versione più tecnologica e duratura della
antica bottiglia col messaggio dentro : qualcuno, speriamo giovane e
curioso, passerà su queste pagine prima o poi e potrà avere un’idea più
completa di quel che fu El Alamein, perlomeno dal punto di vista
storico-tecnico. Ma non sottovalutiamo neanche i modellisti meno esperti,
chissà che non imparino che la seconda guerra mondiale non cominciò nel 1944
in Normandia, il che purtroppo verrebbe facilmente da credere osservando i
tavoli delle mostre nazionali. Le parti successive riguarderanno infatti un
compendio dei kits ed accessori disponibili sul mercato, così chi vuole,
senza attendere il centenario, si potrà preparare.
Un grosso grazie
di tutto cuore a Saverio Radogna, che non ha esitato a spronarci ed
arruolarci ancora una volta per quest’avventura – un po’ insolita ma
senz’altro più utile delle solite recensioni…
Andrea ed Antonio Tallillo
Il
territorio conteso
Per quasi tre
anni, l’Africa Settentrionale fu teatro di violenti combattimenti tra il
Regio Esercito Italiano, al quale si unirono il famoso corpo di spedizione
tedesco DAK ed altri reparti, contro reparti inglesi, truppe dell’allora
Impero Britannico, Alleati e, per ultimi gli americani ma in Tunisia.
La parte
occidentale della Libia era detta allora Tripolitania, quella orientale
Cirenaica, tra esse stava la Sirtica, la parte interna delle tre zone aveva
il nome generico di Fezzan. Alle zone lambite dal Mar Mediterraneo, la
“gefara” sabbiosa o il fine pietrisco, il “serir” della Cirenaica, seguiva
dopo qualche decina di chilometri una zona montagnosa, il Gebel, largo 80 –
100 km e seguivano un territorio decisamente pre-desertico ed infine il
Sahara vero e proprio. La Sirtica, una nuda tavola di terra brunastra, manca
della zona montuosa e così dalle strisce di dune che coronano le spiagge si
passa ad un susseguirsi di territori pre-desertici. La Piccola Sirte, bassa
e sabbiosa, era costellata di “sebche” (lagune) prima del mare. Lungo le
coste, c’erano dei terreni lavorabili, con attività agricole abbastanza
fiorenti, sul Gebel, dove c’è più acqua, si avevano produzioni agricole
costanti. Da parte libica, il profilo economico era basso, uniche attività
rilevanti erano quella agricola e pastorizia, nonché un po’ d’artigianato.
La grafia dei siti
è molto cambiata, ma nei testi si possono trovare delle costanti, come Ain
(sorgente) – Alam (segnale) – Bab (pista) – Bir (cisterna) – Bu (pozzo) –
Buerat (pozzetto) – Dahar (dosso) – Deir (conca) – Garet o Qaret (collina) –
Gebel (monte) – Maaten (sorgente) – Marabut (tomba di un santone) – Marsa
(approdo) – Naqb (pozzo) – Sania (oasi) – Scegga (crepaccio) – Sghifet
(corridoio, passaggio) – Sidi (signore) – Tell (dosso) – Trigh (pista) –
Uadi (letto asciutto di torrente o corso d’acqua) – Umm (madre).
Nel complesso, un
terreno facile per gli attacchi e poco adatto alla difesa, prevalendo le
zone sabbiose, di sabbia finissima, biancastra come cipria, nella Sirte
nella Marmarica, sotto alla quale comunque dopo pochi centimetri c’erano
lastroni di pietra e sopra al quale era già molto trovare il driff, ovvero
ciuffi d’erba molto secca. Ci si poteva appoggiare solo su modesti rilievi
isolati, in genere spogli ed alti mediamente 80-100 metri, ad eccezione
delle alture a ridosso della Depressione di El Qattara, che arrivano a
150-200 metri. Ai ben pochi punti di riferimento naturali se ne aggiunsero,
col tempo, diversi artificiali, come pietre o fusti vuoti a osteggiare le
piste, relitti di mezzi o carcasse d’aeroplani e così via. Il più famoso era
il carro armato inglese rovesciato dalla strada in forte discesa tagliata
nella roccia, al costone di Sollum, nello Uadi Khof, sul quale, a beneficio
della propaganda, era stata tracciata a vernice bianca la famosa (ma
erronea) scritta “Carro americano, equipaggio inglese, pillola italiana”.
Le truppe
britanniche amarono dare un nome di casa ad alcuni particolari siti, come il
“Marble Arch” che era l’Ara dei Fileni, “Knightsbridge” a sud-ovest di
Tobruk, “King’s Cross” l’incrocio della Via Balbia con la strada per El Adem,
“Piccadilly Circus” una piazzetta circolare a sud di Sidi Barrani, vicino
alla grande base di Bir Enda, con tanto di Eros fatto di latte di petrolio,
“Charing Cross” a Mars Matruh. Da parte italiana, sono registrati pochi
casi, il più famoso è la storpiatura di Qaret el Hileimat (collina delle
tortore) che dai paracadutsti lombardi del V Battaglione della Divisone
Folgore era comunemente chiamata “La carretta dj bei matt”. La zona a sud
del Ruweisat, attorno alla quale si combattè a fine agosto 1942, risultava
assomigliante all’Italia meridionale nei rilievi aerei ed era attraversata,
per il lungo, da due piste parallele, antichissime carovaniere dirette da
Alamein all’Oasi di Maghra e chiamate dai tedeschi Pista Whisky e Pista
Chianti. (vennero poi le piste Schnaps e Bier…).
Poi, dopo 35 mesi
di guerra, nel deserto tornò la millenaria tranquillità, sui campi di
battaglia restarono le tracce della lotta, ovvero relitti e materiale d’ogni
genere, distrutto o abbandonato, oltre ad innumerevoli banchi di mine da
bonificare e migliaia e migliaia di tombe provvisorie, riordinate solo
alcuni anni più tardi, grazie alla lunga ed indefessa opera di Paolo Caccia
Dominioni.
La
logistica nel deserto
Sino alla
battaglia finale, la guerra africana contrappose solo relativamente piccoli
contingenti, e la bilancia poteva muoversi a favore dell’una o dell’altra
parte a seguito del concentramento di truppe e dell’affluenza dei rinforzi.
I notevoli successi dell’Asse si verificarono sempre in conseguenza
dell’afflusso di rinforzi, anche modesti, mentre appena da parte avversa i
rinforzi furono molto copiosi non ci fu nulla da fare. Le truppe
italo-tedesche soffrivano del fatto d’essere un corpo di spedizione in un
teatro operativo abbastanza isolato, raggiungibile solo via mare o per via
aerea, entrambe le vie di comunicazione erano brevi ma tormentate.
Gli avversari
avevano vie di comunicazione molto più tranquille, ma lunghissime, dunque
poche forze motorizzate potevano decidere le cose. L’organizzazione dei
reparti italiani non era preparata, nonostante i cinegiornali dell’epoca,
per l’uso massiccio di veicoli a motore, così la “guerra di rapido corso”
era rimasta alla pura dottrina, senza un sufficiente numero di unità
motorizzate. Il Regio Esercito non prese mai in considerazione una
motorizzazione più estesa delle proprie unità perché si giudicava che il
probabile teatro d’operazioni, quello montano europeo, non lo avrebbe
consentito. Con l’avvicinarsi del conflitto, i reparti possedevano un parco
autoveicoli antiquato ed eterogeneo, anche se alcuni modelli erano veramente
all’altezza, mancava comunque un autocarro che avesse delle caratteristiche
di portata adeguate o idoneo a muoversi fuori strada. Si preferì fare
affidamento sulla requisizione di materiale civile, piuttosto che ricorrere
a mezzi più specializzati. Del resto, sulle aliquote di autocarri
disponibili, in media solo 1/3 era destinabile ai rifornimenti veri e
propri.
Nel Mare
Mediterraneo si svolse una lotta priva di clamore ma senza quartiere e
decisiva, quella attorno ai trasporti navali. La nostra entrata in guerra
aveva privato l’impero inglese della sua via, ma convogli vennero
organizzati entrando da Gibilterra per rifornire Malta ma anche l’Egitto ed
il Medio Oriente, mentre quelli italiani dovevano passare da nord verso la
Libia, così il passaggio dei rispettivi convogli diede l’occasione per
accanite battaglie aeronavali. La fatale presenza di Malta, che non si fu
mai capaci di neutralizzare, pesò sempre più decisamente sul passaggio dei
vitali rifornimenti. Il periodo più brutto fu il secondo semestre del 1941,
con 235.814 t. perse (il 22.39 % dei rifornimenti).
Le difficoltà, per
la nostra marina mercantile, erano aumentate anche dalla frettolosa
dichiarazione di guerra, che provocò il blocco in lontani porti stranieri,
non tutti neutrali, di ben 212 navi, per ben 1.209.000 t. di stazza, 136 di
esse erano particolarmente adatte al trasporto di truppe e 46 erano
petroliere. Il tentativo di riparare in porti neutrali o amici riuscì a 176
navi, ma le altre ci mancarono proprio quando erano necessarie.
Comunque, una
volta sbarcato il materiale, poco o tanto che fosse, non era finita :
bisognava portarlo in avanti su di un terreno spesso proibitivo per gli
automezzi, anche su piste appena segnate e sotto minaccia di attacchi aerei.
Il logorio giornaliero, con tappe di 250 – 300 km o anche più, era superiore
ai mezzi recuperabili con il lavoro di officina, e, solo per far marciare
gli automezzi che li portavano, occorrevano 3.000 – 3.300 t. di carburante.
Il problema dei rifornimenti figurava in ogni operazione, ed ispirava i
ritmi delle avanzate, sino a renderle troppo rischiose. Per i reparti
italo-tedeschi era una costante preoccupazione, poiché non vi erano mai le
possibilità di accumulare scorte adeguate. Le condizioni dei trasporti erano
appena sufficienti ad assicurare i bisogni dei reparti, e senza possibilità
di riparare più mezzi, sempre vittime della mancanza di riferimenti e della
sabbia che, come cipria, era capace di infilarsi nel motore e negli
strumenti.
A fine luglio 1942
si era tentato di attivare un treno da 60 t. da Marsa Matruh a Rl Daba, ma
la sua efficienza era incerta e la situazione tornò carente. Da quel periodo
al dicembre, con 119.780 t. di materiale perso, i problemi si avviarono a
non essere più sanabili.
La
mancata presa di Malta
Il problema di
Malta, che, solo con la sua posizione, era una spada di Damocle per l’invio
di rifornimenti al lontano teatro operativo africano, era stato già messo in
evidenza ancora prima dell’entrata in guerra dell’Italia. Un progetto della
Marina prevedeva un bombardamento aereo di molti giorni ed un blocco navale,
seguito da uno sbarco di 21.000 uomini in contemporanea ad un lancio di
paracadutisti. Non se ne fece nulla, credendo di avere già la vittoria in
mano con una semplice offensiva aerea.
Anche un piano
tedesco fu rinviato a dopo la sconfitta dell’Unione sovietica. Dal febbraio
1942, da parte italiana furono interpellati specialisti giapponesi, che
prepararono un serio progetto, dal mese successivo i bombardamenti tedeschi
furono intensificati e si ottenne da Hitler l’approvazione per un piano
congiunto italo-tedesco. Ma da parte italiana si consideravano ancora non
maturi i tempi, anche se gli spaventosi bombardamenti effettuati sull’isola
nell’aprile sembravano aver annientato molte delle sue difese. Si preferì
dare la precedenza alla presa di Tobruk. Comunque, si stava mettendo assieme
un corpo di spedizione di 62.000 uomini, 1.600 veicoli e 700 cannoni,
composto da 7 divisioni italiane ( tra le quali la Folgore di paracadutisti
e l’aviotrasportata La Spezia) e la tedesca 7^ aviotrasportata, oltre al
Reggimento San Marco, un Reggimento speciale di Camicie Nere, il 10°
raggruppamento corazzato italiano, il reparto speciale 66 tedesco, con carri
anche sovietici di preda bellica, arditi ed assaltatori italiani su alianti.
Le truppe di prima ondata sarebbero state 4 battaglioni paracadutisti
italiani e 6 tedeschi, una compagnia controcarro da 47/32 e 4 sezioni di
artiglieria tedesche ed un battaglione guastatori italiano : esse avrebbero
tenuto un tratto di costa in corrispondenza dei punti d’approdo delle unità
provenienti dal mare, il San Marco e le Camicie Nere, reparti speciali e le
avanguardie di 5 divisioni. La seconda ondata contemplava 2 battaglioni
paracadutisti italiani e 3 tedeschi con le armi pesanti, la terza la
divisione italiana Folgore e la 7^ divisione tedesca. Sarebbero stati
coinvolti anche 16 piroscafi, 270 mezzi da sbarco e 50 altri natanti oltre a
forti reparti aerei italiani e tedeschi.
Le dirupate coste
maltesi erano protette da forti postazioni d’artiglieria in caverna, nei
pochi punti più agevoli erano stati sistemate più file di reticolati. Sul
fronte nord-orientale vi erano numerose opere a difesa di Punta Dragonara e
Zanka, su quello sud-orientale c’erano 4 forti e 3 batterie fortificate,
integrate da postazioni in caverna di cannoni e mitragliatrici. Su quello
occidentale, con la costa impervia ed a picco sul mare, vi erano solo
numerosi nidi di mitragliatrici, su quello settentrionale erano fitte le
postazioni di artiglieria attorno alle baie di Mellieha, Calamistra e San
Paolo. Infine, l’interno era diviso dalla Linea Victoria appoggiata ad un
gradino naturale ed una serie ininterrotta di trincee e postazioni, che
dalla baia della Maddalena giungeva sino al colle di Binjemma. Se
nell’aprile 1940 Malta aveva di guarnigione 28.000 uomini, con soli 34
cannoni ed 8 antiaerei, entro il settembre 1941 le difese erano salite a 13
battaglioni con 104 cannoni e 230 cannoni antiaerei (112 pesanti) che a
tutto il 1942 si aggiudicarono l’abbattimento di 236 velivoli dell’Asse.
Carenti erano invece le forze corazzate, ma del resto la fitta rete di
muretti a secco presente sull’isola avrebbe compromesso la loro mobilità.
Dopo alcune esercitazioni a metà giugno 1942 con 4.500 uomini, ed almeno una
esercitazione notturna, ci si trovò con l’Operazione C3 (Herkules per i
tedeschi) prima sospesa il 7 luglio, e poi rinviata “sine die” a fine mese.
Si perse così definitivamente un’occasione che, debitamente sfruttata,
avrebbe forse cambiato la storia della campagna d’Africa settentrionale.
Gli
Aliantisti militari italiani
A differenza della
Luftwaffe, la Regia Aeronautica non mostrò mai grande interesse per le
applicazioni militari del volo a vela e nemmeno le eclatanti imprese
tedesche del 1940-1941 modificarono tale stato di cose. Nel 1942 la
necessità di neutralizzare Malta fece ricordare il volo a vela e lo Stato
Maggiore aeronautico volle costituire un nucleo piloti di alianti militari
con sede a Cameri (No) per trasportare reparti speciali ed intervenire
direttamente nelle operazioni. Un primo bando di reclutamento fece arrivare
80 volontari e furono gettate le basi del 1° NAVSM (Nucleo Addestramento
Volo Senza Motore) con la consulenza tecnica tedesca.
Ma non si
disponeva di materiale di costruzione italiana, perché solo alla fine del
1941 era stata chiesta la realizzazione di alianti di media e grande
capacità. I tempi di progettazione e sviluppo costrinsero la Regia
Aeronautica a ricorrere ancora alla Luftwaffe, che aveva dei mezzi già ben
sperimentati come il DFS 230 d’assalto ed il Gotha 242 da trasporto, ma gli
ordini di 100 DFS e di 10 Gotha vennero poi ridotti. Non si concretizzarono
progetti italiani se non tardi, c’era ancora l’intenzione di proseguire con
lo sviluppo di reparti aliantisti, anche se da tempo l’Operazione C 3 per
Malta era stata annullata. Un secondo bando ottenne buoni risultati, e tra
il novembre ed il dicembre del 1942 oltre 250 allievi confluirono in parte
in un primo corso ‘Aquila’ ed in parte nel secondo ‘Borea’. L’inizio delle
attività non fu facile per il NAVSM, a causa del materiale eterogeneo di
volo (almeno sei tipi diversi di alianti e nove di trainatori, la meta
finale erano le macchine tedesche). A Cameri si cominciò ad usare una decina
di DFS 230 ed i voli continuarono ad Orio al Serio (BG) nell’aprile del
1943, mentre i due soli Gotha restarono a Cameri che aveva pista più lunga.
L’addestramento proseguì in scala ridotta ma anche in notturna, con alcuni
incidenti anche gravi. Il reparto si trasferì poi a Ponte San Pietro (BG) ai
primi di luglio, il che limitò ancora le attività di volo. Il 22 giugno
1943, superando una serie di prove, 11 allievi anziani del Corso Aquila ed
uno degli istruttori conseguirono gli unici brevetti militari effettivi del
reparto, ma gli eventi dell’armistizio bloccarono gli esami di un altro
gruppo d’allievi. Nella sua breve vita il NAVSM aveva totalizzato ben 900
ore di volo su aliante
Tobruk e la corsa verso l’Egitto
Con la presa di
Bir Hackeim e lo sbriciolamento della linea difensiva avversaria, e le forti
perdite inflitte, 165 carri tra il 13 ed il 16 giugno, Rommel decise di
sfruttare la favorevole situazione, proseguendo al più presto con un’azione
dimostrativa delle sue forze corazzate verso oriente, per costringere al
ripiegamento quelle avversarie ed isolare Tobruk. Il 16, i carri dell’Ariete
lasciavano la zona Dahar el Aslagh, puntando prima su Bir el Gobi e da qui
verso est, su largo fronte, per dare la sensazione di voler proseguire verso
Bardia e Sollum. L’azione, condotta assieme ai panzer, fruttò la cattura di
un migliaio di prigionieri, e di abbondanti depositi di carburante e, con il
rapido ripiegamento delle colonne nemiche, che cercavano di arrivare al
confine egiziano tallonate dalle nostre punte avanzate, consentì di poter
facilmente accerchiare la piazza. Il 14, nei pressi di Sidi Rezegh, l’Ariete
fu finalmente sostituita dalla Littorio, unità che nonostante quel che si
può pensare era formata da soldati regolari, non da Camicie Nere. Ciò che
restava delle forze corazzate inglesi cercò di lanciare un attacco decisivo,
ma venne ributtato indietro, con perdite gravissime, fu l’ultimo tentativo
di salvare la città dall’esterno. Il 19, l’Ariete ricevette l’ordine di fare
dietro front e la sera stessa si attestò a sud-est di Tobruk, pronta
all’attacco.
La piazzaforte non
aveva solide mura o ostacoli in acciaio, pochissime casematte in cemento
armato; il fonte a terra comprendeva una fascia perimetrale articolata in
16 capisaldi, con opere campali intervallate di 5-600 mt, con muretti a
secco, riservetta e postazioni, uno schieramento di cannoni, anche per 40
controcarro. I capisaldi erano protetti anteriormente da un fossato
anticarro, distante 25-30 mt. dalle postazioni, largo 3 e profondo 1.5 mt,
con pareti e fondo in calcestruzzo, ma incompleto in vari tratti e da un
reticolato profondo 7-8 mt. davanti alla prima linea. All’interno della
cintura difensiva, altri campi minati e magazzini molto ben forniti, il
tutto sufficiente a mantenere per tre mesi la guarnigione con abbondanti
scorte di acqua e carburante. Essa era costituita da quasi 33.000 uomini,
compresi i reparti affluiti, a volte in cattive condizioni, a seguito della
disfatta di Ain el Gazala e da 50 carri, molti dei quali recuperati
dall’officina riparazioni, una decina interrati. La 2^ Divisione sudafricana
e la 2^ Brigata della 1^ Divisione erano disposte sui settori ovest e
sud-ovest del perimetro, la 9^ Brigata indiana invece era concentrata in
quello sud-ovest. Il resto dei difensori era principalmente la 201^ Brigata
Guardie e 5 reggimenti di artiglieria (25°, 67° e 68° medio calibro, 2° e 3°
campali sudafricani) e reparti minori.
Le forze italiane
si posizionarono attorno El Adem e le nostre artiglierie presero di mira i
settori con i sudafricani, intanto il grosso delle forze d’urto, le due
divisioni Panzer e la 90^ Leggera tedesche ed i resti dell’Ariete si
concentravano verso El Duda, porta di accesso alla città. All’alba del 20,
dopo una brillante azione con lanciafiamme e cariche esplosive del XXXI e
XXXII Battaglione guastatori italiani e del 33° Pionieri tedesco, i carri
penetrarono nella piazzaforte, con l’appoggio dell’artiglieria tedesca
puntarono verso nord-ovest per sorprendere da tergo, con la 90^ Leggera, i
cinque fortini (numerati da 57 a 70) della cinta difensiva sud-orientale che
stavano sbarrando il passo alle fanterie della Trento e Sabratha. Sulle
posizioni indiane era stato sferrato un pesante attacco aereo tedesco. Il
132° carri dell’Ariete passò dal varco creato dalla 15^ Panzer, ed il suo IX
battaglione arrivò al bivio di Sidi Mahmud, coprendo il fianco dei reparti
tedeschi. La 15^ aveva preso in prestito gli “88” Italiani per battere
direttamente i bunker ed allo 8° bersaglieri seguiva il battaglione genio
della Trieste. I battaglioni II/20° della Pavia e II/27° della Brescia
avevano il compito di seguire i carri per eliminare le eventuali residue
resistenze. Le spalle erano garantite anche dalla Littorio, contro di essa
furono lanciate due brigate mobili inglesi e ne venne fuori un serrato
scontro attorno a Sidi Rezegh per buona parte del 20. Dei ponti furono
gettati sui fossati anticarro e vennero aperti varchi nei campi minati,
verso le 11 l’Ariete (due compagnie carri dello VIII e la 1^ del IX
battaglione carri, un battaglione bersaglieri ed uno del 65° della Trieste e
la Trieste (ridotta a 4 carri, 15 blindo, 24 cannoni e 1.500 tra fanti e
bersaglieri) attaccarono a fondo ma l’impeto della prima fu smorzato dalle
postazioni sudafricane. La divisione comunque investì il forte Pilastrino
con l’appoggio della Brescia, mentre la 15^ Panzer faceva lo stesso con il
Solaro, a poca distanza dall’abitato e con il porto e la rada sotto tiro.
Nel pomeriggio le truppe dell’Asse erano ben dentro il perimetro, la
rapidità della mossa, che mirava a dividere in due le difese, era riuscita
alla perfezione. Gli avversari non riuscirono a coordinare i loro
contrattacchi e neanche la temibile artiglieria britannica riuscì ad essere
all’altezza della sua fama. Vennero presi interi agglomerati di magazzini,
specialmente lungo la strada per Derna e tra i forti, contenenti alte
piramidi di birra in scatola (marca Laager), farina bianca e riso in
quantità, biscotti e gallette, the e whisky, latte condensato americano e
marmellata d’arance sudafricana, bacon australiano ed americano, carne in
scatola argentina ed americana, spezzatino sudafricano, agnello in scatola
neo-zelandese e salmone canadese, fino all’estratto di carne Liebig ed alla
frutta sciroppata. Una varietà degna del Bengodi, fatta anche di sigarette e
tabacco nonché tonnellate di corredi d’uniforme in tela kaki, coperte,
maglioni e scarpe. Sintomatico l’argomento scarpe in quanto ai primi reparti
italiani entrati nei magazzini, arrivò notizia di un grandissimo deposito di
“desert boots” , le leggere e comode scarpe scamosciate inglesi, dalla suola
in gomma, ma sembra che solo il 132° artiglieria dell’Ariete sia riuscito a
dotarsene, dopodiché arrivate le sentinelle tedesche non ci fu più nulla da
fare. Nella notte del 20 si combattè contro diversi reparti inglesi che
tentavano delle sortite, intanto si continuava ad occupare magazzini e
depositi, in una lotta contro il tempo le squadre di demolizione avversarie
cominciarono a distruggerne altri. Le navi ancora in uso portarono via
materiale, carri armati e cannoni ma niente truppe, almeno sette verranno
colpite dagli “88” e dai panzer. Verso le 7.30 apparve davanti ad un centro
di fuoco del IV battaglione controcarro Granatieri di Sardegna il capitano
Maxwell a chiedere la resa ed a metà mattina il generale Koppler potè
concordarla con il generale Navarrini. Qualche reparto sudafricano
resistette lo stesso, pochissimi altri (della 201^ Brigata Guardie e del
188° battaglione sudafricano) riuscirono ad aprirsi la strada con le armi in
pugno, verso est. Il grosso della guarnigione, almeno 27.000 uomini, era
stato messo fuori causa e l’85 % del materiale catturato, assieme a 2.000
veicoli, 5.000 t. di viveri e 2.000 di carburante.
Lasciati in città
4 battaglioni per rimettere in efficienza il porto, si ripartì di slancio
verso est, l’Ariete in due colonne miste con obiettivo Ras Madauer e Bir es
Sciausc. Cominciò un inseguimento che incalzò gli avversari per circa 400
km, sino alla fatale zona di El Alamein, raggiunta a fine mese. Il miraggio
di arrivare al Nilo occupando Alessandria, distante solo 130 km dal nuovo
schieramento aveva indotto a superare ogni disagio di quelle roventi
giornate. Alla frontiera egiziana si arrivò però con soli 10 carri e 15
cannoni ed un centinaio di uomini. Il maggiore ostacolo fu Marsa Matruh, un
campo trincerato con sviluppo periferico di quasi 20 km, comprendente un
fronte a terra con tre fossati anticarro contigui, diversi capisaldi e
centri di fuoco, dietro al primo fossato un campo minato con circa 200.000
mine e seri ostacoli anticarro nelle zone est ed ovest, una difesa costiera
ed un sistema difensivo periferico. La guarnigione era il grosso della 2^
Divisione neozelandese, la 10^ indiana, parte della 50^ inglese e della 5^
indiana, nel gruppo a sud la 1^ corazzata con 155 carri, verrà investita da
60 panzer e dalle forze italiane che ammontavano a 44 carri, 240 cannoni e
8.100 uomini. Fu una battaglia abbastanza anomala, da una parte le truppe
dell’Asse, senza avere un’idea precisa dello schieramento inglese,
abbozzarono un piano vago, gli inglesi accettarono lo scontro ma con
l’intento di rompere il contatto appena possibile. Dopo una confusa lotta di
due giorni, sino alle 9.30 del 29, i reparti inglesi infatti ripiegarono su
El Alamein. In Marsa Matruh entrarono i battaglioni X e XI del 7° Reggimento
bersaglieri, ed una compagnia del XXXII Battaglione genio, facendo 6.500
prigionieri. I carri persi dagli inglesi erano stati almeno 60, 20 dei quali
Grant americani.
Alla conquista di
Marsa Matruh partecipò anche la Littorio, articolata su due scaglioni che
avanzarono paralleli, verso il mare con il LI battaglione carri ed
attraverso l’interno con il 12° bersaglieri ed il III Gruppo corazzato
Lancieri di Novara. Verso la sera del 29 era nella zona di El Daba, il
giorno dopo sulle posizioni antistanti la linea di El Alamein, dove rintuzzò
alcuni contrattacchi nemici sul fianco e sul tergo. A quell’epoca, alle
truppe italo-tedesche in arrivo, circa 10.000 uomini, 55 panzer, 70 carri
medi italiani, 600 cannoni, si contrapponevano 15.000 inglesi, con 150
carri, un centinaio di blindo e 400 cannoni. Tra le file italiane, un grande
esempio d’ingegno ed adattabilità era il gruppo esplorante della divisione
Trieste, apparso tre mesi prima in Marmarica e costituito con ottimo
personale volontario ed una dozzina tra camionette e jeeps di preda bellica,
armate in vario modo, 2 trattori inglesi con relativi cannoni da “25 libbre”
e 2 mezzi di rifornimento. La sua grande giornata fu il 27 giugno, quando
reagendo ad un contrattacco inglese che aveva sopraffatto un battaglione
della Trieste, mise fuori combattimento una ventina di mezzi tra Deir el
Dhib ed il costone Sanyet el Miteyryia, prendendo 1.250 prigionieri e molto
materiale.
La prima
battaglia di El Alamein
Con la fine del
giugno 1942, i reparti inglesi cominciarono a sistemarsi nei pressi di El
Alamein, una piccola località sulla costa egiziana, posta a 114 km da
Alessandria, dove il deserto si restringe in un corridoio di 60 km tra il
mare e l’impraticabile depressione di Bab el Qattara, rendendo facile la
difesa. La linea fu predisposta con cura, molti mezzi e forze fresche,
composta da numerose opere campali, con ricoveri in calcestruzzo, estesi
campi minati e reticolati, fino ad essere un serio ostacolo. Le unità
italiane non ebbero neanche un sia pur breve riposo, e non poterono
rifornirsi a fondo dell’imponente bottino di Tobruk; Rommel non intendeva
mollare la presa sull’avversario, ma i suoi reparti erano veramente troppo
provati. Nella tarda notte del 30 giugno, la Littorio, che procedeva su due
colonne, una a nord-est con il LI Battaglione e l’altra a sud-est con il 12°
bersaglieri ed il III Gruppo corazzato Lancieri di Novara, fu fermata a Ker
el Bayat. L’attacco dei reparti dell’Asse, appoggiati da 85 carri (30
italiani), si esaurì contro i 116 della 1^ e 7^ Divisione corazzata inglesi.
Il 3 luglio 1942 passò in continui, logoranti scontri sul ciglione di Alam
Nayil e nell’area conosciuta come Deep Well, dai quali l’Ariete uscì con
forti perdite, 527 uomini, 22 carri su 30, 29 cannoni e 70 automezzi. Ci si
era generosamente battuti per appoggiare un attacco di panzer più a nord,
senza attendere la protezione sul fianco destro della Trieste e finendo per
venire circondati da forze quadruple e quasi sommersi dalla loro potenza di
fuoco. Dopo una strenua resistenza durata tutto il giorno, i resti della
Divisione ripiegarono sulle posizioni della Pavia. La loro riorganizzazione
verrà fatta in fretta, con pochi mezzi che dovranno altrettanto in fretta
tornare in linea. Ad una manovra aggirante in direzione nord-nord-est,
partecipò il 133° Reggimento carri della Littorio, che riportò perdite molto
elevate. La spinta offensiva data dalla presa di Tobruk non c’era più, e gli
avversari reagirono con diversi contrattacchi, tra i più pesanti quello che
cominciò la notte del 9, lungo il mare, contro, l’appena schierato in linea,
7° bersaglieri e la Sabratha, all’alba del 10 esso era progredito verso lo
schieramento dell’artiglieria d’Armata (LII Gruppo da 152/37 e XXXIII Gruppo
da 149/40). Nonostante la tempestiva azione di fuoco della 99° batteria da
149/40 che sparò ad alzo zero, i reparti della 9^ divisione australiana e 1^
sudafricana travolsero la linea degli avamposti italiani, catturando alcuni
pezzi e facendo circa 1.000 prigionieri. Più grave la perdita della
compagnia tedesca d’intercettazione del capitano Seebohm che non potè più
dare preziosi servigi. Tra il mare e la sinistra della Trento, la 164^
Divisione tedesca, arrivata da Creta senza automezzi, un battaglione della
Trieste e gruppi di bersaglieri crearono un nuovo schieramento. Fu deciso
di riprendere di slancio la posizione di Teel el Sheik, meglio nota come
Quota 33, importante per gli osservatori d’artiglieria, incaricando la 3^
compagnia dell’XI battaglione carri della Trieste. I suoi 19 carri
manovrarono allo scoperto tra Quota 24 e 25, finendo subito sotto il tiro
dei controcarro avversari. La carica suicida finì con soli tre carri
superstiti, un carro verrà trovato nel 1949, diventando un monumento nel
cortile del sacrario italiano di El Alamein. Nel pomeriggio, attacchi nemici
nel settore centrale e verso la ferrovia venivano bloccati energicamente
dalla 15^ Panzer e dalla Brescia. Intanto, per gli italo-tedeschi stavano
arrivando ed entrando in linea rinforzi, seppure minimi, con la Bologna in
riorganizzazione nelle retrovie dopo la dura marcia a piedi da Ain el
Gazala, due unità di paracadutisti, la divisione Folgore italiana e la
Brigata Ramcke tedesca e 14 gruppi d’artiglieria. Due giorni dopo, la 9^
australiana rinnovò i suoi attacchi, prendendo di mira Tell el Eisa e
decimando, nei combattimenti che seguirono, la Trieste, la Sabratha ed il 3°
Reggimento artiglieria Celere. La Sabratha non si risolleverà più e
nonostante la bella azione del II battaglione dell’85° a ripresa della
collina, verrà sciolta ufficialmente poco dopo. Il 14, il settore centrale
dello schieramento italiano fu sottoposto ad un massiccio attacco da una
Divisone corazzata e due di fanteria, che investì la Brescia sino a
catturarne lo Stato Maggiore.
Dal 5 al 14, i
carri della Littorio continuarono ad opporsi, assieme ai panzer, ai violenti
contrattacchi inglesi, e nella tarda sera del 15 parteciparono ai duri
combattimenti per la rioccupazione dei capisaldi di Deir el Shein ed El
Ruweisat. Finiti gli scontri locali, ormai l’equilibrio era più favorevole
agli avversari, che sino al 17 fecero perno al Ruweisat, un largo costone
roccioso. Due Brigate australiane (24^ e 26^), con un robusto appoggio di
carri e d’artiglieria, attaccarono decisamente da Quota 16 puntando su Bir
el Maqbuq, alla giunzione tra le divisioni Trento e Trieste e polverizzando
il XXXII battaglione guastatori (su un centinaio di uomini, restarono in
azione 2 ufficiali e 14 uomini). Tra i reparti italiani di fanteria ed
artiglieria investiti, fu messo a malpartito il III battaglione del 61°
della Trento, che venne circondato ma si difese bene con la sua 12^
compagnia, venendo poi sollevato dal VIII battaglione corazzato dei
bersaglieri. Il giorno dopo, alla Trento si affiancarono tre gruppi
d’artiglieria e si preannunciava l’arrivo della divisone Pistoia, che non
aveva mezzi adatti al deserto.
Il 21 reparti
della 5^ Divisione indiana e 2^ neo-zelandese riuscirono a penetrare nelle
linee tedesche, il 22 venne respinto un pericoloso attacco della 4^ Brigata
corazzata inglese e reparti fanteria indiani e neo-zelandesi tra Ruweisat e
Bab el Qattara, la battaglia si estese ma gli attaccanti vennero respinti,
perdendo 146 carri e più di 1.400 uomini. Sempre lo stesso giorno, davanti a
Quota 78 (Deir um el Kawabir) a cavallo Pista dell’Acqua, i paracadutisti
del VII battaglione assistettero ad uno scontro ravvicinato (60 metri di
distanza !) fra i carri del Panzer Regiment 8 ed i Valentine del 46 RTR (23°
B.ta corazzata), il reparto inglese, tra l’altro appena giunto dopo aver
fatto il periplo dell’Africa, perse moltissimi carri e 203 uomini : la zona
tra Quota 78 e 63 divenne “Quota dei carri bruciati”. Per qualche giorno ci
fu tranquillità, poi nella notte del 26, a
nord, la 24^ Brigata indiana e la 69^ inglese sopraffecero il I battaglione
del 361° reggimento tedesco ed il I del 61° della Trento, la situazione
verrà ristabilita dal reggimento d’artiglieria della Trento che distrusse 21
carri alla 1^ Divisone corazzata, altri 49 furono messi fuori combattimento
dalla fanteria della Trento e dal nucleo esplorante della Trieste. Il 361°
tedesco a Sanjet el Miteyrya ebbe in appoggio il IV battaglione controcarro
Granatieri di Sardegna, contro reparti della 10^ Divisione corazzata
inglese, la 24^ Brigata della 9^ Divisione australiana, una Brigata carri
della 1^ Divisione corazzata inglese ed un reparto sudafricano, in totale
gli inglesi persero 111 carri e 38 blindo.
Nelle fasi più
favorevoli, quando il fronte non si era ancora irrigidito, di fronte a
18.000 italo-tedeschi con 20 carri c’erano già 39.000 avversari con 600
corazzati. I combattimenti scemarono d’intensità, ma pur essendo
considerabili “minori” imponevano un forte logorio e l’ansimante logistica
dell’Asse non consentiva più di procedere in condizioni di accettabile
efficienza. Ai primi d’agosto però i rifornimenti divennero sufficienti,
sino a far risalire i reparti ad una consistenza di 27 battaglioni di
fanteria italiani e 16 tedeschi, 12 gruppi d’artiglieria nostri e 6
tedeschi, 98 carri medi e 24 leggeri e 161 panzer, oltre alle unità
esploranti e di paracadutisti. Per tutto il mese si continuò a prepararsi,
con l’ipoteca del tempo che lavorava a favore degli avversari. Da metà
agosto, il compito di battere Rommel era passato su di un vero capo,
l’allora poco conosciuto generale Montgomery. Il piano del suo antagonista
tedesco era d’investire il settore meridionale del fronte, superare di
slancio i campi minati, aggirare l’intero schieramento inglese attorno alle
alture di Alam el Halfa ed arrivare sulla costa del Mediterraneo ad El
Hammam. La 15^ panzer entrò in lizza con 70 carri medi e la 21^ con altri
120, ma esse non riuscirono a progredire che per 12-15 km dal punto di
partenza, invece dei 50 previsti entro il 31 agosto. Nella notte del 30
l’Ariete, con 127 carri tra il XIII battaglione fresco arrivato ed i
precedenti IX e X varcò la linea Deir el Qattara, El Taqa, arrivando il
giorno dopo a Quota 114; 8 km a sud-est di Deir el Munassib, rallentata da
estesi campi minati e dalla martellante artiglieria inglese. Al XX Corpo
d’Armata italiano fu assegnato l’obiettivo di Alam Halfa, al DAK Quota 132.
La 15^ Panzer continuò a procedere sul fianco est dello schieramento,
staccando l’Ariete e Trieste ed ottenendo un grande successo tattico che
però fu subito parato dagli inglesi, che respingendo l’attacco all’estremità
occidentale della zona fecero arretrare i reparti italo-tedeschi sino alla
linea di El Taqa. La Littorio aveva superato, con difficoltà, un immenso
campo minato inglese (25 km x 7) a sud del Ruweisat, i suoi 120 carri
arrivarono a Quota 115 e fu la sola unità ad arrivare nella zona trampolino
di lancio per l’ultima offensiva, quella su Alessandria, con il solo
supporto di 70 panzer della 15^ tedesca. Assieme al 133° carri,
parteciparono all’offensiva il 12° reggimento bersaglieri, un gruppo
artiglieria da 75/27, i gruppi semoventi da 75/18 DLIV e DLVI, il XXIX
gruppo da 88/56 ed il CCCXXI (bis) da 100/17. La reazione avversaria,
nutrita e diretta, fu assai superiore alle previsioni e “la zampata di
Rommel” risultò corta, con la perdita di 51 carri e poche prospettive di
rifornimento, visto che erano state affondate 3 navi italiane con 730 t di
carburante e 170 automezzi. Il 1 settembre la 15^ panzer era arrivata quasi
a Quota 132, nel pomeriggio era con le proprie unità avanzate a soli 8 km
dalla costa, ma contro una resistenza sempre più tenace. La 21^ oltre che
dalle mine era bloccata da furiosi contrattacchi di tre brigate corazzate
inglesi, altre due sorvegliavano i fianchi dei reparti italo-tedeschi. Anche
l’Ariete si era dovuta fermare a Gabr Hani Zada, a secco di carburante o
quasi ed allo scoperto. Con l’ordine di ripiegamento del 3 settembre e la
chiusura, dopo altri tre giorni di scontri, dell’azzardato ciclo operativo
conosciuto come “la corsa dei sei giorni” (Operazione Caballo per i
tedeschi), la speranza di arrivare al Delta del Nilo si concluse per sempre,
non restava che mettersi sulla difensiva, preparandosi a reggere
l’inevitabile urto dei reparti avversari. Gli inglesi ripresero l’iniziativa
già il 3, per chiudere i varchi rimasti aperti nei loro campi minati, mentre
ancora le colonne dell’Asse stavano ritirandosi. A causa del potente
contrattacco tedesco i combattimenti andarono avanti sino al 5 nella fascia
compresa tra le due cinture di campi minati. Il 7, i reparti avversari si
mettevano ad allestire nuove linee difensive più ad est, a ridosso dei campi
minati. Secondo stime inglesi, le loro perdite erano state di 150 tra carri
e blindo, 28 cannoni e 1.640 uomini, contro 51 carri, 70 cannoni e 4.500
uomini per gli italo-tedeschi. Probabilmente avendo perso lo smalto dei
tempi migliori, mettendosi da solo in una difficile posizione, Rommel lasciò
il comando il 23, per un periodo di cure e riposo in patria. Per un certo
tempo, gli inglesi non sfruttarono la loro superiorità, facendo restare
relativamente calmo il fonte, con un’attività d’incursioni ed attacchi
locali, vivacemente parate dai reparti italo-tedeschi.
La
Divisione “Sabratha” in Africa
Nelle linee
dell’Asse, più di una volta i tratti di minor resistenza erano individuabili
nei settori italiani, a causa di un’affrettata organizzazione difensiva,
della nota debolezza degli organici e del logorio imposto da battaglie e
spostamenti di moltissimi chilometri. Ma se si vuol far intendere di minor
valore militare dei nostri soldati, ciò è ingiusto. Furono casi particolari,
per chiarire, uno di essi è quello della “Sabratha”.
La 60^ Divisione
di fanteria ‘Sabratha’, il nome era quello di un’antichissima città della
Tripolitania, fondata dai Fenici nel X Secolo A.C., poi romana ma
abbandonata nell’VIII secolo D.C., era costituita principalmente dai
Reggimenti di Fanteria 85° e 86°, dal 42° Reggimento Artiglieria e dal LX
battaglione misto Genio. Dopo le forti perdite sostenute nell’inverno 1941,
era stata ricostituita con molti elementi non omogenei, stanchi per la lunga
permanenza in colonia. Purtroppo, fu una Divisione molto sfortunata, che
arrivò sul campo di battaglia non tutta assieme, ma con gli organici divisi
ed impiegati appena possibile, a spizzico. Questo successe più di una volta
con altri reparti, e faceva parte delle circostanze, ma era uno svantaggio
che si pagò caro più avanti. Rommel a fine luglio 1942, aveva inviato a
Berlino un rapporto che commentava acidamente il comportamento dei soldati
della Divisione, rimasti battuti da reparti australiani il 10. Colti di
sopresa proprio mentre stavano dando il cambio al 7° Reggimento bersaglieri,
i due battaglioni della Sabratha furono uno travolto e l’altro isolato dalla
26^ Brigata della 9^ Divisione australiana. Le posizioni italiane erano
state abbandonate precipitosamente in qualche caso, lasciando aperto un
varco molto pericoloso in corrispondenza del settore costiero. Un vero
disastro fu evitato grazie al tempestivo intervento di reparti italiani (il
19° Battaglione del 7° bersaglieri ed un gruppo del 46° Reggimento
artiglieria e tedeschi, un battaglione complementi della 90^ Leichte
Division e parte del 382° reggimento della 164^ Divisione, che contennero
l’attacco avversario verso le 13 e più tardi lo arrestarono a circa 7 km.
dal punto di rottura. Non c’è da sorprendersi che la fortuita circostanza
dell’attacco avversario, abbia potuto ottenere effetti sproporzionati. Ma
non era finita, pochi giorni dopo, la notte del 16 luglio, altri due
battaglioni della “Sabratha” furono colti proprio mentre si schieravano da
un attacco di fanterie australiane appoggiate da carri armati. Un altro
doloroso episodio per il quale il Comando Supremo italiano mosse aspri
rimproveri a Rommel per avere usato truppe non pienamente pronte, ma che
oramai aveva messo in troppo cattiva luce l’intera Divisione, che fu sciolta
il 25 luglio, con gli organici passati alla Divisione motorizzata “Trieste”
e gli automezzi superstiti alla Divisione paracadutisti “Folgore”. Bisogna
però ricordare che usare i reparti al momento disponibili, senza pensare
troppo alla loro possibile tenuta ed efficacia spesso era un dura necessità,
e gli avversari erano tra le migliori truppe d’assalto del Commonwealth. In
pratica, sintetizzando, i soldati della “Sabratha” si erano trovati nel
posto sbagliato al momento sbagliato. L’11 agosto 1942 Mussolini, in
un’impietosa dichiarazione al Consiglio dei Ministri, riferì di avere dato
tale ordine di scioglimento perché gli sembrava “i cattivo gusto avere una
Divisione col nome di una città morta”.
Linea
difensiva italo-tedesca ad El Alamein, settembre 1942
Settore
meridionale
Fronte Secondo
scaglione Artiglieria
I / 20°
Brescia IX Btg. Carri del 132° Rgt.
IV / 1° Rgt.
II / 20° Brescia
III / 20° Brescia
VI Gr. Semoventi
Btg. Burckardt
V Btg. Bers. 8° Rgt. I / 1° Rgt.
I / 19°
Brescia III Btg. controcarro
49°
Btg:
Hubner XXVIII Btg. Bersaglieri 9° Rgt.
147 / 8°
II / 187° Rgt.
Parà II / 19°
Brescia III / 1° Rgt.
IV / 187° Rgt. Parà
I / 28° Pavia 31
/ 132° Rgt.
VIII Btg. Guastatori
XIII Btg. Carri del 132° Rgt. 501 / 32° Rgt
Paracadutisti
VII / 186° Rgt.
Parà XII Btg. bers. 8° Rgt. III /
1° Rgt.
VI / 186° Rgt.
Parà X Btg. Carri del 132° Rgt. I / 21°
Rgt.
V / 186° Rgt.
Parà II / 28°
Pavia V Gr. Semoventi
II / 27°
Pavia 33° Reparto esplorante tedesco
II / 26° Rgt.
I / 27°
Pavia
= IV / 26°
Rgt.
Raggr. Kasta
= III / 26°
Rgt.
=
= Gruppo
misto
Settore
settentrionale
X Btg.
bersaglieri XI Btg. / 7° Rgt. Bersaglieri
II / 220 tedesco
= I / 115° tedesco
357° tedesco
II / 125°
tedesco LI Btg. Carri 133° Rgt.
131°
I / 125°
tedesco XXIII Btg – 8° Rgt. bersaglieri II
/ 33° tedesco
= II / Pz. Rgt. 8
tedesco I / 33° tedesco
I / 62°
Trento IV Btg. carri 133°
Littorio 33° controcarro tedesco
I / 382°
tedesco III / 115°
tedesco 332° tedesco
III / 62°
Trento II / 115°
tedesco IV / 46°
III / 382°
tedesco XII Btg. carri 133° Littorio
556° Gruppo semoventi
II / 62°
Trento II / 61°
Trento 36°
II / 382°
tedesco XXXVI Btg – 12° Rgt. bersaglieri 355°
III / 61°
Trento XXI
controcarro 29°
II / 433°
tedesco I / Pz. Rgt 8 tedesco
III / 33° tedesco
I / 61°
Trento III / 433°
tedesco II/ 46°
I / 433°
tedesco III / 40°
Bologna 554° Gruppo semoventi
II / 40°
Bologna I / 39°
Bologna I / 220° tedesco
I / 40°
Bologna
= III / 46°
Btg. Parà Heydte
= I / 46°
Btg. Schwiger
= IV /
205°
III / 39°
Bologna =
354° Gruppo
=
= III /
205°
=
= I /
205°
Le
Divisioni di fanteria italiane
Le Divisioni di
Fanteria del Regio Esercito per l’Africa, nel 1940, erano costituite da un
Comando, 2 Reggimenti su una Compagnia Comando, tre Battaglioni di
fucilieri, una Compagnia mortai da 81, una Compagnia Controcarro ed
accompagnamento da 47/32. A loro volta, i Battaglioni erano su una Compagnia
Comando, tre di fucilieri ed una armi accompagnamento. Il Reggimento di
Artiglieria comprendeva sino a tre Gruppi, in genere due da 75 ed uno da 100
mm, ed una batteria contraerea da 20 mm, ma gli organici furono molto
variabili. La Fanteria era nel complesso dotata di armi non moderne e quelle
automatiche di squadra erano soggette ad inceppamenti e non adatte al
deserto. La vera nota dolente era nei pezzi controcarro ed antiaerei,
distribuiti in numero esiguo e nella mancanza di adeguati mezzi di
trasporto. I fanti in pratica andavano a piedi, disponendo di un limitato
numero di automezzi, ed i reparti ausiliari erano ridotti al minimo, essendo
in genere solo un Battaglione Genio, Sezioni Sussistenza e Sanità, nonché
Sezioni Carabinieri Reali.
Le due Divisioni
Motorizzate usate in Africa (la Trieste e la Trento) avevano tre Reggimenti
Fanteria, uno era di Bersaglieri, un Reggimento Artiglieria ed un
Battaglione controcarro, per il resto erano simili a quelle di fanteria,
solo che avevano i mezzi di trasporto necessari (questo però non accadde
sempre…). L’unica Divisione Paracadutisti comparsa in Africa, la Folgore, fu
usata quasi subito come fanteria, restando col minimo di servizi, e sorte
quasi analoga ebbe più tardi la Divisione La Spezia, unica unità
aviotrasportata. Per avere un’idea più chiara della situazione, basta fare
un confronto con le analoghe unità avversarie, risalente circa al 1942 :
Battaglione
Fanteria
Italiano Inglese
Uomini
450 800
Armi
automatiche
27 120
Armi
controcarro
18 25
Automezzi
12 78*
* Fra i quali 21
cingolati “Universal carrier”
Divisione di
Fanteria
Italiana Inglese
Uomini
7.000 13.600
Armi
automatiche
238 1.500
Mortai
18 220
Armi
controcarro
144 168
Cannoni
60 72
Automezzi
350 2.500*
* Fra i quali 45
blindo e 256 cingolati “Universal Carrier”
Carri e
carristi italiani
L’arma decisiva
nella guerra nel deserto fu il carro armato, sia per la natura del teatro
operativo, che non aveva ostacoli sensibili alle sue manovre, sia perché era
una perfetta arma di penetrazione negli schieramenti avversari, che poteva
costringere alla ritirata o alla resa anche forze nemiche numericamente
superiori. La dottrina militare tedesca, usando mezzi a volte eccellenti
guidati da comandanti di corazzati esperti e con molta intraprendenza,
influenzò in maniera decisiva le battaglie più importanti, almeno finchè la
superiorità di mezzi, dovuta all’entrata in guerra degli Stati Uniti, mise
di fronte ai panzer ed ai nostri carri del materiale veramente valido e
competitivo come i carri medi Grant e Sherman.
I nostri carri
restarono, per una serie di circostanze, inferiori a quelli tedeschi ed
avversari a causa di poca esperienza nella progettazione ed uso di una
simile arma. L’andamento della guerra sui nostri fronti non ci aveva
permesso di sviluppare una serie di carri come gli inglesi e i francesi e
nel primo periodo di guerra si restò al palo senza avere molta inventiva.
Una falsa teoria basata sulla forza del numero ma con mezzi poco pesanti
vide il successo negli anni Trenta di carri leggerissimi, che non potevano
però fare di tutto e, soprattutto, non furono affiancati da nulla di più, se
non nel 1939, quando ormai le basi di moderne forze corazzate erano state
già preparate in diversi altri paesi.
I primi carri
medi, ma erano medi solo per noi, pesando la metà di quelli tedeschi,
entrarono in servizio poco prima dell’entrata in guerra dell’Italia ed in
numero esiguo, circa un centinaio. Inoltre la sistemazione del loro
armamento principale era irrazionale, essendo il cannone montato in
casamatta, senza molto brandeggio. Solo nell’autunno del 1940 arrivarono in
Africa i primi carri medi, allora abbastanza validi contro i mezzi
avversari, ma usati male, a piccoli gruppi e privi di radio, perciò senza
adeguato coordinamento, non poterono avere un gran peso sulle prime
battaglie, finendo distrutti o catturati. Nel marzo 1941, l’arrivo dei nuovi
carri M13 e del contingente tedesco, riequilibrò le cose a nostro favore, ma
seguirono diversi scontri nei quali i nostri carri si dimostrarono meno
mobili, protetti ed armati della media. L’insufficiente rapporto
potenza-peso rendeva problematico sia sfruttare le vittorie negli scontri
sia restare al passo coi più potenti e mobili panzer. Purtroppo, la
situazione non cambiò neanche per tutto il corso del 1942, perché non erano
stati intanto realizzati che alcuni carri solo leggermente migliorati, gli
M14. L’apparizione, nella seconda metà del 1942, dei primi carri medi
americani, meccanicamente molto affidabili, ben protetti ed armati con
cannoni da 75 mm a canna lunga, fu l’evento decisivo a nostro sfavore.
Per tutta la
durata della lunga campagna d’Africa, alla scarsità di mezzi e prestazioni
dei mezzi stessi ovviarono gli equipaggi carristi. Essi furono molto
valorosi, spesso sacrificandosi totalmente, contro una compagine che aveva
sia molti più carri che rifornimenti. Tra i vari battaglioni costituiti,
senza voler tenere in ombra altri reparti, si distinsero quelli della
Divisone Ariete, una grande unità nata a Verona e famosa anche presso gli
avversari. Dagli inizi del 1942, ai nostri carristi si affiancarono gli
artiglieri dei quattro gruppi semoventi, assegnati alle divisioni corazzate
in Africa. Questi mezzi, che erano stati velocemente progettati usando lo
scafo dei carri M13, erano gli unici corazzati bene armati ed in grado di
mettere fuori combattimento persino gli Sherman, grazie alle granate a
carica cava. Ben presto, infatti, più che nel ruolo d’appoggio i carri
furono positivamente usati nei combattimenti diretti con i corazzati
avversari.
La figura del
carrista italiano del deserto è ormai passata alla leggenda, con l’uniforme
tropicale o con il giubbotto e l’inconfondibile casco di cuoio. Seppe sempre
battersi e fare il suo dovere, facendo molto, con quel poco materiale che
c’era a disposizione.
L’artiglieria italiana in Africa Settentrionale
Nel periodo fra le
due guerre mondiali, anche se non fu attivato il pieno ammodernamento delle
artiglierie per mancanza di fondi, furono portati avanti studi che
consentirono l’adozione di bocche da fuoco moderne, prodotte però in
limitate quantità, la scarsità di materie prime ed una cattiva
programmazione non consentirono di fare di più. All’entrata in guerra,erano
pronti o in completamento 54 Reggimenti, oltre a 3 per le Divisioni
corazzate, 2 per le motorizzate, 18 per i Corpi d’Armata e 5 d’Armata.
Furono poi costituiti, in velocità 9 tra Raggruppamenti e Gruppi. Nel corso
del conflitto, il parco artiglierie non fu sufficiente, sia per le necessità
dei vari fronti che per qualità. I pezzi erano in buona parte o vecchi o di
preda bellica austriaca, ed in parte ammodernati con l’adozione di ruote
metalliche per il traino meccanico, o con un nuovo munizionamento. Alla
penuria di materiale moderno si aggiunse la dispersione in Russia di parte
considerevole di esso, che così mancherà nella fase cruciale della campagna
d’Africa.
Certo, i carri
armati e le loro spettacolari galoppate colpivano la fantasia,facendo vedere
più vicina Alessandria, ma non è poi vero che l’esito della campagna
dipendesse solo dai reparti corazzati. Anche l’artiglieria aveva il suo peso
sul piatto terreno africano ed i pezzi, se moderni, erano in grado di
appoggiare o contrastare efficacemente ogni tipo di reparto. Nel contempo,
potevano appoggiare, anche contro particolari obiettivi fortificati, nelle
penetrazioni a largo raggio, le rispettive formazioni corazzate. Gli eventi
bellici portarono poi in servizio altri pezzi di preda bellica, anche
forniti dalla Germania.
Alla fine del
settembre 1942, lo schieramento di artiglierie italiane in grado di
misurarsi con quella, tradizionalmente molto potente, inglese non superava,
in tutto il Nord Africa, le 165 bocche da fuoco (12 da 149/40 ; 14 da 149/28
tedeschi; 17 da 90/53; 98 antiaerei da 75/46 e due gruppi da 88/56
tedeschi). La maggior parte dei gruppi, con 266 bocche da fuoco di tipo
vario, aveva invece potenza di fuoco non più adeguata, esistendo ancora
molti pezzi risalenti alla Grande Guerra. Nel caso dei 75, si poteva usarli
meglio col sistema di scavare sotto alle code, in modo da aumentare il loro
alzo. Una certa diffusone, nelle fila di alcuni reparti, ebbero i pezzi
inglesi da “25 libbre” (88/27) catturate durante l’offensiva estiva del 1942
e che resteranno in linea il più possibile, sino alla Tunisia. Il pezzo in
questione era di leggendaria potenza, capace di sparare fino a 12 km, senza
che si potesse controbatterlo con efficacia. Per i controcarro,
l’inferiorità si protrasse molto a lungo, il nostro pezzo standard da 47/32
non era più in grado di perforare facilmente i carri avversari già dalla
fine del 1941, ma non si potè sostituire.
La
leggenda della Folgore
Settant'anni fa,
senza ombra di retorica, i paracadutisti italiani furono protagonisti di una
pagina memorabile, pur battendosi come molti altri, privi di tutto e contro
un avversario molto superiore. Fu un sacrificio cosciente, come quello di
tutti gli altri soldati italiani di quel lontano fronte, ma reso più amaro
dal fatto che si trattava di combattere come la fanteria, senza sfruttare il
lungo ed accurato addestramento da paracadutisti, per ben altro tipo di
combattimenti.
La Divisione
Folgore, costituita nell’estate del 1941 e completata ai primi del 1942,
comprendeva otto Battaglioni della specialità compreso uno di guastatori
oltre altri reparti assegnati. In totale, si trattava di poco meno di 5.000
uomini, che verranno trasferiti gradualmente in zona d’operazioni dopo un
lungo viaggio attraverso i Balcani per ingannare i servizi segreti
avversari. I primi 2.600 (il V e VII Battaglione ed il 2° Gruppo
artiglieria) arrivarono in Africa a metà luglio1942, entrando in azione
nella battaglia di Alam Halfa, gli ultimi il 6 agosto. Man mano che poi il
fronte si stabilizzava, i parà entrarono in azione con pattuglie, portando a
termine colpi di mano ed in 15 giorni fu creata una “zona di rispetto” che
rese più sicure le nostre linee. Era però ormai chiaro che l’operazione su
Malta era stata cancellata e restava l’esigenza di avere truppe fresche a
fianco dei malridotti reparti già in loco. Il 3 settembre ci fu un
contrattacco inglese che investì il Raggruppamento Camosso (IX e X
battaglione) ma dopo tre ore di lotta, con l’aiuto di reparti del Brescia e
dei parà tedeschi della Ramcke fu respinto, usando una tattica empirica ma
molto efficace contro i carri armati avversari, che verrà applicata su larga
scala tre settimane dopo.
Non si potè
mettere a frutto la pausa di quasi un mese prima della battaglia decisiva,
con un rapporto di forze decisamente a nostro sfavore e per di più con
l’attaccante che aveva il completo dominio dell’aria. Il terreno, tranne che
per pochi tratti, era sin troppo idoneo all’uso dei mezzi corazzati e
motorizzati, mentre l’armamento dei parà non poteva che essere leggero. La
difesa in ogni caso era resa più difficile perché il settore settentrionale
di Deir el Munassib restava un delicato saliente. Le linee italiane si
snodavano all’estrema destra dello schieramento italo-tedesco per circa 15
km, si trattava di un allineamento di radi capisaldi e nidi di
mitragliatrici, con spazi interposti vigilati da campi minati. A distanza
variabile tra 1 e 2 chilometri, parallele alle nostre linee correvano quelle
inglesi. In seguito al continuo martellamento dell’artiglieria avversaria,
in ottobre si erano diradate le forze in prima linea, scaglionandole più in
profondità.
Sin dal primo
scontro, si cercò di riequilibrare la sproporzione di uomini e mezzi, per
fortuna gli attacchi inglesi erano condotti quasi sempre in modo
ripetitivo, preceduti da una massiccio fuoco d’artiglieria. Si restava così
nelle buche, entrando in azione quando il tiro veniva allungato, aprendo il
fuoco a breve distanza; spesso i reparti avversari venivano lasciati
penetrare nelle difese, per attaccarli con più efficacia incrociando il
tiro. Solo nel primo scontro la nostra artiglieria riuscì a dare un fattivo
contributo contro i carri armati, in seguito si dovette lottare con le bombe
a mano e tanto fegato. Nello scontro del 25 ottobre fu usato quasi ogni
mezzo immaginabile, comprese mine, cariche esplosive, bottiglie Molotov ed
in alcuni casi anche lanciafiamme. Tutti mezzi che presupponevano
particolare ardimento, ai limiti della temerarietà. I criteri di scelta e le
indubbie qualità d’iniziativa individuale, unite al morale alto ed
all’eccezionale spirito di corpo resero le squadre dei parà molto efficaci,
ma la lotta ravvicinata fu causa di una parte delle sensibili perdite
sostenute.
Il 29 ottobre,
l’offensiva nel settore della Folgore si poteva dire fallita, dopo giorni di
accaniti ma inutili attacchi gli inglesi avevano lasciato sul terreno più di
un centinaio di carri armati e 150 tra carriers ed automezzi, più di 600
caduti e anche 197 prigionieri, tra i quali 23 ufficiali. I “folgorini”
avevano contrastato quasi da soli circa otto brigate di fanteria e quando al
sera del 2 novembre arrivò l’ordine di ripiegare essi presidiavano ancora
saldamente le loro linee, anche se a caro prezzo, perché erano stati persi
43 ufficiali e 560 tra sottufficiali e paracadutisti sui quasi 3.000
componenti della Divisione. Anche gli ufficiali superiori non s’erano
risparmiati, su 18 di essi vi furono 9 caduti e 4 feriti. Il successivo
ripiegamento sulle posizioni di Fuka e poi sulla linea Gebel Kalak, 25 km
più ad occidente, fu effettuato in condizioni durissime, respingendo
continuamente puntate offensive di autoblindo e mezzi motorizzati. La
leggenda della Folgore fu fatta nascere anche dagli inglesi, non sempre
obiettivi nel riconoscere il valore di certi reparti del Regio Esercito. Lo
stesso Churchill, in un discorso alla Camera dei Comuni, ebbe parole di
grande ammirazione per quelli che definì “i leoni della Folgore”.
L’apoteosi
El Alamein era una
stazioncina sulla ferrovia per Marsa Matruh, distante circa 8 miglia dal
mare. Da essa si arrivava a Qaret el Himeimat ed alla Depressione di Qattara,
larghissima conca salmastra, non c’era altro varco per proseguire verso il
canale di Suez. La linea difensiva italo-tedesca era costituita da un velo
di avamposti e da estesi campi minati, con davanti ad essi molte postazioni
di mitragliatrici e cannoni anticarro, e da una linea di capisaldi, che
avrebbero dovuto bloccare l’attaccante. Gli Alti Comandi italo-tedeschi non
erano riusciti a rinforzare i reparti schierati contro la fortissima
compagine della 8^ Armata inglese, sia per la perdita in mare di molti
rifornimenti, che per il crescente impegno sul fronte orientale, che
richiedeva sempre più risorse. Verso la metà di ottobre gli opposti
schieramenti erano ben delineati, ma in pratica le proporzioni erano tutte a
favore dei nostri avversari, essendo in media 3 a 1 per carri e fanteria e
di 5 a 1 per l’artiglieria, per non parlare dell’aviazione ( 8 a 1), delle
riserve di munizioni (30 a 1) e di carburante (100 a 1). A rendere
praticamente impossibile una vittoria per i reparti dell’Asse c’era anche la
presenza di ingenti riserve di pronto impiego per gli inglesi. Nei carri
armati, tra i protagonisti della guerra nel deserto, il divario era anche
qualitativo, perché i mezzi italiani erano quasi tutti ormai inadeguati,
tranne che per una trentina di semoventi da 75/18, ed anche in campo tedesco
solo la trentina di Panzer IV più moderni era in grado di misurarsi contro
centinaia e centinaia di ben armati e protetti carri americani. Nel campo
delle artiglierie, la superiorità era tutta dell’avversario, con i suoi
ottimi “25 libbre” ed i numerosi controcarro da 57 mm, mentre gli italiani
avevano meno cannoni e di troppi calibri, oltre agli ormai inefficaci 47/32
controcarro. Meno inferiori quelli tedeschi, con una superiorità in fatto di
controcarri, grazie ai pezzi sovietici di preda bellica, e di una settantina
dei celebri “88” a duplice uso antiaereo ed anticarro. Per rinforzare il
fronte, in considerazione dell’insufficiente armamento italiano, si erano
disposti sul terreno reparti alternati italiani e tedeschi, organizzati in
gruppi o “Raum”, in genere trincerati al riparo dei “giardini del diavolo”,
ampi campi minati rettangolari.
Nel settore
settentrionale, che arrivava sino alla Depressione di El Mireir, in prima
linea, erano presenti la Trento e la Bologna, intervallate con la 164^
tedesca e parte della Ramcke, in seconda linea reparti della 15^ Panzer,
carri della Littorio, bersaglieri del 7°, 8° e 12° Reggimento, fanti della
Divisione Bologna. In quello meridionale la Brescia, altri due battaglioni
della Ramcke, la Folgore e la Pavia, in seconda linea la Ariete e la 21^
Panzer, la Brescia e parte della Pavia, altri reparti dello 8° e 9°
Reggimento bersaglieri. Come riserva d’Armata, più indietro, a nord c’erano
la 90^ leggera tedesca e la Trieste, lungo la costa diversi reparti minori.
In tutto, a parte le unità minori, si trovavano di fronte 12 divisioni
italo-tedesche (4 corazzate) a 10 inglesi (3 corazzate), ma queste erano a
pieni organici. Inoltre, mancando il carburante, le unità mobili dell’Asse
potevano solo eseguire contrattacchi per cercare di logorare l’avanzata
nemica e diversi mezzi italiani erano interrati ed usati pertanto solo come
semplici fortini, non sempre efficaci.
Il piano inglese
prevedeva una prima fase (Lighfoot), nella quale ci si sarebbe aperti dei
varchi nei campi minati usando unità corazzate e di fanteria, facendo
passare oltre solo la seconda. Dopo un periodo di calma assoluta, le
artiglierie inglesi, un migliaio di pezzi disposti su circa 10 km a poca
distanza dal nostro fronte, alle 20 e 40 circa del 23 ottobre cominciarono
un’intensissima e metodica preparazione d’artiglieria, una pioggia di fuoco
che durò per 12-20 minuti, paralizzando i reparti dell’Asse, sconvolgendo le
retrovie e facilitando il compito delle fanterie inglesi, appoggiate da 320
carri e favorite pure dalle luce lunare. Verso le 22 il fuoco riprese, si
rispose per quanto era possibile, sparando a brevissima distanza contro i
corazzati avversari che avevano travolto le prime postazioni. La resistenza
fu però tenace e la prima mossa inglese non ebbe i risultati sperati, solo
la 9^ Divisione australiana, a nord, non aveva avuto eccessive difficoltà.
Erano stati travolti reparti della Trento ed il 382° della 164^ tedesca, che
cedette per primo, ma, in pratica, era stato occupato solo un settore dei
campi minati, il J, ed intaccati i settori K ed L. Dalle 2 del mattino del
24, la 1^ e la 10^ Divisione corazzata inglese, nel settore nord, si erano
mosse con difficoltà, i reparti italo-tedeschi reagirono anche con un
violento contrattacco della 15^ Panzer. A sud, un reparto francese tentò di
prendere Qaret el Himeimat, ma venne respinto dal VI battaglione della
Folgore. Alle 8 del 25 le due divisioni corazzate inglesi erano penetrate
solo di 1.800 metri nei campi minati, la 2^ neo-zelandese e la 8* brigata
corazzata inglese li avevano passati, subendo però diversi contrattacchi
della 15^ Panzer, che inflisse loro consistenti perdite, ma ne ebbe di non
ripianabili. A mezzodì, le forze inglesi si incanalavano in due diverse
direzioni, verso il “Kidney Ridge” e verso il settore chiamato Punto 29. La
9^ australiana doveva colpire in questa chiave di difesa le forze tedesche,
la mossa riuscì nella notte ed i contrattacchi della 21^ e 90^ tedesche,
nonché della Trieste si infransero contro la 1^ corazzata inglese. Il IV
battaglione carri della Littorio contrattaccò i reparti della 10^ corazzata
inglese e nel sanguinoso scontro riuscì a fermarli più con il loro coraggio
che con la potenza di fuoco, perdendo in 10 minuti 18 carri. Assieme alla
15^ Panzer, si era comunque riusciti a contenere la 9^ australiana e la 51^
scozzese. A sud-ovest di Quota 29, gli attaccanti vennero affrontati dalla
90^ leggera e dal IX battaglione carri e VI gruppo semoventi dell’Ariete, ma
la posizione fu persa e fu vano il contrattacco dei bersaglieri dell’ XI
battaglione della Trento. Gli attacchi tra il 25 ed il 26 contro tre
battaglioni della Folgore (II, VI e VIII guastatori) furono respinti con
l’aiuto di due gruppi artiglieria della Brescia e della Trieste. Tra il 26
ed il 27, due plotoni del IV battaglione carri protessero bene una compagnia
granatieri tedesca, fermando un violento attacco di camionette. Nello stesso
giorno, ma sul “Kidney Ridge”, la situazione fu ristabilita dal XII
battaglione del 133° Carri della Littorio.
Attorno al 27
ottobre, gli inglesi tentavano di allargare il saliente creatosi, ma il loro
poderoso attacco fu respinto dai fanti del 40° della Bologna. Il IX
battaglione dell’Ariete fu spostato verso nord a rinforzo, assieme alla 90^
leggera ed alla 21^ Panzer, ma dopo alcune favorevoli azioni locali arrivò
il potente fuoco d’artiglieria inglese. La Littorio era già duramene
impegnata, dalla mattina, attorno a Quota 34 con il XII carri e con il DLIV
gruppo semoventi, nel pomeriggio un contrattacco verso Quota 28 con il LI
battaglione carri e l’XI bersaglieri ebbe successo. Nella notte, arrivò
l’ordine di schierarsi davanti alle batterie sistemate a nord-ovest del sito
AP 453 per la loro protezione ad oltranza, sino al sopraggiungere della 21^
panzer. La violenta reazione nemica si concentrò sui carri italiani,
lasciando avvicinare i panzer, che batterono gli inglesi qualche ora dopo.
Nel tardo pomeriggio, i carri italiani furono spostati in zona AP 411, in
appoggio al XXIII battaglione bersaglieri.
Il 28 ottobre si
svolse un’altra sanguinosa battaglia d’arresto, con l’intervento a Quota 34
di due battaglioni carri del 133° e del DLIV gruppo semoventi, assieme alla
21^ Panzer, mentre la Ariete, anche con i suoi tre validi gruppi
d’artiglieria, contrastò bene gli attaccanti attorno a Quota 28, con il
supporto della 15^ e 90^ tedesche. Un contrattacco notturno della 9^
australiana che cercava d’incunearsi nello schieramento per conquistare la
strada costiera, isolandola in parte, trovò una ferma resistenza
italo-tedesca. I carri inglesi, superati i campi minati, avevano puntato
sulle posizioni del 46° reggimento artiglieria, che si distinse nel
combattimento ravvicinato per diversi giorni, interrando di 2 metri le code
dei pezzi da 75 mm delle batterie 10, 11 e 12 riuscì ad arrivare con il tiro
sino a 7 km., ma nella notte esse dovettero arretrare, a corto di granate e
senza collegamenti. Il giorno successivo, l’attacco dei carri inglesi
investì anche l’8° artiglieria pesante ed il II / 220 tedesco.
Il 30 la Littorio
era ridotta a poco più di 30 carri e 6 semoventi, ma combatteva ancora a
Quota 33, con accanto una decina di panzer della 15^. Ebbe poi in rinforzo i
mezzi superstiti del IV battaglione carri e del DLVI gruppo semoventi,
effettuando anche un contrattacco. Grazie anche all’appoggio dell’XI
battaglione carri della Trieste, sino a notte furono messi fuori uso 39
carri nemici. Il giorno successivo, il cuneo inglese si estendeva, si
batterono bene i reparti della Littorio, specie i bersaglieri del 12°
reggimento (XXIII e XXVI Battaglione), ma con perdite sensibili specie nei
carri.
La seconda parte
del piano inglese, l’Operazione Supercharge, vide un attacco su 3.600 metri
con l’appoggio di 360 cannoni, contro i nuclei che ancora resistevano e che
non potevano opporre che 140 carri ed un buon numero di efficaci cannoni
controcarro. La 9^ Brigata carri che guidava l’attacco perse quasi l’80 %
dei mezzi ma riuscì a sconvolgere il settore del fronte che investì, aprendo
la strada alla 1^ corazzata inglese che potè dilagare dietro il fronte
tedesco, battendo i panzer alla pista Rahman. La battaglia si frazionò in
decine di scontri minori ma anche molto violenti ed a sera agli
italo-tedeschi restavano solo 70 carri a disposizione, per la metà italiani.
Erano usciti di scena il 133° reggimento carri, distrutto Tell el Aqqaqir e
l’ XI battaglione, che sacrificandosi per intero consentì, almeno un
parziale, sganciamento della Trieste. L’esito della battaglia era stato
incerto sino all’ultimo, poi con enormi sacrifici di mezzi ed uomini la
penetrazione inglese era stata arginata. Il grosso dell’Ariete venne
spostato a nord dal pomeriggio del 2, per tentare di contrastare l’offensiva
nemica e coprire la ritirata delle truppe dell’Asse. Ormai i reparti
italo-tedeschi erano a malpartito, ciononostante da Berlino arrivò l’ordine
perentorio di resistere ad oltranza, vietando ogni sganciamento. L’Ariete,
lasciando sul fronte meridionale la sola Folgore, raggiunse la meta, una
fascia di 4 km. tra Bir el Abd e Deir el Muna, con 111 carri e 12 semoventi.
Mosse poi verso est, ma in breve tempo i carri, superati sui fianchi ed
accerchiati, dovettero combattere sin quasi all’alba in una lotta impari,
non solo dal lato numerico. Dopo aver perso gli ultimi 11 carri efficienti
il XIII battaglione ne rimise in campo 6, poi travolti alla stazione di Fuka
da una forte avanguardia inglese. Verso le 8 del 4 novembre, il X
battaglione respinse un primo attacco, preceduto da un intenso fuoco
d’artiglieria. Diversi carri furono colpiti ma l’unità tenne bene, salvando
il fianco destro, restava la minaccia di circa 200 carri inglesi che aveva
ancora davanti. Nel primo pomeriggio l’Ariete combattè contro l’aggiramento
avversario, finchè verso le 16 un attacco inglese con i carri, sia di fronte
che sui fianchi e la scarsità di granate provocarono un graduale
ripiegamento degli ultimi pochissimi carri su Quota 78, assieme all’IX
battaglione e con al copertura del XIII, che finì quasi annientato. La 51^
divisione scozzese e la 9^ brigata indiana avevano sfondato il fronte,
seguite dalla 9^ australiana che si dirigeva verso al costa, ben appoggiata
da carri ed artiglieria. L’Ariete e la Littorio cercarono di ritardare il
più possibile l’avanzata; si combattè per 5 ore, contro carri che potevano
colpire a grande distanza, mentre i nostri dovevano avvicinarsi troppo per
essere efficaci. A metà pomeriggio restavano solo una trentina di carri,
assieme ad una ventina di cannoni. Queste residue forze riuscirono a
sganciarsi grazie alla copertura data da una quarantina di mezzi
danneggiati, che si sacrificarono sino all’ultimo.
La sera del 4
novembre, la battaglia era ormai vinta dagli inglesi, anche se avevano perso
più del 50% dei carri e delle riserve fatte affluire. Ma alle truppe
italo-tedesche non restavano che un’ottantina di carri italiani ed una
dozzina di panzer e le superstiti unità italiane di fanteria erano
circondate e prive di mezzi di trasporto. Era stata una battaglia di
logoramento degna della prima guerra mondiale e le gravissime perdite
dell’Asse non erano ripianabili. Era stata quasi una gara di coraggio ed
abnegazione tra la tenacia dei capisaldi di fanteria, bersaglieri e
paracadutisti, tra l’azione sapiente degli artiglieri e lo slancio di
carristi ed equipaggi dei semoventi. Solo dopo 12 giorni le unità corazzate
avversarie arrivarono in campo aperto. Ci si era battuti come meglio non si
poteva, restando vinti, ma con dignità.
Quota 33
Il cimitero
italiano di El Alamein era nato dal duro lavoro di 43 prigionieri italiani,
che volontariamente avevano setacciato il deserto, recuperando molte salme
disseminate per chilometri e chilometri, arrivando a raggrupparne quasi
5.000 sino al 1944. L’altura indicata sui rilievi militari come Quota 33 era
diventata un desolato cimitero, sul quale regnò il silenzio per alcuni anni.
Il console italiano al Cairo di allora ebbe l’intenzione nel 1947 di mandare
a controllarne lo stato e se possibile migliorarlo, in modo da ricordare
meglio i Caduti. Per questa particolare missione dettata dalla pietas fu
scelto l’ex-comandante del XXXI Battaglione Genio guastatori, il colonnello
Paolo Caccia Dominioni, all’epoca semplice ingegnere con lo studio al Cairo.
Così, Gooma Abdel Hamid Alì, guardiano del cimitero e memoria vivente del
luogo, se lo vide comparire davanti nel luglio 1948. Per Caccia Dominioni,
senza dubbio la persona adatta allo scopo, migliorare la situazione del
cimitero divenne un pensiero fisso, c’era sia da salvare le tombe già
presenti che raccogliere ancora salme sul campo di battaglia, aggiornare i
dati e così via. La risposta burocratica arrivò nell’estate del 1949, non
incoraggiante in quanto a fondi e personale disponibile, ma Dominioni non
era uomo da scoraggiarsi ed attuò una colletta fra i reduci del XXXI almeno
per consolidare il cimitero già esistente. Contemporaneamente, con l’aiuto
di una jeep diede il via alle prime ricognizioni verso sud ed alla raccolta
dei Caduti. Ben presto, per i beduini divenne “il colonnello matto”, a lui
si aggiunse nell’ottobre Renato Chiodini, un veterano del Battaglione, con
un’altra jeep. Si cominciò una serie di ricognizioni all’interno di quel che
era stato il fronte italo-tedesco, aiutati molto da una carta precisa dei
campi minati ottenuta da un reduce della Folgore e alla vivace memoria di
Caccia Dominioni. A dicembre arrivarono a ridosso della Depressione di El
Qattara, spingendosi sino all’estremo punto a sud-est dello schieramento,
percorrendo dalla rotabile costiera di Sidi Abdur Rahman la vecchia
“Palificata”. Al ritorno dalle ricognizioni, ogni dettaglio veniva
confrontato con cura con al documentazione ottenuta dall’Italia. Caccia
Dominioni decise di restare stabilmente a Quota 33, continuando senza posa
le ricognizioni. Da semplice rifugio per la notte, l’edificio divenne più
grande anche come punto di riferimento. Oltre ai problemi della vita nel
deserto, restava quello più grande delle mine, che causarono la morte di
alcuni aiutanti indigeni, tra i quali il fedele Gooma. Si cominciò a parlare
di un sacrario dal 1954, il progetto di Caccia Dominioni si armonizzava bene
con il luogo, prevedendo una semplice costruzione ottagonale in travertino
chiaro, affiancata da una moschea per i Caduti ascari. Era il coronamento
ideale di una lavoro lungo ed importante per mantenere la memoria dei
soldati italiani lì dormienti, anche se le ricognizioni dureranno sino al
1959. Alla conclusione dei lavori, il sacrario conteneva 5.436 Caduti
italiani e 2.349 ignoti, grazie ai 360.000 km percorsi durante più di 350
ricognizioni, l’ultima delle quali nel giugno del 1962. Si deve a Caccia
Dominioni e pochi altri, se migliaia di ragazzi che non tornarono più a casa
hanno almeno una degna sepoltura. Restano ancora oggi almeno un migliaio di
altre salme disperse, ed ancora oggi il deserto conserva taniche e pezzi di
carro armato.
Reparti
italiani ad El Alamein
X Corpo
d’Armata
Truppe di Corpo
d’Armata
- 9° reggimento
bersaglieri (XXVIII e XXX battaglione, compagnia mortai da 81)
- XLIX gruppo del 16°
reggimento artiglieria (da 105/28)
- CXLVII gruppo
artiglieria (da 149/28)
- XXXI battaglione
genio guastatori
17^ Divisione
fanteria Pavia
- 27° reggimento
fanteria (su 2 battaglioni)
- 28° reggimento
fanteria (su 2 battaglioni)
- 26° reggimento
artiglieria (II, III e IV gruppo da 75/27, 401^ e 404^ batteria da 20 mm)
- XVII Battaglione
genio misto
- 3° Reggimento
artiglieria celere (in parte)
- 21^ Sezione sanità
27^ Divisione
fanteria Brescia
- 19° reggimento
fanteria (su 2 battaglioni)
- 20° reggimento
fanteria (su 3 battaglioni)
- 55° reggimento
artiglieria (i Gruppo da 100/17, II e IV da 75/27, V da 88/56)
- 1° reggimento
artiglieria celere (in parte)
- XXVII battaglione
genio
- 34^ sezione sanità
185^ Divisione
paracadutisti Folgore
- 186° reggimento
paracadutisti (V e VI battaglione)
- 187° reggimento
paracadutisti (II, IV, IX e X battaglione)
- Raggruppamento
“Ruspoli” (VII battaglione e VIII battaglione genio guastatori)
- 185° reggimento
artiglieria (due gruppi da 47/32)
- 20^ compagnia
mortai da 81 mm
- 185^ compagnia
minatori-artieri
- compagnia
collegamenti
XXI
Corpo d’Armata
Truppe di Corpo
d’Armata
- 7° reggimento
bersaglieri (X e XI battaglione)
- 8° raggruppamento
artiglieria (LI e LII gruppo da 152/37, XXXIII e CXXXIII gruppo da 149/40,
CXXX, CXXXI, CXLVIII, CXCI e CXCII gruppo da 149/28, CCCXLI e CCCXLII gruppo
da 75/40).
102^ Divisione
fanteria motorizzata Trento
- 61° reggimento
fanteria motorizzato (su 3 battaglioni)
- 62° reggimento
fanteria motorizzato (su 3 battaglioni)
- 46° reggimento
artiglieria (2 gruppi da 75/27, 2 da 100/17, 412^ e 414^ batteria da 20 mm
su automezzi inglesi)
- I e II gruppo da
88/27 (2 batteria, preda bellica, erano “25 libbre”)
- CCCLIV e CCLV
gruppo artiglieria da 77/28
- LI battaglione
genio misto
- IV battaglione
granatieri controcarro
- 51^ sezione sanità
25^ Divisione
fanteria Bologna
- 39° reggimento
fanteria
- 40° reggimento
fanteria
- 205° reggimento
artiglieria (2 gruppi da 75/27, 2 da 100/17, 4^ e 437^ batteria da 20 mm su
automezzi di preda bellica)
- XXV battaglione
genio misto
- 135^ autosezione
- 24^ e 73^ sezione
sanità
XX
Corpo d’Armata
Truppe di Corpo
d’Armata
- 2 compagnie di
bersaglieri
- XXIV battaglione
genio
- una batteria
contraerea da 20 mm
132^ Divisione
corazzata Ariete
- 132° reggimento
carri (VIII, IX e X battaglione carri, con 120-125 M13/40)
- 8° reggimento
bersaglieri (V e XII battaglione autoportato, III battaglione armi
accompagnamento)
- 132° reggimento
artiglieria motorizzato (1 gruppo da 75/27, 1 da 90/53, DI e DII gruppo da
90/53 su autocannoni)
- DLI e DLII gruppo
semoventi da 75/18
- II gruppo da 105/28
del 24° reggimento artiglieria (secondo una fonte)
- III gruppo
corazzato Nizza Cavalleria (con 25 autoblindo Ab 41)
- XXXII battaglione
genio misto motorizzato
- 42° autoreparto
- 82° autogruppo
misto
- 132^ sezione sanità
- ospedale da campo
n.157
- 70^ e 672^ sezione
CC.RR.
133^ Divisione
corazzata Littorio
- 133° reggimento
carri (IV, XII e LI battaglione carri, con 108 – 116 tra M13/40 ed M14/41.
Il IV aveva 28 tra M13 ed M14, gli altri due solo M14) ed 1 compagnia
contraerea da 20 mm.
- 12° reggimento
bersaglieri (XXI battaglione motociclisti, XXIII e XXXVI battaglione
autoportato)
- 133° reggimento
artiglieria (CCCXXXII gruppo “bis” da 100/17, gruppo “Giorgioli” con 5^
batteria del 133° reggimento e 406^ batteria da 20 mm entrambe su automezzi
di preda bellica).
- 3° reggimento
articelere (comando, II gruppo da 75/27, 8 obici da 100/17, 2 cannoni
inglesi da “5 libbre” e 10 mitragliere da 20 mm antiaeree)
- XXIX gruppo da
88/56
- DIII gruppo da
90/53 su autocannoni
- DLIV e DLVI gruppo
semoventi da 75/18
- III gruppo
corazzato Lancieri di Novara (con 24 carri leggeri L6/40 e 3 autoblindo Ab
41)
- XXXIII battaglione
genio misto (solo una compagnia)
- 133° autoreparto
- 5^ e 23^ squadra
autisti
- 133^ sezione
sanità
- 85^ sezione CC.RR.
- 133^ sezione
sussistenza
101^ Divisione
fanteria motorizzata Trieste
- 65° reggimento
fanteria motorizzata (su 2 battaglioni)
- 66° reggimento
fanteria motorizzata (su 2 battaglioni)
- 205° reggimento
artiglieria motorizzata (I e II gruppo da 100/17, IV gruppo da 75/27, III
gruppo da 105/28 (del 24° reggimento artiglieria), V gruppo da 75/50, 1
batteria XVII gruppo da 100/17, 411^ e 416^ batteria da 20 mm su automezzi
di preda bellica).
- 9° reggimento
bersaglieri (XXVIII e XXX battaglione autoportati, XXXII battaglione
motociclisti, 105^ compagnia armi d’accompagnamento)
- XI battaglione
carri medi (con 27 – 34 carri M13/40 ed M14/41)
- CII gruppo
artiglieria da 77/28
- 886^ batteria
artiglieria da 65/17
- CVI battaglione
controcarro
- DVII battaglione
controcarro ed armi accompagnamento
- VIII battaglione
bersaglieri motocorazzato – con 8 autoblindo Ab 41
- reparto esplorante
divisionale (con 4 blindati di preda bellica, 6 camionette armate, 2
trattori coi relativi cannoni di preda bellica)
- LII battaglione
genio motorizzato
- 80° autoreparto
- 90^ sezione sanità
- 39° nucleo
chirurgico
- 22^ sezione CC.RR.
- 176^ sezione
sussistenza
Altri
reparti
- 10° raggruppamento
artiglieria (XLIX Gruppo da 105/28)
- 29° raggruppamento
artiglieria (X gruppo da 75/46 della Milizia contraerea, LVI, LVIII e LIX
gruppo da 105/32, LXXI e LXXXVIII gruppo da 75/46)
- XIX, XX, XXI e
XXIII gruppo artiglieria da 149/35
- 112^ officina
mobile
- 111^ seziona sanità
- ospedali da campo
n. 106, 116 e 579
- 21^ compagnia
medica autonoma
Note :
1) Ancora oggi, il numero esatto di carri armati a
disposizione, da parte italiana, non è accertabile al 100 %. In genere, si
deve fare una media tra le varie fonti, citando solo quelli in efficienza,
mentre il numero di quelli in riparazione era sempre cospicuo, per esempio
si tratta di altri 89 carri medi. I semoventi da 75/18 in carico erano 31,
affiancati da 16 carri-comando. Le blindo efficienti 72 in tutto contro
almeno 435 avversarie.
Reparti
tedeschi ad El Alamein
D A K (Deutsches Afrika Korps)
Truppe di Corpo
- reparto
cartografico 575
- reparto controcarri
576
- reparto controcarri
semovente 605 (almeno 13 Panzerjager I e 2 “Diana” con 76 mm)
- un battaglione dei
Flak regiment 18 e 33
- comando Artiglieria
104 (battaglioni artiglieria 115 (in parte), 221 (in parte), 362, 364, 533,
902 3 408 (pesante), 528 (pesante), batteria artiglieria costiera 149)
- comando 19^ Flak
division
- battaglione
trasmissioni motorizzato 475
- compagnia
ricognizione motorizzata 580
- battaglione
speciale “Oasi” 300
- battaglione
motorizzato rifornimenti 572
- battaglione
rifornimenti (acqua) 580
- Sonderverband
(reparto speciale) 288 – (su 2 battaglioni ed alcuni semoventi Stug III)
136^ Divisione
“Giovani Fascisti”
- due battaglioni di
fanteria
- XI e LVII
battaglione bersaglieri
- un battaglione
Guardia alla Frontiera
- 136° reggimento
artiglieria (su XIV, XV e XVI gruppo da 65/17 su camionette e XVII gruppo da
100/17 su autocarro e 88^ batteria da 20 mm su camionette)
- IX battaglione
fanteria autonomo
- XV battaglione
genio
- III gruppo
corazzato cavalleria Monferrato (con 36 blindo Ab 41)
15^ Divisione
corazzata
- reparto
cartografico motorizzato 33
- reggimento
corazzato 8 (su 2 battaglioni, con 14 Pz II, 43 Pz III a cannone corto, 44
Pz III a cannone lungo, 2 carri comando Pz III, 3 Pz IV e 15 Pz IV F2 a
canna lunga)
- reggimento fanteria
motorizzata 115 ( su 3 battaglioni)
- reggimento
artiglieria motorizzata 33 (su 3 battaglioni e con 8 semoventi francesi da
150)
- battaglione
controcarro 33 (con 16 semoventi Marder III da 76 mm)
- battaglione genio
33
- battaglione
esplorante 33
- reparto
rifornimenti motorizzato 33
- reparto
rifornimenti (acqua) 584
- compagnia
riparazioni motorizzata 33
21^ Divisione
corazzata
- reparto
cartografico motorizzato 200
- reggimento
corazzato 5 (su 2 battaglioni, con 19 Pz II, 53 Pz III a cannone corto, 43
Pz III a cannone lungo, 6 carri comando Pz III, 7 Pz IV e 15 Pz IV F2 a
cannone lungo)
- reggimento fanteria
motorizzata 104 (su 3 battaglioni e con 11 semoventi francesi da 150)
- reggimento
artiglieria motorizzata (su 3 battaglioni)
- battaglione Flak
609
- battaglione Flak 25
(con una sola batteria)
- battaglione
controcarro 39 (con 18 semoventi Marder III da 76 mm)
- battaglione
trasmissioni motorizzato 200
- battaglione genio
200
- battaglione
esplorante 3
- battaglione
rifornimento carri 200
- reparto
rifornimento (acqua) 200
90^ Divisione
“leggera”
- reparto
cartografico motorizzato 259
- reggimento fanteria
motorizzata 155 (su 2 battaglioni – ebbe anche degli Stug III)
- reggimento fanteria
motorizzata 200 (su 2 battaglioni)
- reggimento fanteria
motorizzata 361 (su 3 battaglioni)
- battaglione
esplorante 580 (24 autoblindo e 6 blindo “233” con cannone da 75 mm)
- battaglioni Flak
368 e 606
- reggimento
artiglieria (con 2 battaglioni e compagnia antiaerea 190 da 10 mm su 12
camionette)
- compagnie
artiglieria da fanteria 707 e 708 (con 8 semoventi “Bison” da 150 su scafo
Pz II)
- battaglione
controcarro 190 (anche con parte del Flak Abt 613)
- battaglione
trasmissioni motorizzato 190
- battaglione genio
corazzato 900
- battaglione genio
motorizzato 190
- battaglione
Koelleck 1
- plotone riparazioni
motorizzato 638
- compagnia
riparazioni 566 (in parte)
- compagnia
rifornimento munizioni motorizzata 540
Truppe di
supporto :
164^ Divisione
fanteria
- reggimento fanteria
125 (su 2 battaglioni)
- reggimento fanteria
motorizzata 382 (su 2 battaglioni)
- reggimento fanteria
motorizzata 433 (su 2 battaglioni)
- reggimento
artiglieria 220 (2 battaglioni, 1 con obici da 105 e l’altro con 8 cannoni
da 75 someggiati)
- battaglione Flak
motorizzato 609
- battaglione
controcarro 220
- battaglione
esplorante 220 (6 semoventi da 75 e 24 mezzi)
- battaglione
trasmissioni 220
- battaglione genio
motorizzato 220
Brigata
paracadutisti “Ramcke”
- comando brigata
- battaglioni
paracadutisti “Kroh”, “Von der Heydte” e “Hubner”
- battaglione
addestramento paracadutisti “Burkhardt”
- battaglione
artiglieria “Kagerer” (con 12 cannoni da 75 mm)
- compagnia
controcarro (con 12 cannoni da 75 mm)
Altri
reparti tedeschi
- Landeschutzen
Battalion 278 (in parte)
- sezione
cartografica motorizzata d’Armata 575
- battaglione
controcarro motorizzato 606
- battaglioni Flak
motorizzati 135, 612, 617
- reparti
sorveglianza d’artiglieria 721 e 730
- reparto osservatori
d’artiglieria motorizzato 11
- reggimento
trasmissioni motorizzato 10
- ponti radio di
Corpo d’Armata 6 e 13
- plotone
trasmissioni 937
- battaglioni
costruzione 73 (motorizzato) e 85
- reggimento
rifornimenti 585
- battaglioni
rifornimento motorizzati 148 e 149 (con personale italiano)
- battaglioni
rifornimento motorizzati 529, 532, 533, 619 (in parte), 902 e 909
- battaglioni
rifornimento speciali 792 e 798 (in parte)
- battaglione
manutenzione veicoli motorizzato 548
- parchi automezzi
560 e 566
- reparti sussistenza
motorizzati 317 e 445
- reparti sanità
motorizzati 592 (in parte) e 705 (in parte)
- ospedali
motorizzati 542 (in parte) e 667
- parco sanità
motorizzato 531
- reggimento speciale
“Brandenburg” (in parte)
- compagnie
rifornimento munizioni motorizzate 532 e 547
- uffici postali
motorizzati 659 e 762
Note :
1) I carri tedeschi disponibili erano 266, tra leggeri
(33 Pz II) e medi (96 Pz III a cannone corto, 87 a cannone lungo, 10 Pz IV e
30 Pz IV a cannone lungo, oltre a 10 carri comando Pz III). Altri corazzati
erano i semoventi controcarro Panzerjager I e “Diana” ed i Marder III (34
esemplari) e quelli d’artiglieria “Bison” da 150 su scafo Pz II e “Lorraine”
da 150 su scafo francese. Pochissimi Sturmgeschutz III a canna corta
comparvero nella 13^ compagnia del 155° reggimento (90^ Leichte Division).
Le autoblindo disponibili erano solo 47 (23 pesanti ad 8 ruote e 24 leggere
a 4 ruote).
2) L’artiglieria tedesca di quel periodo era composta
da circa 240 bocche da fuoco campali (114 per i calibri da 75 a 105, 73 per
i calibri sino a 155 mm, 26 pesanti (tra 175 e 210 mm), 27 cannoni inglesi
da “25 libbre”. I pezzi controcarro erano circa 300 (nei calibri da 37 a
76.2 mm) e ad essi si affiancavano 72 cannoni da 88/56, antiaerei ma usabili
anche come controcarri.
Reparti
inglesi e del Commonwealth ad El Alamein
Comando
8^ Armata
- 1^ Brigata
corazzata (4° e 8° Hussars, 2° Royal Gloucestershire Hussars)
- 2^ Brigata
artiglieria contraerea (2° rgt. leggero, 69° rgt. pesante)
- 21^ Brigata
fanteria indiana (I/6 e 3/7 Rajput, 2/8 Gurkha Rifles, 9^ compagnia genio
indiana, 29° reparto ambulanze indiano)
- 12^ Brigata
artiglieria contraerea (14°, 16° e 27° rgt leggero, 88° e 94° rgt. pesante)
- 1^ Brigata
artiglieria controcarro
- 6° Royal Tank
Regiment (lo squadrone B, con 12 carri Grant)
- Nucleo difesa – con
6 carri Grant e 6 blindo
-
39° Royal Tank Regiment (carri finti)
- 556^ e 588^
compagnia genio africane, 1^ compagnia “camouflage”
- 14° reparto leggero
ambulanze, 200° reparto ambulanze
- Lybian Arab Force
- SAS – Special Air
Service (un solo squadrone)
X
Corpo d’Armata
Comando
- 2 carri Grant
- 570^ compagnia
genio, 12° e 151° reparto ambulanze
1^ Divisione
corazzata
-
Comando (12° Lancers (Prince of Wales’s Own) – con 55 blindo Humber)
-
2° e 4° Royal Horse Artillery
-
11° (Honourable Artillery Company) – Royal Horse Artillery con 24 semoventi
M7
- 78° (Lancs Yeomanry)
rgt. Artiglieria campale
- 76° reggimento
artiglieria controcarro
- 42° reggimento
artiglieria contraerea leggera
- 572^ compagnia
genio africana
- 1° Northumberland
Fusiliers (reparto mitraglieri)
- 1° e 15° reparto
leggero ambulanze
- 2^ Brigata
corazzata (9° Queen’s Bays (2° Dragoons Guards) – 10° Hussars – Yorkshire
Dragoons) con 1 carro Grant, 94 M4A1 Sherman, 14 Crusader, 29 Crusader III
- 7^ Brigata fanteria
motorizzata (2° e 7° Rifle Brigade – 2° King’s Royak Rifle Corps)
Aggregati . “Kingforce” con 6 carri Churchill Mk. III
“Hammerforce” con 4/6 Armored Car Regiment sudafricano
- 146° (Pembroke)
reggimento artiglieria campale
- 73° reggimento
artiglieria controcarro
- 56° reggimento
artiglieria contraerea leggera
10^ Divisione
corazzata
- Comando (con 7
carri Crusader)
- 8^ Brigata
corazzata (3° RTR – Notts. Yeomanry – Statfordshire
Yeomanry – I Buffs) con
57 carri Grant, 31
M4A1 Sherman, 40 Crusader e 13 Crusader III)
- 24^ Brigata
corazzata (41 (Oldham), 45° e 47° RTR – 11° King’s Royal Rifle Corps) con
2
carri Grant, 59 M4A1 Sherman, 34 M4A2 Sherman, 28 Crusader e 17 Crusader
III)
133^ Brigata fanteria
autoportata (2°, 4° e 5° Royal Sussex Regiment)
-
1° Royal Dragoons con 46 blindo AEC Mk. I
-
1° e 104° Royal Horse Artillery
- 98° reggimento
artiglieria campale
- 84° reggimento
artiglieria controcarro
- 53° reggimento
artiglieria contraerea leggera
(Secondo altre fonti
:
- 84° (Sussex)
reggimento artiglieria campale
- 5° Royal Horse
Artillery)
- 141^ compagnia
genio
- 571^ e 572^
compagnia genio africane
- 3°, 8° e 168°
reparto leggero ambulanze
XIII Corpo d’Armata
- un plotone del 4/6
Armored Car Regiment sudafricano con 1 carro Grant e 13 blindo
- 118° e 124° RTR
(carri finti)
- 4° reggimento
osservazione artiglieria (comando ed una compagnia)
- 576^ compagnia
genio e 578^ compagnia genio africana
7 ^ Divisione
corazzata
- Comando (con 7
carri Crusader)
- 4^ Brigata
corazzata leggera (4/8° Hussars – Royal Scots Greys – 1° King’s Royal Rifle
Corps) con 14 carri Grant, 7 Crusader e 67 Stuart
- 22^ Brigata
corazzata (1° e 5° RTR – 4° County of London Yeomanry – 1° I Rifle Brigade)
con
54
carri Grant – 40 Crusader, 8 Crusader III e 16 Stuart
-
2° Household Cavalry Regiment – con 53 blindo AEC Mk. I
-
11° Hussars (Prince Albert’s Own) – con 43 blindo (Humber e poche Daimler)
-
2° Derbyshire Yeomanry – con 50 blindo Humber e Marmon-Herrington ed 8
Daimler)
- 44° Recce Regiment
- 2 plotoni di carri
sminatori con 12 Matilda ‘Scorpion’
-
3° Royal Horse Artillery con autocannoni –
- 4° e 97° reggimento
artiglieria campale
- 57° e 65° (Highland)
reggimento artiglieria controcarro
- 15° reggimento
artiglieria contraerea leggera
- 143^ compagnia
genio
- 2° e 14° reparto
leggero ambulanze
50^ Divisione
fanteria
- 69^ Brigata
fanteria (5° East Yorkshire Regiment – 6° e 7° Green Howards)
- 151^ Brigata
fanteria (6°, 8° e 9° Durham Light Infantry)
- 1^ Brigata greca
(1°,2° e 3° battaglione, 1° reggimento artiglieria, una compagnia
mitraglieri ed una del genio)
- 2° gruppo brigate
francese (2 battaglioni fanteria, 21^ compagnia controcarro africana da 75
mm, 23^ compagnia controcarro da 75 mm, una compagnia genio)
- 74°, 111°, 124° e
154° reggimento artiglieria campale
- 102° (Northumberland
Hussars) reggimento artiglieria controcarro
- 34° reggimento
artiglieria contraerea leggera
- 2° Chesire (reparto
mitraglieri)
- 233^. 235^ e 505^
compagnia genio
- 149° e 186° reparto
ambulanze
44^ Divisione
fanteria
- 131^ Brigata
fanteria (I/5, I/6 ed I/7 Queen’s Regiment)
- 132^ Brigata
fanteria (2° Buffs – 4° e 5° Royal Warwickshire Regiment)
- 1° gruppo brigate
francese (tre battaglioni fanteria – 1° reggimento artiglieria francese – 3°
reggimento artiglieria campale (da 25 libbre e 5.5”) – 2^ compagnia
antiaerea – 2^ compagnia anticarro (con cannoni 6 pdr) – 22^ compagnia
anticarro nordafricana (da 75 mm) – 1^ compagnia genio
- “Colonna volante”
francese (1° Spahis Marocains (uno squadrone blindo) e 1^ compagnia
controcarro (un plotone di autocannoni da 50 e 75 mm)
- 53° (London), 58° e
65° reggimento artiglieria campale
- 57° reggimento
artiglieria controcarro
- 30° reggimento
artiglieria contraerea leggera
- 6° Chesire (reparto
mitraglieri)
- 11^, 29^ e 210^
compagnia genio
- 577^ compagnia
genio africana
XXX Corpo
d’Armata
- 3 plotoni del 4/6
Armored Car Regiment sudafricano
- 121° (West Riding)
Regiment – con 16 semoventi Bishop e 10 carri Valentine OP
- 146° reggimento
artiglieria
- 7°, 64° (London) e
69° reggimento artiglieria media
- 73° reggimento
controcarro
- 56° reggimento
artiglieria contraerea leggera (168 a batteria)
- 23^ Brigata
corazzata (46° Royal Tank Regiment – con 49 carri Valentine)
- 295^ compagnia
genio africana
- 7° reparto leggero
ambulanze
4^ Divisione
fanteria indiana
- 5^ Brigata fanteria
(I/4 Essex – IV/6 Rajput – 3/10 Baluch)
- 7^ Brigata fanteria
(1° Royal Sussex – 4/6 Punjab – I/2 Gurkha Rifles)
-
161^ Brigata fanteria (1° Argyll and Sutherland Highlanders – I/1 Punjab –
4/7 Rajput)
- 1° ,2° e 32°
reggimento artiglieria campale
- 11° reggimento
artiglieria campale (secondo altre fonti)
- 149° reggimento
artiglieria controcarro
- 57° reggimento
artiglieria contraerea leggera
- 6° Rajput
- 2^ ,4^ , 11^ e 12^
compagnia genio
- 17° e 26° reparto
ambulanze
- 75° reparto leggero
ambulanze
51^ Divisione fanteria
-
152^ Brigata fanteria (2° e 5° Seaforth Highlanders – 5° Cameron
Highlanders)
-
153^ Brigata fanteria (5° Black Watch – 1° e 57° Gordon Higlanders)
-
154^ Brigata fanteria ( 1° e 7° Black Watch – 7° Argyll and Sutherland
Highlanders)
- 126°, 127° e 128°
reggimento artiglieria campale
- 61° reggimento
artiglieria controcarro
- 40° reggimento
artiglieria contraerea leggera
- I/7° Middlesex
Regiment (reparto mitraglieri)
- 50° Royal Tank
Regiment – con 44 carri Valentine
- 51° Recce Regiment
- 239^ , 274^ , 275^
e 276^ compagnia genio
- 174°, 175° e 176°
reparto ambulanze
1^ Divisione
fanteria sudafricana
- 1^ Brigata fanteria
(Royal Nataal Carabineers – Duke of Edinburgh’s Own Rifles- Transvaal Rifles)
-
2^ Brigata fanteria (I/2 Field Foce btn – 1° Nataal Mounted Rifles – Cape
Town Highlanders)
-
3^ Brigata fanteria (Imperial Light Horse – Royal Durban Light Infantry –
Rand Light Infantry)
- 1° , 4° e 7°
reggimento artiglieria campale
- 1° reggimento
artiglieria controcarro (con pezzi da 2 pdr, 6 pdr, 18 pdr e 50 mm)
- 1° reggimento
artiglieria contraerea leggera
- 8° Royal Tank
Regiment – con 51 carri Valentine
- 3° reggimento
blindo con 55 mezzi
- “President Steyn”
Regiment (reparto mitraglieri)
- una compagnia del
“Die Middlandse” Regiment (reparto mitraglieri)
- 1^ ,2^ ,3^ ,5^ e
19^ compagnia genio
- 12° , 15° e 18°
reparto ambulanze
2^ Divisione
fanteria neo-zelandese
- 5^ Brigata fanteria
(21°,22° e 23° battaglione, 28° battaglione Maori)
- 6^ Brigata fanteria
(24°, 25° e 26° battaglione)
- 4° , 5° e 6°
reggimento artiglieria campale
- 7° reggimento
artiglieria controcarro
- 14° reggimento
contraerea leggera
- 2° (Division)
Regiment Cavalry – con 15 carri Stuart
-
9^ Brigata corazzata (3° Hussars – Royal Wiltshire Yeomanry – Warwickshire
Yeomanry – 14° Sherwood Foresters ) con 37 carri Grant, 36 M4A1 Sherman, 37
Crusader e 12 Crusader III)
- 27° battaglione
(reparto mitraglieri)
- 5° e 6° reparto
ambulanze
- 166° reparto
ambulanze leggero
9^ Divisione
fanteria australiana
- 20^ Brigata
fanteria (2/13, 2/15 e 2/17° battaglione)
- 24^ Brigata
fanteria (2/28, 2/32 e 2/43° battaglione)
- 26^ Brigata
fanteria (2/23, 2/24 e 2/48° battaglione)
- 2/7°, 2/8° e 2/12°
reggimento artiglieria campale
- 3° reggimento
artiglieria controcarro
- 4° reggimento
contraerea leggera
- 9° (Division)
Regiment Cavalry con 15 carri Crusader e 4 Stuart
- 40° Royak Tank
Regiment – con 42 Valentine
- 2/3° reggimento
mitraglieri (II/2° secondo altre fonti)
- 66^ compagnia
mortai
- 2/3^, 2/4^, 2/7^ e
2/13^ compagnia genio
- 2/2°, 2/3°, 2/8° e
2/11° reparto ambulanze
Note :
1) Ai carri inquadrati nei reparti citati, si devono
aggiungere 9 Stuart per l’8° Hussars e 6 Crusaders per il comando (virtuale)
della 8^ Divisione corazzata. Da una stima parziale, si possono indicare i
carri disponibili in 111 leggeri, 280 “incrociatori”, 196 “da fanteria”, 12
sminatori, 440 medi, 40 semoventi e 6 carri pesanti, per un totale di 1.085
mezzi. Per le autoblindo, non contando i mezzi da esplorazione più leggeri,
la stima è di almeno 321 mezzi.
2) Nei reparti artiglieria inglesi e del Commonwealth,
c’era molta uniformità per i tipi di bocca da fuoco, con alcune eccezioni. I
reggimenti Royal Horse Artillery ed artiglieria campale usavano il “25
libbre” (88 mm), i reggimenti d’artiglieria media i pezzi da 4.5” (114 mm) e
5.5” (140), alcuni solo i primi, mentre quelli controcarro impiegavano nella
grande maggioranza il “6 pdr” (57 mm), ma qualcuno aveva ancora il “2 pdr”
(40 mm) a fianco. L’artiglieria contraerea leggera era equipaggiata con il
Bofors da 40 mm. Sempre da una stima parziale, si possono indicare come
disponibili dai 792 agli 832 “25 libbre” ed 8 cannoni da 75 mm francesi
m1897, 753 “6 pdr” controcarro, 500 “2 pdr” controcarro, 32 “4.5 in” e 20
“5.5 in” per un totale di 2.105 o 2.145 bocche da fuoco.
TORNA
INDIETRO