EL  ALAMEIN
 
 resoconto storico a cura di Andrea e Antonio TALLILLO
 
 
Introduzione
 
   Poco dopo le 20.30 del 23 ottobre di settant’anni fa, cominciò una delle più importanti battaglie della Seconda Guerra Mondiale. Essa finì certamente per segnare una svolta, di prima grandezza, nel conflitto in Africa Settentrionale e di conseguenza nell’andamento della Seconda guerra mondiale. Il 1942 fu l’anno decisivo per le illusioni di vittoria per le nazioni dell’Asse (Germania, Italia e Giappone), cominciando con la sconfitta giapponese a Midway nell’Oceano Pacifico nel giugno e proseguendo con la lunga battaglia per Stalingrado sul fronte russo, che finirà drammaticamente per i reparti tedeschi solo nel febbraio del 1943.
   Come urto fra masse di carri, El Alamein differì dalle grandi battaglie del fronte orientale, specie in relazione all’esigua larghezza del fronte, di circa 40 km. Da parte italiana, carristi, bersaglieri, fanti, artiglieri e paracadutisti diedero il meglio di sè stessi, ma vennero sommersi dalla superiorità tecnica e materiale dei mezzi della 8^ Armata inglese. Dalla fine della battaglia in poi, gli Alleati ottennero un forte logoramento della volontà combattiva italiana e furono in condizione poi di attaccare il continente europeo. Cosa rimane dei grandiosi progetti di chi scatenò la vasta e dolorosissima guerra, in quel lembo di deserto torrido che si affaccia su di un mare limpido come pochi altri ? Un silenzio rarefatto, quasi magico per chi abbia letto o ascoltato il racconto di chi partecipò alle tre battaglie di El Alamein. Il tempo ha posto un velo quasi d’oblio, pure se gli uomini vi hanno eretto tre grandi sacrari : alleato, tedesco ed italiano.
   Ora che El Alamein è diventata un’apprezzata località vacanziera, il paesaggio giallo-ocra, appena punteggiato da qualche arbusto verdastro, è animato da molti turisti ed è possibile visitare questa capsula temporale con uno spirito nuovo. Percorrendo la litoranea da Alessandria, il primo che s’incontra è il cimitero di guerra alleato, con le sue lunghe file di lapidi, mentre il sacrario tedesco si leva, severo come una fortezza, su di un’altura in faccia al mare. E’ in pietra grigia ed ha pesanti porte di bronzo che immettono in un cortile circolare, mentre il sacrario italiano si caratterizza  per il suo aspetto mediterraneo : una torre ottagonale di travertino bianco, con una grande vetrata interna che lascia passare liberamente il sole. 
   Rimane da ricordare a chi è più giovane l’enorme contributo di valore e sacrificio di moltissimi soldati, marinai ed aviatori, che da ambo le parti soffrirono il peso di questa tremenda battaglia nelle sabbie del deserto egiziano. Molti di essi, noti ed ignoti, riposano ancora sotto ad esse, anche fuori dai Sacrari. 
   Vogliamo ricordare quel che significa El Alamein, anche noi modellisti, nel nostro piccolo, con le nostre realizzazioni in scala. Fu una battaglia che costò molto anche in termini di vite umane, tra caduti, feriti e dispersi ai 13.560 inglesi e del Commonwealth, si affiancano i 18.000 italo- tedeschi. Questo lungo articolo è nato nella sua ossatura ancora nel 2006, ma di recente lo abbiamo ripreso in mano in occasione della mostra storico-modellistica tenutasi al Circolo Ufficiali di Verona sull’argomento. Rimasti impressionati dall’approccio nient’affatto pregiudiziale degli studenti di due licei veronesi ai risvolti umani della battaglia, non volendo che lo scritto vada perso o poco utilizzato, lo presentiamo al Sito, ampliato,  perché rimanga a disposizione di chiunque voglia saperne un pò di più, senza la pretesa di aggiungere qualcosa d’inedito alla copiosa documentazione rintracciabile. Uno dei compiti del modellista “anni 2000” secondo noi è anche quello di divulgare quel che si è studiato, per curiosità o passione per la Storia, non importa, ma sempre ai fini di realizzare una replica corretta il più possibile. In questo senso un Sito Internet è la versione più tecnologica e duratura della antica bottiglia col messaggio dentro : qualcuno, speriamo giovane e curioso, passerà su queste pagine prima o poi e potrà avere un’idea più completa di quel che fu El Alamein, perlomeno dal punto di vista storico-tecnico. Ma non sottovalutiamo neanche i modellisti meno esperti, chissà che non imparino che la seconda guerra mondiale non cominciò nel 1944 in Normandia, il che purtroppo verrebbe facilmente da credere osservando i tavoli delle mostre nazionali. Le parti successive riguarderanno infatti un compendio dei kits ed accessori disponibili sul mercato, così chi vuole, senza attendere il centenario, si potrà preparare.  
   Un grosso grazie di tutto cuore a Saverio Radogna, che non ha esitato a spronarci ed arruolarci ancora una volta per quest’avventura – un po’ insolita ma senz’altro più utile delle solite recensioni… 
 
                                                                                                                    Andrea ed Antonio Tallillo
 
 
Il territorio conteso
 
   Per quasi tre anni, l’Africa Settentrionale fu teatro di violenti combattimenti tra il Regio Esercito Italiano, al quale si unirono il famoso corpo di spedizione tedesco DAK ed altri reparti, contro reparti inglesi, truppe dell’allora Impero Britannico, Alleati e, per ultimi gli americani ma in Tunisia.
   La parte occidentale della Libia era detta allora Tripolitania, quella orientale Cirenaica, tra esse stava la Sirtica, la parte interna delle tre zone aveva il nome generico di Fezzan. Alle zone lambite dal Mar Mediterraneo, la “gefara” sabbiosa o il fine pietrisco, il “serir” della Cirenaica, seguiva dopo qualche decina di chilometri una zona montagnosa, il Gebel, largo 80 – 100 km e seguivano un territorio decisamente pre-desertico ed infine il Sahara vero e proprio. La Sirtica, una nuda tavola di terra brunastra, manca della zona montuosa e così dalle strisce di dune che coronano le spiagge si passa ad un susseguirsi di territori pre-desertici. La Piccola Sirte, bassa e sabbiosa, era costellata di “sebche” (lagune) prima del mare. Lungo le coste, c’erano dei terreni lavorabili, con attività agricole abbastanza fiorenti, sul Gebel, dove c’è più acqua, si avevano produzioni agricole costanti. Da parte libica, il profilo economico era basso, uniche attività rilevanti erano quella agricola e pastorizia, nonché un po’ d’artigianato.
   La grafia dei siti è molto cambiata, ma nei testi si possono trovare delle costanti, come Ain (sorgente) – Alam (segnale) – Bab (pista) – Bir (cisterna) – Bu (pozzo) – Buerat (pozzetto) – Dahar (dosso) – Deir (conca) – Garet o Qaret (collina) – Gebel (monte) – Maaten (sorgente) – Marabut (tomba di un santone) – Marsa (approdo) – Naqb (pozzo) – Sania (oasi) – Scegga (crepaccio) – Sghifet (corridoio, passaggio) – Sidi (signore) – Tell (dosso) – Trigh (pista) – Uadi (letto asciutto di torrente o corso d’acqua) – Umm (madre).
   Nel complesso, un terreno facile per gli attacchi e poco adatto alla difesa, prevalendo le zone sabbiose, di sabbia finissima, biancastra come cipria, nella Sirte nella Marmarica, sotto alla quale comunque dopo pochi centimetri c’erano lastroni di pietra e sopra al quale era già molto trovare il driff, ovvero ciuffi d’erba molto secca. Ci si poteva appoggiare solo su modesti rilievi isolati, in genere spogli ed alti mediamente 80-100 metri, ad eccezione delle alture a ridosso della Depressione di El Qattara, che arrivano a 150-200 metri. Ai ben pochi punti di riferimento naturali se ne aggiunsero, col tempo, diversi artificiali, come pietre o fusti vuoti a osteggiare le piste, relitti di mezzi o carcasse d’aeroplani e così via. Il più famoso era il carro armato inglese rovesciato dalla strada in forte discesa tagliata nella roccia, al costone di Sollum, nello Uadi Khof, sul quale, a beneficio della propaganda, era stata tracciata a vernice bianca la famosa (ma erronea) scritta “Carro americano, equipaggio inglese, pillola italiana”.
   Le truppe britanniche amarono dare un nome di casa ad alcuni particolari siti, come il “Marble Arch” che era l’Ara dei Fileni, “Knightsbridge” a sud-ovest di Tobruk, “King’s Cross” l’incrocio della Via Balbia con la strada per El Adem, “Piccadilly Circus”  una piazzetta circolare a sud di Sidi Barrani, vicino alla grande base di Bir  Enda, con tanto di Eros fatto di latte di petrolio, “Charing Cross” a Mars Matruh. Da parte italiana, sono registrati pochi casi, il più famoso è la storpiatura di Qaret el Hileimat (collina delle tortore) che dai paracadutsti lombardi del V Battaglione della Divisone Folgore era comunemente chiamata “La carretta dj bei matt”. La zona a sud del Ruweisat, attorno alla quale si combattè a fine agosto 1942, risultava assomigliante all’Italia meridionale nei rilievi aerei ed era attraversata, per il lungo, da due piste parallele, antichissime carovaniere dirette da Alamein all’Oasi di Maghra e chiamate dai tedeschi Pista Whisky e Pista Chianti. (vennero poi le piste Schnaps e Bier…).   
   Poi, dopo 35 mesi di guerra, nel deserto tornò la millenaria tranquillità, sui campi di battaglia restarono le tracce della lotta, ovvero relitti e materiale d’ogni genere, distrutto o abbandonato, oltre ad innumerevoli banchi di mine da bonificare e migliaia e migliaia di tombe provvisorie, riordinate solo alcuni anni più tardi, grazie alla lunga ed indefessa opera di Paolo Caccia Dominioni.    
 
 
La logistica nel deserto
 
    Sino alla battaglia finale, la guerra africana contrappose solo relativamente piccoli contingenti, e la bilancia poteva muoversi a favore dell’una o dell’altra parte a seguito del concentramento di truppe e dell’affluenza dei rinforzi. I notevoli successi dell’Asse si verificarono sempre in conseguenza dell’afflusso di rinforzi, anche modesti, mentre appena da parte avversa i rinforzi furono molto copiosi non ci fu nulla da fare. Le truppe italo-tedesche soffrivano del fatto d’essere un corpo di spedizione in un teatro operativo abbastanza isolato, raggiungibile solo via mare o per via aerea, entrambe le vie di comunicazione erano brevi ma tormentate.
   Gli avversari avevano vie di comunicazione molto più tranquille, ma lunghissime, dunque poche forze motorizzate potevano decidere le cose. L’organizzazione dei reparti italiani non era preparata, nonostante i cinegiornali dell’epoca, per l’uso massiccio di veicoli a motore, così la “guerra di rapido corso” era rimasta alla pura dottrina, senza un sufficiente numero di unità motorizzate. Il Regio Esercito non prese mai in considerazione una motorizzazione più estesa delle proprie unità perché si giudicava che il probabile teatro d’operazioni, quello montano europeo, non lo avrebbe consentito. Con l’avvicinarsi del conflitto, i reparti possedevano un parco autoveicoli antiquato ed eterogeneo, anche se alcuni modelli erano veramente all’altezza, mancava comunque un autocarro che avesse delle caratteristiche di portata adeguate o idoneo a muoversi fuori strada. Si preferì fare affidamento sulla requisizione di materiale civile, piuttosto che ricorrere a mezzi più specializzati. Del resto, sulle aliquote di autocarri disponibili, in media solo 1/3 era destinabile ai rifornimenti veri e propri.
   Nel Mare Mediterraneo si svolse una lotta priva di clamore ma senza quartiere e decisiva, quella attorno ai trasporti navali. La nostra entrata in guerra aveva privato l’impero inglese della sua via, ma convogli vennero organizzati entrando da Gibilterra per rifornire Malta ma anche l’Egitto ed il Medio Oriente, mentre quelli italiani dovevano passare da nord verso la Libia, così il passaggio dei rispettivi convogli diede l’occasione per accanite battaglie aeronavali. La fatale presenza di Malta, che non si fu mai capaci di neutralizzare, pesò sempre più decisamente sul passaggio dei vitali rifornimenti. Il periodo più brutto fu il secondo semestre del 1941, con 235.814 t. perse (il 22.39 % dei rifornimenti). 
   Le difficoltà, per la nostra marina mercantile, erano aumentate anche dalla frettolosa dichiarazione di guerra, che provocò il blocco in lontani porti stranieri, non tutti neutrali, di ben 212 navi, per ben 1.209.000 t. di stazza, 136 di esse erano particolarmente adatte al trasporto di truppe e 46 erano petroliere. Il tentativo di riparare in porti neutrali o amici riuscì a 176 navi, ma le altre ci mancarono proprio quando erano necessarie.
   Comunque, una volta sbarcato il materiale, poco o tanto che fosse, non era finita : bisognava portarlo in avanti su di un terreno spesso proibitivo per gli automezzi, anche su piste appena segnate e sotto minaccia di attacchi aerei. Il logorio giornaliero, con tappe di 250 – 300 km o anche più, era superiore ai mezzi recuperabili con il lavoro di officina, e, solo per far marciare gli automezzi che li portavano, occorrevano 3.000 – 3.300 t. di carburante. Il problema dei rifornimenti figurava in ogni operazione, ed ispirava i ritmi delle avanzate, sino a renderle troppo rischiose. Per i reparti italo-tedeschi era una costante preoccupazione, poiché non vi erano mai le possibilità di accumulare scorte adeguate. Le condizioni dei trasporti erano appena sufficienti ad assicurare i bisogni dei reparti, e senza possibilità di riparare più mezzi, sempre vittime della mancanza di riferimenti e della sabbia che, come cipria, era capace di infilarsi nel motore e negli strumenti.
   A fine luglio 1942 si era tentato di attivare un treno da 60 t. da Marsa Matruh a Rl Daba, ma la sua efficienza era incerta e la situazione tornò carente. Da quel periodo al dicembre,  con 119.780 t. di materiale perso, i problemi si avviarono a non essere più sanabili.
 
 
La mancata presa di Malta
 
   Il problema di Malta, che, solo con la sua posizione, era una spada di Damocle per l’invio di rifornimenti al lontano teatro operativo africano, era stato già messo in evidenza ancora prima dell’entrata in  guerra dell’Italia. Un progetto della Marina prevedeva un bombardamento aereo di molti giorni ed un blocco navale, seguito da uno sbarco di 21.000 uomini in contemporanea ad un lancio di paracadutisti. Non se ne fece nulla, credendo di avere già la vittoria in mano con una semplice offensiva aerea.
   Anche un piano tedesco fu rinviato a dopo la sconfitta dell’Unione sovietica. Dal febbraio 1942, da parte italiana furono interpellati specialisti giapponesi, che prepararono un serio progetto, dal mese successivo i bombardamenti tedeschi furono intensificati e si ottenne da Hitler l’approvazione per un piano congiunto italo-tedesco. Ma da parte italiana si consideravano ancora non maturi i tempi, anche se gli spaventosi bombardamenti effettuati sull’isola nell’aprile sembravano aver annientato molte delle sue difese. Si preferì dare la precedenza alla presa di Tobruk. Comunque, si stava mettendo assieme un corpo di spedizione di 62.000 uomini, 1.600 veicoli e 700 cannoni, composto da 7 divisioni italiane ( tra le quali la Folgore di paracadutisti e l’aviotrasportata La Spezia) e la tedesca 7^ aviotrasportata, oltre al Reggimento San Marco, un Reggimento speciale di Camicie Nere, il 10° raggruppamento corazzato italiano, il reparto speciale 66 tedesco, con carri anche sovietici di preda bellica, arditi ed assaltatori italiani su alianti. Le truppe di prima ondata sarebbero state 4 battaglioni paracadutisti italiani e 6 tedeschi, una compagnia controcarro da 47/32 e 4 sezioni di artiglieria tedesche ed un battaglione guastatori italiano : esse avrebbero tenuto un tratto di costa in corrispondenza dei punti d’approdo delle unità provenienti dal mare, il San Marco e le Camicie Nere, reparti speciali e le avanguardie di 5 divisioni. La seconda ondata contemplava 2 battaglioni paracadutisti italiani e 3 tedeschi con le armi pesanti, la terza la divisione italiana Folgore e la 7^ divisione tedesca.  Sarebbero stati coinvolti anche 16 piroscafi, 270 mezzi da sbarco e 50 altri natanti oltre a forti reparti aerei italiani e tedeschi.
   Le dirupate coste maltesi erano protette da forti postazioni d’artiglieria in caverna, nei pochi punti più agevoli erano stati sistemate più file di reticolati. Sul fronte nord-orientale vi erano numerose opere a difesa di Punta Dragonara e Zanka, su quello sud-orientale c’erano 4 forti e 3 batterie fortificate, integrate da postazioni in caverna di cannoni e mitragliatrici. Su quello occidentale, con la costa impervia ed a picco sul mare, vi erano solo numerosi nidi di mitragliatrici, su quello settentrionale erano fitte le postazioni di artiglieria attorno alle baie di Mellieha, Calamistra e San Paolo. Infine, l’interno era diviso dalla Linea Victoria appoggiata ad un gradino naturale ed una serie ininterrotta di trincee e postazioni, che dalla baia della Maddalena giungeva sino al colle di Binjemma. Se nell’aprile 1940 Malta aveva di guarnigione 28.000 uomini, con soli 34 cannoni ed 8 antiaerei, entro il settembre 1941 le difese erano salite a 13 battaglioni con 104 cannoni e 230 cannoni antiaerei (112 pesanti) che a tutto il 1942 si aggiudicarono l’abbattimento di 236 velivoli dell’Asse. Carenti erano invece le forze corazzate, ma del resto la fitta rete di muretti a secco presente sull’isola avrebbe compromesso la loro mobilità. Dopo alcune esercitazioni a metà giugno 1942 con 4.500 uomini, ed almeno una esercitazione notturna, ci si trovò con l’Operazione C3 (Herkules per i tedeschi) prima sospesa il 7 luglio, e poi rinviata “sine die” a fine mese. Si perse così definitivamente un’occasione che, debitamente sfruttata, avrebbe forse cambiato la storia della campagna d’Africa settentrionale.
 
 
Gli Aliantisti militari italiani
 
   A differenza della Luftwaffe, la Regia Aeronautica non mostrò mai grande interesse per le applicazioni militari del volo a vela e nemmeno le eclatanti imprese tedesche del 1940-1941 modificarono tale stato di cose. Nel 1942 la necessità di neutralizzare Malta fece ricordare il volo a vela e lo Stato Maggiore aeronautico volle costituire un nucleo piloti di alianti militari con sede a Cameri (No) per trasportare reparti speciali ed intervenire direttamente nelle operazioni. Un primo bando di reclutamento fece arrivare 80 volontari e furono gettate le basi del 1° NAVSM (Nucleo Addestramento Volo Senza Motore) con la consulenza tecnica tedesca.
    Ma non si disponeva di materiale di costruzione italiana, perché solo alla fine del 1941 era stata chiesta la realizzazione di alianti di media e grande capacità. I tempi di progettazione e sviluppo costrinsero la Regia Aeronautica a ricorrere ancora alla Luftwaffe, che aveva dei mezzi già ben sperimentati come il DFS 230 d’assalto ed il Gotha 242 da trasporto, ma gli ordini di 100 DFS e di 10 Gotha vennero poi ridotti. Non si concretizzarono progetti italiani se non tardi, c’era ancora l’intenzione di proseguire con lo sviluppo di reparti aliantisti, anche se da tempo l’Operazione C 3 per Malta era stata annullata. Un secondo bando ottenne buoni risultati, e tra il novembre ed il dicembre del 1942 oltre 250 allievi confluirono in parte in un primo corso ‘Aquila’ ed in parte nel secondo ‘Borea’. L’inizio delle attività non fu facile per il NAVSM, a causa del materiale eterogeneo di volo (almeno sei tipi diversi di alianti e nove di trainatori, la meta finale erano le macchine tedesche). A Cameri si cominciò ad usare una decina di DFS 230 ed i voli continuarono ad Orio al Serio (BG) nell’aprile del 1943, mentre i due soli Gotha restarono a Cameri che aveva pista più lunga. L’addestramento proseguì in scala ridotta ma anche in notturna, con alcuni incidenti anche gravi. Il reparto si trasferì poi a Ponte San Pietro (BG) ai primi di luglio, il che limitò ancora le attività di volo. Il 22 giugno 1943, superando una serie di prove, 11 allievi anziani del Corso Aquila ed uno degli istruttori conseguirono gli unici brevetti militari effettivi del reparto, ma gli eventi dell’armistizio bloccarono gli esami di un altro gruppo d’allievi. Nella sua breve vita il NAVSM aveva totalizzato ben 900 ore di volo su aliante        
 
 
Tobruk e la corsa verso l’Egitto  
 
   Con la presa di Bir Hackeim e lo sbriciolamento della linea difensiva avversaria, e le forti perdite inflitte, 165 carri tra il 13 ed il 16 giugno, Rommel decise di sfruttare la favorevole situazione, proseguendo al più presto con un’azione dimostrativa delle sue forze corazzate verso oriente, per costringere al ripiegamento quelle avversarie ed isolare Tobruk. Il 16, i carri dell’Ariete lasciavano la zona Dahar el Aslagh, puntando prima su Bir el Gobi e da qui verso est, su largo fronte, per dare la sensazione di voler proseguire verso Bardia e Sollum. L’azione, condotta assieme ai panzer, fruttò la cattura di un migliaio di prigionieri, e di abbondanti depositi di carburante e, con il rapido ripiegamento delle colonne nemiche, che cercavano di arrivare al confine egiziano tallonate dalle nostre punte avanzate, consentì di poter facilmente accerchiare la piazza. Il 14, nei pressi di Sidi Rezegh, l’Ariete fu finalmente sostituita dalla Littorio, unità che nonostante quel che si può pensare era formata da soldati regolari, non da Camicie Nere. Ciò che restava delle forze corazzate inglesi cercò di lanciare un attacco decisivo, ma venne ributtato indietro, con perdite gravissime, fu l’ultimo tentativo di salvare la città dall’esterno. Il 19, l’Ariete ricevette l’ordine di fare dietro front e la sera stessa si attestò a sud-est di Tobruk, pronta all’attacco.
   La piazzaforte non aveva solide mura o ostacoli in acciaio, pochissime casematte in cemento armato; il fonte  a terra comprendeva una fascia perimetrale articolata in 16 capisaldi, con opere campali intervallate di 5-600 mt, con muretti a secco, riservetta e postazioni, uno schieramento di cannoni, anche per 40 controcarro. I capisaldi erano protetti anteriormente da un fossato anticarro, distante 25-30 mt. dalle postazioni, largo 3 e profondo 1.5 mt, con pareti e fondo in calcestruzzo, ma incompleto in vari tratti e da un reticolato profondo 7-8 mt. davanti alla prima linea. All’interno della cintura difensiva, altri campi minati e magazzini molto ben forniti, il tutto sufficiente a mantenere per tre mesi la guarnigione con abbondanti scorte di acqua e carburante. Essa era costituita da quasi 33.000 uomini, compresi i reparti affluiti, a volte in cattive condizioni, a seguito della disfatta di Ain el Gazala e da 50 carri, molti dei quali recuperati dall’officina riparazioni, una decina interrati. La 2^ Divisione sudafricana e la 2^ Brigata della 1^ Divisione erano disposte sui settori ovest e sud-ovest del perimetro, la 9^ Brigata indiana invece era concentrata in quello sud-ovest. Il resto dei difensori era principalmente la 201^ Brigata Guardie e 5 reggimenti di artiglieria (25°, 67° e 68° medio calibro, 2° e 3° campali sudafricani) e reparti minori.
   Le forze italiane si posizionarono attorno El Adem e le nostre artiglierie presero di mira i settori con i sudafricani, intanto il grosso delle forze d’urto, le due divisioni Panzer e la 90^ Leggera tedesche ed i resti dell’Ariete si concentravano verso El Duda, porta di accesso alla città. All’alba del 20, dopo una brillante azione con lanciafiamme e cariche esplosive del XXXI e XXXII Battaglione guastatori italiani e del 33° Pionieri tedesco, i carri penetrarono nella piazzaforte, con l’appoggio dell’artiglieria tedesca puntarono verso nord-ovest per sorprendere da tergo, con la 90^ Leggera, i cinque fortini (numerati da 57 a 70) della cinta difensiva sud-orientale che stavano sbarrando il passo alle fanterie della Trento e Sabratha. Sulle posizioni indiane era stato sferrato un pesante attacco aereo tedesco. Il 132° carri dell’Ariete passò dal varco creato dalla 15^ Panzer, ed il suo IX battaglione arrivò al bivio di Sidi Mahmud, coprendo il fianco dei reparti tedeschi. La 15^ aveva preso in prestito gli “88” Italiani per battere direttamente i bunker ed allo 8° bersaglieri seguiva il battaglione genio della Trieste. I battaglioni II/20° della Pavia e II/27° della Brescia avevano il compito di seguire i carri per eliminare le eventuali residue resistenze. Le spalle erano garantite anche dalla Littorio, contro di essa furono lanciate due brigate mobili inglesi e ne venne fuori un serrato scontro attorno a Sidi Rezegh per buona parte del 20. Dei ponti furono gettati sui fossati anticarro e vennero aperti varchi nei campi minati, verso le 11 l’Ariete (due compagnie carri dello VIII e la 1^ del IX battaglione carri, un battaglione bersaglieri ed uno del 65° della Trieste e la Trieste (ridotta a 4 carri, 15 blindo, 24 cannoni e 1.500 tra fanti e bersaglieri) attaccarono a fondo ma l’impeto della prima fu smorzato dalle postazioni sudafricane. La divisione comunque investì il forte Pilastrino con l’appoggio della Brescia, mentre la 15^ Panzer faceva lo stesso con il Solaro, a poca distanza dall’abitato e con il porto e la rada sotto tiro. Nel pomeriggio le truppe dell’Asse erano ben dentro il perimetro, la rapidità della mossa, che mirava a dividere in due le difese, era riuscita alla perfezione. Gli avversari non riuscirono a coordinare i loro contrattacchi e neanche la temibile artiglieria britannica riuscì ad essere all’altezza della sua fama. Vennero presi interi agglomerati di magazzini, specialmente lungo la strada per Derna e tra i forti, contenenti alte piramidi di birra in scatola (marca Laager), farina bianca e riso in quantità, biscotti e gallette, the e whisky, latte condensato americano e marmellata d’arance sudafricana, bacon australiano ed americano, carne in scatola argentina ed americana, spezzatino sudafricano, agnello in scatola neo-zelandese e salmone canadese, fino all’estratto di carne Liebig ed alla frutta sciroppata. Una varietà degna del Bengodi, fatta anche di sigarette e tabacco nonché tonnellate di corredi d’uniforme in tela kaki, coperte, maglioni e scarpe. Sintomatico l’argomento scarpe in quanto ai primi reparti italiani entrati nei magazzini, arrivò notizia di un grandissimo deposito di “desert boots” , le leggere e comode scarpe scamosciate inglesi, dalla suola in gomma, ma sembra che solo il 132° artiglieria dell’Ariete sia riuscito a dotarsene, dopodiché arrivate le sentinelle tedesche non ci fu più nulla da fare. Nella notte del 20 si combattè contro diversi reparti inglesi che tentavano delle sortite, intanto si continuava ad occupare magazzini e depositi, in una lotta contro il tempo le squadre di demolizione avversarie cominciarono a distruggerne altri. Le navi ancora in uso portarono via materiale, carri armati e cannoni ma niente truppe, almeno sette verranno colpite dagli “88” e dai panzer. Verso le 7.30 apparve davanti ad un centro di fuoco del IV battaglione controcarro Granatieri di Sardegna il capitano Maxwell a chiedere la resa ed a metà mattina il generale Koppler potè concordarla con il generale Navarrini. Qualche reparto sudafricano resistette lo stesso, pochissimi altri (della 201^ Brigata Guardie e del 188° battaglione sudafricano) riuscirono ad aprirsi la strada con le armi in pugno, verso est. Il grosso della guarnigione, almeno 27.000 uomini, era stato messo fuori causa e l’85 % del materiale catturato, assieme a 2.000 veicoli, 5.000 t. di viveri e 2.000 di carburante.
    Lasciati in città 4 battaglioni per rimettere in efficienza il porto, si ripartì di slancio verso est, l’Ariete in due colonne miste con obiettivo Ras Madauer e Bir es Sciausc. Cominciò un inseguimento che incalzò gli avversari per circa 400 km, sino alla fatale zona di El Alamein, raggiunta a fine mese. Il miraggio di arrivare al Nilo occupando Alessandria, distante solo 130 km dal nuovo schieramento aveva indotto a superare ogni disagio di quelle roventi giornate. Alla frontiera egiziana si arrivò però con soli 10 carri e 15 cannoni ed un centinaio di uomini. Il maggiore ostacolo fu Marsa Matruh, un campo trincerato con sviluppo periferico di quasi 20 km, comprendente un fronte a terra con tre fossati anticarro contigui, diversi capisaldi e centri di fuoco, dietro al primo fossato un campo minato con circa 200.000 mine e seri ostacoli anticarro nelle zone est ed ovest, una difesa costiera ed un sistema difensivo periferico. La guarnigione era il grosso della 2^ Divisione neozelandese, la 10^ indiana, parte della 50^ inglese e della 5^ indiana, nel gruppo a sud la 1^ corazzata con 155 carri, verrà investita da 60 panzer e dalle forze italiane che ammontavano a 44 carri, 240 cannoni e 8.100 uomini. Fu una battaglia abbastanza anomala, da una parte le truppe dell’Asse, senza avere un’idea precisa dello schieramento inglese, abbozzarono un piano vago, gli inglesi accettarono lo scontro ma con l’intento di rompere il contatto appena possibile. Dopo una confusa lotta di due giorni, sino alle 9.30 del 29, i reparti inglesi infatti ripiegarono su El Alamein. In Marsa Matruh entrarono i battaglioni X e XI del 7° Reggimento bersaglieri, ed una compagnia del XXXII Battaglione genio, facendo 6.500 prigionieri. I carri persi dagli inglesi erano stati almeno 60, 20 dei quali Grant americani.
   Alla conquista di Marsa Matruh partecipò anche la Littorio, articolata su due scaglioni che avanzarono paralleli, verso il mare con il LI  battaglione carri ed attraverso l’interno con il 12° bersaglieri ed il III Gruppo corazzato Lancieri di Novara. Verso la sera del 29 era nella zona di El Daba, il giorno dopo sulle posizioni antistanti la linea di El Alamein, dove rintuzzò alcuni contrattacchi nemici sul fianco e sul tergo. A quell’epoca, alle truppe italo-tedesche in arrivo, circa 10.000 uomini, 55 panzer, 70 carri medi italiani, 600 cannoni, si contrapponevano 15.000 inglesi, con 150 carri, un centinaio di blindo e 400 cannoni. Tra le file italiane, un grande esempio d’ingegno ed adattabilità era il gruppo esplorante della divisione Trieste, apparso tre mesi prima in Marmarica e costituito con ottimo personale volontario ed una dozzina tra camionette e jeeps di preda bellica, armate in vario modo, 2 trattori inglesi con relativi cannoni da “25 libbre” e 2 mezzi di rifornimento. La sua grande giornata fu il 27 giugno, quando reagendo ad un contrattacco inglese che aveva sopraffatto un battaglione della Trieste, mise fuori combattimento una ventina di mezzi tra Deir el Dhib ed il costone Sanyet el Miteyryia, prendendo 1.250 prigionieri e molto materiale.
 
 
La prima battaglia di El Alamein
 
   Con la fine del giugno 1942, i reparti inglesi cominciarono a sistemarsi nei pressi di El Alamein, una piccola località sulla costa egiziana, posta a 114 km da Alessandria, dove il deserto si restringe in un corridoio di 60 km tra il mare e l’impraticabile depressione di Bab el Qattara, rendendo facile la difesa. La linea fu predisposta con cura, molti mezzi e forze fresche, composta da numerose opere campali, con ricoveri in calcestruzzo, estesi campi minati e reticolati, fino ad essere un serio ostacolo. Le unità italiane non ebbero neanche un sia pur breve riposo, e non poterono rifornirsi a fondo dell’imponente bottino di Tobruk; Rommel non intendeva mollare la presa sull’avversario, ma i suoi reparti erano veramente troppo provati. Nella tarda notte del 30 giugno, la Littorio, che procedeva su due colonne, una a nord-est con il LI Battaglione e l’altra a sud-est con il 12° bersaglieri ed il III Gruppo corazzato Lancieri di Novara, fu fermata a Ker el Bayat. L’attacco dei reparti dell’Asse, appoggiati da 85 carri (30 italiani), si esaurì contro i 116 della 1^ e 7^ Divisione corazzata inglesi. Il 3 luglio 1942 passò in continui, logoranti scontri sul ciglione di Alam Nayil e nell’area conosciuta come Deep Well, dai quali l’Ariete uscì con forti perdite, 527 uomini, 22 carri su 30, 29 cannoni e 70 automezzi. Ci si era generosamente battuti per appoggiare un attacco di panzer più a nord, senza attendere la protezione sul fianco destro della Trieste e finendo per venire circondati da forze quadruple e quasi sommersi dalla loro potenza di fuoco. Dopo una strenua resistenza durata tutto il giorno, i resti della Divisione ripiegarono sulle posizioni della Pavia. La loro riorganizzazione verrà fatta in fretta, con pochi mezzi che dovranno altrettanto in fretta tornare in linea. Ad una manovra aggirante in direzione nord-nord-est, partecipò il 133° Reggimento carri della Littorio, che riportò perdite molto elevate. La spinta offensiva data dalla presa di Tobruk non c’era più, e gli avversari reagirono con diversi contrattacchi, tra i più pesanti quello che cominciò la notte del 9, lungo il mare, contro, l’appena schierato in linea, 7° bersaglieri e la Sabratha, all’alba del 10 esso era progredito verso lo schieramento dell’artiglieria d’Armata (LII Gruppo da 152/37 e XXXIII Gruppo da 149/40). Nonostante la tempestiva azione di fuoco della 99° batteria da 149/40 che sparò ad alzo zero, i reparti della 9^ divisione australiana e 1^ sudafricana travolsero la linea degli avamposti italiani, catturando alcuni pezzi e facendo circa 1.000 prigionieri. Più grave la perdita della compagnia tedesca d’intercettazione del capitano Seebohm che non potè più dare preziosi servigi. Tra il mare e la sinistra della Trento, la 164^ Divisione tedesca, arrivata da Creta senza automezzi, un battaglione della Trieste e gruppi di bersaglieri crearono un  nuovo schieramento. Fu deciso di riprendere di slancio la posizione di Teel el Sheik, meglio nota come Quota 33, importante per gli osservatori d’artiglieria, incaricando la 3^ compagnia dell’XI battaglione carri della Trieste. I suoi 19 carri manovrarono allo scoperto tra Quota 24 e 25, finendo subito sotto il tiro dei controcarro avversari. La carica suicida finì con soli tre carri superstiti, un carro verrà trovato nel 1949, diventando un monumento nel cortile del sacrario italiano di El Alamein. Nel pomeriggio, attacchi nemici nel settore centrale e verso la ferrovia venivano bloccati energicamente dalla 15^ Panzer e dalla Brescia. Intanto, per gli italo-tedeschi stavano arrivando ed entrando in linea rinforzi, seppure minimi, con la Bologna in riorganizzazione nelle retrovie dopo la dura marcia a piedi da Ain el Gazala, due unità di paracadutisti, la divisione Folgore italiana e la Brigata Ramcke tedesca e 14 gruppi d’artiglieria. Due giorni dopo, la 9^ australiana rinnovò i suoi attacchi, prendendo di mira Tell el Eisa e decimando, nei combattimenti che seguirono, la Trieste, la Sabratha ed il 3° Reggimento artiglieria Celere. La Sabratha non si risolleverà più e nonostante la bella azione del II battaglione dell’85° a ripresa della collina, verrà sciolta ufficialmente poco dopo. Il 14, il settore centrale dello schieramento italiano fu sottoposto ad un massiccio attacco da una Divisone corazzata e due di fanteria, che investì la Brescia sino a catturarne lo Stato Maggiore.
   Dal 5 al 14, i carri della Littorio continuarono ad opporsi, assieme ai panzer, ai violenti contrattacchi inglesi, e nella tarda sera del 15 parteciparono ai duri combattimenti per la rioccupazione dei capisaldi di Deir el Shein ed El Ruweisat. Finiti gli scontri locali, ormai l’equilibrio era più favorevole agli avversari, che sino al 17 fecero perno al Ruweisat, un largo costone roccioso. Due Brigate australiane (24^ e 26^), con un robusto appoggio di carri e d’artiglieria, attaccarono decisamente da Quota 16 puntando su Bir el Maqbuq, alla giunzione tra le divisioni Trento e Trieste e polverizzando il XXXII battaglione guastatori (su un centinaio di uomini, restarono in azione 2 ufficiali e 14 uomini). Tra i reparti italiani di fanteria ed artiglieria investiti, fu messo a malpartito il III battaglione del 61° della Trento, che venne circondato ma si difese bene con la sua 12^ compagnia, venendo poi sollevato dal VIII battaglione corazzato dei bersaglieri. Il giorno dopo, alla Trento si affiancarono tre gruppi d’artiglieria e si preannunciava l’arrivo della divisone Pistoia, che non aveva mezzi adatti al deserto. 
   Il 21 reparti della 5^ Divisione indiana e 2^ neo-zelandese riuscirono a penetrare nelle linee tedesche, il 22 venne respinto un pericoloso attacco della 4^ Brigata corazzata inglese e reparti fanteria indiani e neo-zelandesi tra Ruweisat e Bab el Qattara, la battaglia si estese ma gli attaccanti vennero respinti, perdendo 146 carri e più di 1.400 uomini. Sempre lo stesso giorno, davanti a Quota 78 (Deir um el Kawabir) a cavallo Pista dell’Acqua, i paracadutisti del VII battaglione assistettero ad uno scontro ravvicinato (60 metri di distanza !) fra i carri del Panzer Regiment 8 ed i Valentine del 46 RTR (23° B.ta corazzata), il reparto inglese, tra l’altro appena giunto dopo aver fatto il periplo dell’Africa, perse moltissimi carri e 203 uomini : la zona tra Quota 78 e 63 divenne “Quota dei carri bruciati”.  Per qualche giorno ci fu tranquillità, poi nella notte del 26, a nord, la 24^ Brigata indiana e la 69^ inglese sopraffecero il I battaglione del 361° reggimento tedesco ed il I del 61° della Trento, la situazione verrà ristabilita dal reggimento d’artiglieria della Trento che distrusse 21 carri alla 1^ Divisone corazzata, altri 49 furono messi fuori combattimento dalla fanteria della Trento e dal nucleo esplorante della Trieste. Il 361° tedesco a Sanjet el Miteyrya ebbe in appoggio il IV battaglione controcarro Granatieri di Sardegna, contro reparti della 10^ Divisione corazzata inglese, la 24^ Brigata della 9^ Divisione australiana, una Brigata carri della 1^ Divisione corazzata inglese ed un reparto sudafricano, in totale gli inglesi persero 111 carri e 38 blindo.
   Nelle fasi più favorevoli, quando il fronte non si era ancora irrigidito, di fronte a 18.000 italo-tedeschi con 20 carri c’erano già 39.000 avversari con 600 corazzati. I combattimenti scemarono d’intensità, ma pur essendo considerabili “minori” imponevano un forte logorio e l’ansimante logistica dell’Asse non consentiva più di procedere in condizioni di accettabile efficienza. Ai primi d’agosto però i rifornimenti divennero sufficienti, sino a far risalire i reparti ad una consistenza di 27 battaglioni di fanteria italiani e 16 tedeschi, 12 gruppi d’artiglieria nostri e 6 tedeschi, 98 carri medi e 24 leggeri e 161 panzer, oltre alle unità esploranti e di paracadutisti. Per tutto il mese si continuò a prepararsi, con l’ipoteca del tempo che lavorava a favore degli avversari. Da metà agosto, il compito di battere Rommel era passato su di un vero capo, l’allora poco conosciuto generale Montgomery. Il piano del suo antagonista tedesco era d’investire il settore meridionale del fronte, superare di slancio i campi minati, aggirare l’intero schieramento inglese attorno alle alture di Alam el Halfa ed arrivare sulla costa del Mediterraneo ad El Hammam. La 15^ panzer entrò in lizza con 70 carri medi e la 21^ con altri 120, ma esse non riuscirono a progredire che per 12-15 km dal punto di partenza, invece dei 50 previsti entro il 31 agosto. Nella notte del 30 l’Ariete, con 127 carri tra il XIII battaglione fresco arrivato ed i precedenti IX e X varcò la linea Deir el Qattara, El Taqa, arrivando il giorno dopo a Quota 114;  8 km a sud-est di Deir el Munassib, rallentata da estesi campi minati e dalla martellante artiglieria inglese. Al XX Corpo d’Armata italiano fu assegnato l’obiettivo di Alam Halfa, al DAK Quota 132. La 15^ Panzer continuò a procedere sul fianco est dello schieramento, staccando l’Ariete e Trieste ed ottenendo un grande successo tattico che però fu subito parato dagli inglesi, che respingendo l’attacco all’estremità occidentale della zona fecero arretrare i reparti italo-tedeschi sino alla linea di El Taqa. La Littorio aveva superato, con difficoltà, un immenso campo minato inglese (25 km x 7) a sud del Ruweisat, i suoi 120 carri arrivarono a Quota 115 e fu la sola unità ad arrivare nella zona trampolino di lancio per l’ultima offensiva, quella su Alessandria, con il solo supporto di 70 panzer della 15^ tedesca. Assieme al 133° carri, parteciparono all’offensiva il 12° reggimento bersaglieri, un gruppo artiglieria da 75/27, i gruppi semoventi da 75/18 DLIV e DLVI, il XXIX gruppo da 88/56 ed il CCCXXI (bis) da 100/17. La reazione avversaria, nutrita e diretta, fu assai superiore alle previsioni e “la zampata di Rommel” risultò corta, con la perdita di 51 carri e poche prospettive di rifornimento, visto che erano state affondate 3 navi italiane con 730 t di carburante e 170 automezzi. Il 1 settembre la 15^ panzer era arrivata quasi a Quota 132, nel pomeriggio era con le proprie unità avanzate a soli 8 km dalla costa, ma contro una resistenza sempre più tenace. La 21^ oltre che dalle mine era bloccata da furiosi contrattacchi di tre brigate corazzate inglesi, altre due sorvegliavano i fianchi dei reparti italo-tedeschi. Anche l’Ariete si era dovuta fermare a Gabr Hani Zada, a secco di carburante o quasi ed allo scoperto. Con l’ordine di ripiegamento del 3 settembre e la chiusura, dopo altri tre giorni di scontri, dell’azzardato ciclo operativo conosciuto come “la corsa dei sei giorni” (Operazione Caballo per i tedeschi), la speranza di arrivare al Delta del Nilo si concluse per sempre, non restava che mettersi sulla difensiva, preparandosi a reggere l’inevitabile urto dei reparti avversari. Gli inglesi ripresero l’iniziativa già il 3, per chiudere i varchi rimasti aperti nei loro campi minati, mentre ancora le colonne dell’Asse stavano ritirandosi. A causa del potente contrattacco tedesco i combattimenti andarono avanti sino al 5 nella fascia compresa tra le due cinture di campi minati. Il 7, i reparti avversari si mettevano ad allestire nuove linee difensive più ad est, a ridosso dei campi minati. Secondo stime inglesi, le loro perdite erano state di 150 tra carri e blindo, 28 cannoni e 1.640 uomini, contro 51 carri, 70 cannoni e 4.500 uomini per gli italo-tedeschi. Probabilmente avendo perso lo smalto dei tempi migliori, mettendosi da solo in una difficile posizione, Rommel lasciò il comando il 23, per un periodo di cure e riposo in patria. Per un certo tempo, gli inglesi non sfruttarono la loro superiorità, facendo restare relativamente calmo il fonte, con un’attività d’incursioni ed attacchi locali, vivacemente parate dai reparti italo-tedeschi.  
 
 
La Divisione “Sabratha” in Africa
 
   Nelle linee dell’Asse, più di una volta i tratti di minor resistenza erano individuabili nei settori italiani, a causa di un’affrettata organizzazione difensiva, della nota debolezza degli organici e del logorio imposto da battaglie e spostamenti di moltissimi chilometri. Ma se si vuol far intendere di minor valore militare dei nostri soldati, ciò è ingiusto. Furono casi particolari, per chiarire, uno di essi è quello della “Sabratha”.
   La 60^ Divisione di fanteria ‘Sabratha’, il nome era quello di un’antichissima città della Tripolitania, fondata dai Fenici nel X Secolo A.C., poi romana ma abbandonata nell’VIII secolo D.C., era costituita principalmente dai Reggimenti di Fanteria 85° e 86°, dal 42° Reggimento Artiglieria e dal LX battaglione misto Genio. Dopo le forti perdite sostenute nell’inverno 1941, era stata ricostituita con molti elementi non omogenei, stanchi per la lunga permanenza in colonia. Purtroppo, fu una Divisione molto sfortunata, che arrivò sul campo di battaglia non tutta assieme, ma con gli organici divisi ed impiegati appena possibile, a spizzico. Questo successe più di una volta con altri reparti, e faceva parte delle circostanze, ma era uno svantaggio che si pagò caro più avanti. Rommel a fine luglio 1942, aveva inviato a Berlino un rapporto che commentava acidamente il comportamento dei soldati della Divisione, rimasti battuti da reparti australiani il 10. Colti di sopresa proprio mentre stavano dando il cambio al 7° Reggimento bersaglieri, i due battaglioni della Sabratha furono uno travolto e l’altro isolato dalla 26^ Brigata della 9^ Divisione australiana. Le posizioni italiane erano state abbandonate precipitosamente in qualche caso, lasciando aperto un varco molto pericoloso in corrispondenza del settore costiero. Un vero disastro fu evitato grazie al tempestivo intervento di reparti italiani (il 19° Battaglione del 7° bersaglieri ed un gruppo del 46° Reggimento artiglieria e tedeschi, un battaglione complementi della 90^ Leichte Division e parte del 382° reggimento della 164^ Divisione, che contennero l’attacco avversario verso le 13 e più tardi lo arrestarono a circa 7 km. dal punto di rottura. Non c’è da sorprendersi che la fortuita circostanza dell’attacco avversario, abbia potuto ottenere effetti sproporzionati. Ma non era finita, pochi giorni dopo, la notte del 16 luglio, altri due battaglioni della “Sabratha” furono colti proprio mentre si schieravano da un attacco di fanterie australiane appoggiate da carri armati. Un altro doloroso episodio per il quale il Comando Supremo italiano mosse aspri rimproveri a Rommel per avere usato truppe non pienamente pronte, ma che oramai aveva messo in troppo cattiva luce l’intera Divisione, che fu sciolta il 25 luglio, con gli organici passati alla Divisione motorizzata “Trieste” e gli automezzi superstiti alla Divisione paracadutisti “Folgore”. Bisogna però ricordare che usare i reparti al momento disponibili, senza pensare troppo alla loro possibile tenuta ed efficacia spesso era un dura necessità, e gli avversari erano tra le migliori truppe d’assalto del Commonwealth. In pratica, sintetizzando, i soldati della “Sabratha” si erano trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. L’11 agosto 1942 Mussolini, in un’impietosa dichiarazione al Consiglio dei Ministri, riferì di avere dato tale ordine di scioglimento perché gli sembrava “i cattivo gusto avere una Divisione col nome di una città morta”.        
 
 
Linea difensiva italo-tedesca ad El Alamein, settembre 1942
 
Settore meridionale
 
Fronte                               Secondo scaglione                                    Artiglieria
 
I / 20°  Brescia                   IX Btg. Carri del 132° Rgt.                        IV / 1° Rgt.
II / 20° Brescia                   III / 20° Brescia                                         VI Gr. Semoventi
Btg. Burckardt                    V Btg. Bers. 8° Rgt.                                   I / 1° Rgt.
I / 19° Brescia                     III Btg. controcarro                                    49°
Btg: Hubner                        XXVIII Btg. Bersaglieri 9° Rgt.                147 / 8°
II / 187° Rgt. Parà               II / 19° Brescia                                           III  / 1° Rgt.
IV / 187° Rgt. Parà             I / 28° Pavia                                                31 / 132° Rgt.
VIII Btg. Guastatori            XIII Btg. Carri del 132° Rgt.                     501 / 32° Rgt
Paracadutisti
VII / 186° Rgt. Parà            XII  Btg. bers. 8° Rgt.                                III / 1° Rgt.
VI / 186° Rgt. Parà             X Btg.  Carri del 132° Rgt.                         I / 21° Rgt.
V / 186° Rgt. Parà               II / 28° Pavia                                              V Gr. Semoventi
II / 27° Pavia                       33° Reparto esplorante tedesco                  II / 26° Rgt.
I / 27° Pavia                         =                                                                 IV / 26° Rgt.
Raggr. Kasta                        =                                                                 III / 26° Rgt.
=                                          =                                                                  Gruppo misto
 
Settore settentrionale   
 
X Btg. bersaglieri               XI Btg. / 7° Rgt. Bersaglieri                       II / 220 tedesco
=                                         I / 115° tedesco                                           357° tedesco
II  / 125°  tedesco               LI Btg. Carri  133° Rgt.                             131°   
I / 125°  tedesco                 XXIII Btg – 8° Rgt. bersaglieri                  II / 33° tedesco
=                                         II / Pz. Rgt. 8  tedesco                                I / 33° tedesco
I / 62°  Trento                     IV Btg. carri 133° Littorio                         33° controcarro tedesco
I / 382° tedesco                   III / 115° tedesco                                       332° tedesco
III / 62° Trento                   II / 115° tedesco                                         IV / 46°
III / 382° tedesco                XII Btg. carri 133° Littorio                        556° Gruppo semoventi
II / 62° Trento                     II / 61° Trento                                            36°
II / 382° tedesco                 XXXVI Btg – 12° Rgt. bersaglieri             355°
III / 61° Trento                   XXI controcarro                                         29°
II / 433° tedesco                 I / Pz. Rgt 8 tedesco                                   III / 33° tedesco
I / 61° Trento                      III / 433° tedesco                                       II/ 46°
I / 433° tedesco                  III / 40° Bologna                                        554° Gruppo semoventi
II / 40°  Bologna                I / 39° Bologna                                           I / 220° tedesco
I / 40°  Bologna                 =                                                                  III / 46°
Btg. Parà Heydte              =                                                                   I / 46°
Btg. Schwiger                  =                                                                    IV / 205°
III / 39° Bologna             =                                                                    354° Gruppo
=                                     =                                                                     III / 205°
=                                     =                                                                     I / 205° 
 
 
Le Divisioni di fanteria italiane
 
   Le Divisioni di Fanteria del Regio Esercito per l’Africa, nel 1940, erano costituite da un Comando, 2 Reggimenti su una Compagnia Comando, tre Battaglioni di fucilieri, una Compagnia mortai da 81, una Compagnia Controcarro ed accompagnamento da 47/32. A loro volta, i Battaglioni erano su una Compagnia Comando, tre di fucilieri ed una armi accompagnamento. Il Reggimento di Artiglieria comprendeva sino a tre Gruppi, in genere due da 75 ed uno da 100 mm, ed una batteria contraerea da 20 mm, ma gli organici furono molto variabili. La Fanteria era nel complesso dotata di armi non moderne e quelle automatiche di squadra erano soggette ad inceppamenti e non adatte al deserto. La vera nota dolente era nei pezzi controcarro ed antiaerei, distribuiti in numero esiguo e nella mancanza di adeguati mezzi di trasporto. I fanti in pratica andavano  a piedi, disponendo di un limitato numero di automezzi, ed i reparti ausiliari erano ridotti al minimo, essendo in genere solo un Battaglione Genio, Sezioni Sussistenza e Sanità, nonché Sezioni Carabinieri Reali.
   Le due Divisioni Motorizzate usate in Africa (la Trieste e la Trento) avevano tre Reggimenti Fanteria, uno era di Bersaglieri, un Reggimento Artiglieria ed un Battaglione controcarro, per il resto erano simili a quelle di fanteria, solo che avevano i mezzi di trasporto necessari (questo però non accadde sempre…). L’unica Divisione Paracadutisti comparsa in Africa, la Folgore, fu usata quasi subito come fanteria, restando col minimo di servizi, e sorte quasi analoga ebbe più tardi la Divisione La Spezia, unica unità aviotrasportata. Per avere un’idea più chiara della situazione, basta fare un confronto con le analoghe unità avversarie, risalente circa al 1942 :
 
Battaglione Fanteria                                                              Italiano                          Inglese
 
Uomini                                                                                         450                                800
Armi automatiche                                                                          27                                120
Armi controcarro                                                                          18                                  25
Automezzi                                                                                    12                                  78*
 
* Fra i quali 21 cingolati  “Universal carrier”
 
Divisione di Fanteria                                                           Italiana                           Inglese
 
Uomini                                                                                   7.000                            13.600
Armi automatiche                                                                     238                              1.500
Mortai                                                                                        18                                 220
Armi controcarro                                                                      144                                 168
Cannoni                                                                                      60                                   72
Automezzi                                                                                 350                              2.500*
 
* Fra i quali 45 blindo e 256 cingolati “Universal Carrier”
 
 
Carri e  carristi italiani
 
   L’arma  decisiva nella guerra nel deserto fu il carro armato, sia per la natura del teatro operativo, che non aveva ostacoli sensibili alle sue manovre, sia perché era una perfetta arma di penetrazione negli schieramenti avversari, che poteva costringere alla ritirata o alla resa anche forze nemiche numericamente superiori. La dottrina militare tedesca, usando mezzi a volte eccellenti guidati da comandanti di corazzati esperti e con molta intraprendenza, influenzò in maniera decisiva le battaglie più importanti, almeno finchè la superiorità di mezzi, dovuta all’entrata in guerra degli Stati Uniti, mise di fronte ai panzer ed ai nostri carri del materiale veramente valido e competitivo come i carri medi Grant e Sherman.
   I nostri carri restarono, per una serie di circostanze, inferiori a quelli tedeschi ed avversari a causa di poca esperienza nella progettazione ed uso di una simile arma. L’andamento della guerra sui nostri fronti non ci aveva permesso di sviluppare una serie di carri come gli inglesi e i francesi e nel primo periodo di guerra si restò al palo senza avere molta inventiva. Una falsa teoria basata sulla forza del numero ma con mezzi poco pesanti vide il successo negli anni Trenta di carri leggerissimi, che non potevano però fare di tutto e, soprattutto, non furono affiancati da nulla di più, se non  nel 1939, quando ormai le basi di moderne forze corazzate erano state già preparate in diversi altri paesi.
   I primi carri medi, ma erano medi solo per noi, pesando la metà di quelli tedeschi, entrarono in servizio poco prima dell’entrata in guerra dell’Italia ed in numero esiguo, circa un centinaio. Inoltre la sistemazione del loro armamento principale era irrazionale, essendo il cannone montato in casamatta, senza molto brandeggio. Solo nell’autunno del 1940 arrivarono in Africa i primi carri medi, allora abbastanza validi contro i mezzi avversari, ma usati male, a piccoli gruppi e privi di radio, perciò senza adeguato coordinamento, non poterono avere un gran peso sulle prime battaglie, finendo distrutti o catturati. Nel marzo 1941, l’arrivo dei nuovi carri M13 e del contingente tedesco, riequilibrò le cose a nostro favore, ma seguirono diversi scontri nei quali i nostri carri si dimostrarono meno mobili, protetti ed armati della media. L’insufficiente rapporto potenza-peso rendeva problematico sia sfruttare le vittorie negli scontri sia restare al passo coi più potenti e mobili panzer. Purtroppo, la situazione non cambiò neanche per tutto il corso del 1942, perché non erano stati intanto realizzati che alcuni carri solo leggermente migliorati, gli M14. L’apparizione, nella seconda metà del 1942, dei primi carri medi americani, meccanicamente molto affidabili, ben protetti ed armati con cannoni da 75 mm a canna lunga, fu l’evento decisivo a nostro sfavore.
   Per tutta la durata della lunga campagna d’Africa, alla scarsità di mezzi e prestazioni dei mezzi stessi ovviarono gli equipaggi carristi. Essi furono molto valorosi, spesso sacrificandosi totalmente, contro una compagine che aveva sia molti più carri che rifornimenti. Tra i vari battaglioni costituiti, senza voler tenere in ombra altri reparti, si distinsero quelli della Divisone Ariete, una grande unità nata a Verona e famosa anche presso gli avversari. Dagli inizi del 1942, ai nostri carristi si affiancarono gli artiglieri dei quattro gruppi semoventi, assegnati alle divisioni corazzate in Africa. Questi mezzi, che erano stati velocemente progettati usando lo scafo dei carri M13, erano gli unici corazzati bene armati ed in grado di mettere fuori combattimento persino gli Sherman, grazie alle granate a carica cava. Ben presto, infatti, più che nel ruolo d’appoggio i carri furono positivamente usati nei combattimenti diretti con i corazzati avversari.
   La figura del carrista italiano del deserto è ormai passata alla leggenda, con l’uniforme tropicale o con il giubbotto e l’inconfondibile casco di cuoio. Seppe sempre battersi e fare il suo dovere, facendo molto, con quel poco materiale che c’era a disposizione.     
 
 
L’artiglieria italiana in Africa Settentrionale
 
   Nel periodo fra le due guerre mondiali, anche se non fu attivato il pieno ammodernamento delle artiglierie per mancanza di fondi, furono portati avanti studi che consentirono l’adozione di bocche da fuoco moderne, prodotte però in limitate quantità, la scarsità di materie prime ed una cattiva programmazione non consentirono di fare di più. All’entrata in guerra,erano pronti o in completamento 54 Reggimenti, oltre a 3 per le Divisioni corazzate, 2 per le motorizzate, 18 per i Corpi d’Armata e 5 d’Armata. Furono poi costituiti, in velocità 9 tra Raggruppamenti e Gruppi. Nel corso del conflitto, il parco artiglierie non fu sufficiente, sia per le necessità dei vari fronti che per qualità. I pezzi erano in buona parte o vecchi o di preda bellica austriaca, ed in parte ammodernati con l’adozione di ruote metalliche per il traino meccanico, o con un nuovo munizionamento. Alla penuria di materiale moderno si aggiunse la dispersione in Russia di parte considerevole di esso, che così mancherà nella fase cruciale della campagna d’Africa.
   Certo, i carri armati e le loro spettacolari galoppate colpivano la fantasia,facendo vedere più vicina Alessandria, ma non è poi vero che l’esito della campagna dipendesse solo dai reparti corazzati. Anche l’artiglieria aveva il suo peso sul piatto terreno africano ed i pezzi, se moderni, erano in grado di appoggiare o contrastare efficacemente ogni tipo di reparto. Nel contempo, potevano appoggiare, anche contro particolari obiettivi fortificati, nelle penetrazioni a largo raggio, le rispettive formazioni corazzate. Gli eventi bellici portarono poi in servizio altri pezzi di preda bellica, anche forniti dalla Germania.
   Alla fine del settembre 1942, lo schieramento di artiglierie italiane in grado di misurarsi con quella, tradizionalmente molto potente, inglese non superava, in tutto il Nord Africa, le 165 bocche da fuoco (12 da 149/40 ; 14 da 149/28 tedeschi; 17 da 90/53; 98 antiaerei da 75/46 e due gruppi da 88/56 tedeschi). La maggior parte dei gruppi, con 266 bocche da fuoco di tipo vario, aveva invece potenza di fuoco non più adeguata, esistendo ancora molti pezzi risalenti alla Grande Guerra. Nel caso dei 75, si poteva usarli meglio col sistema di scavare sotto alle code, in modo da aumentare il loro alzo. Una certa diffusone, nelle fila di alcuni reparti, ebbero i pezzi inglesi da “25 libbre” (88/27) catturate durante l’offensiva estiva del 1942 e che resteranno in linea il più possibile, sino alla Tunisia. Il pezzo in questione era di leggendaria potenza, capace di sparare fino a 12 km, senza che si potesse controbatterlo con efficacia. Per i controcarro, l’inferiorità si protrasse molto a lungo, il nostro pezzo standard da 47/32 non era più in grado di perforare facilmente i carri avversari già dalla fine del 1941, ma non si potè sostituire.
 
 
La leggenda della Folgore
 
   Settant'anni fa, senza ombra di retorica, i paracadutisti italiani furono protagonisti di una pagina memorabile, pur battendosi come molti altri, privi di tutto e contro un avversario molto superiore. Fu un sacrificio cosciente, come quello di tutti gli altri soldati italiani di quel lontano fronte, ma reso più amaro dal fatto che si trattava di combattere come la fanteria, senza sfruttare il lungo ed accurato addestramento da paracadutisti, per ben altro tipo di combattimenti.
   La Divisione Folgore, costituita nell’estate del 1941 e completata ai primi del 1942, comprendeva otto Battaglioni della specialità compreso uno di guastatori oltre altri reparti assegnati. In totale, si trattava di poco meno di 5.000 uomini, che verranno trasferiti gradualmente in zona d’operazioni dopo un lungo viaggio attraverso i Balcani per ingannare  i servizi segreti avversari. I primi 2.600 (il V e VII Battaglione ed il 2° Gruppo artiglieria) arrivarono in Africa a metà luglio1942, entrando in azione nella battaglia di Alam Halfa, gli ultimi il 6 agosto. Man mano che poi il fronte si stabilizzava, i parà entrarono in azione con pattuglie, portando a termine colpi di mano ed in 15 giorni fu creata una “zona di rispetto” che rese più sicure le nostre linee. Era però ormai chiaro che l’operazione su Malta era stata cancellata e restava l’esigenza di avere truppe fresche a fianco dei malridotti reparti già in loco. Il 3 settembre ci fu un contrattacco inglese che investì il Raggruppamento Camosso (IX e X battaglione) ma dopo tre ore di lotta, con l’aiuto di reparti del Brescia e dei parà tedeschi della Ramcke fu respinto, usando una tattica empirica ma molto efficace contro i carri armati avversari, che verrà applicata su larga scala tre settimane dopo.  
   Non si potè mettere a frutto la pausa di quasi un mese prima della battaglia decisiva, con un rapporto di forze decisamente a nostro sfavore e per di più con l’attaccante che aveva il completo dominio dell’aria. Il terreno, tranne che per pochi tratti, era sin troppo idoneo all’uso dei mezzi corazzati e motorizzati, mentre l’armamento dei parà non poteva che essere leggero. La difesa in ogni caso era resa più difficile perché il settore settentrionale di Deir el Munassib restava un delicato saliente. Le linee italiane si snodavano all’estrema destra dello schieramento italo-tedesco per circa 15 km, si trattava di un allineamento di radi capisaldi e nidi di mitragliatrici, con spazi interposti vigilati da campi minati. A distanza variabile tra 1 e 2 chilometri, parallele alle nostre linee correvano quelle inglesi. In seguito al continuo martellamento dell’artiglieria avversaria, in ottobre si erano diradate le forze in prima linea, scaglionandole più in profondità.
   Sin dal primo scontro, si cercò di riequilibrare la sproporzione di uomini e mezzi, per fortuna gli attacchi inglesi erano condotti quasi sempre in  modo ripetitivo, preceduti da una massiccio fuoco d’artiglieria. Si restava così nelle buche, entrando in azione quando il tiro veniva allungato, aprendo il fuoco  a breve distanza; spesso i reparti avversari venivano lasciati penetrare nelle difese, per attaccarli con più efficacia incrociando il tiro. Solo nel primo scontro la nostra artiglieria riuscì a dare un fattivo contributo contro i carri armati, in seguito si dovette lottare con le bombe a mano e tanto fegato. Nello scontro del 25 ottobre fu usato quasi ogni mezzo immaginabile, comprese mine, cariche esplosive, bottiglie Molotov ed in alcuni casi anche lanciafiamme. Tutti mezzi che presupponevano particolare ardimento, ai limiti della temerarietà. I criteri di scelta e le indubbie qualità d’iniziativa individuale, unite al morale alto ed all’eccezionale spirito di corpo resero le squadre dei parà molto efficaci, ma la lotta ravvicinata fu causa di una parte delle sensibili perdite sostenute.
   Il 29 ottobre, l’offensiva nel settore della Folgore si poteva dire fallita, dopo giorni di accaniti ma inutili attacchi gli inglesi avevano lasciato sul terreno più di un centinaio di carri armati e 150 tra carriers ed automezzi, più di 600 caduti e anche 197 prigionieri, tra i quali 23 ufficiali. I “folgorini” avevano contrastato quasi da soli circa otto brigate di fanteria e quando al sera del 2 novembre arrivò l’ordine di ripiegare essi presidiavano ancora saldamente le loro linee, anche se a caro prezzo, perché erano stati persi 43 ufficiali e 560 tra sottufficiali e paracadutisti sui quasi 3.000 componenti della Divisione. Anche gli ufficiali superiori non s’erano risparmiati, su 18 di essi vi furono 9 caduti e 4 feriti. Il successivo ripiegamento sulle posizioni di Fuka e poi sulla linea Gebel Kalak, 25 km più ad occidente, fu effettuato in condizioni durissime, respingendo continuamente puntate offensive di autoblindo e mezzi motorizzati. La leggenda della Folgore fu fatta nascere anche dagli inglesi, non sempre obiettivi nel riconoscere il valore di certi reparti del Regio Esercito. Lo stesso Churchill, in un discorso alla Camera dei Comuni, ebbe parole di grande ammirazione per quelli che definì “i leoni della Folgore”.   
 
 
L’apoteosi
 
   El Alamein era una stazioncina sulla ferrovia per Marsa Matruh, distante circa 8 miglia dal mare. Da essa si arrivava a Qaret el Himeimat ed alla Depressione di Qattara, larghissima conca salmastra, non c’era altro varco per proseguire verso il canale di Suez. La linea difensiva italo-tedesca era costituita da un velo di avamposti e da estesi campi minati, con davanti ad essi molte postazioni di mitragliatrici e cannoni anticarro, e da una linea di capisaldi, che avrebbero dovuto bloccare l’attaccante. Gli Alti Comandi italo-tedeschi non erano riusciti a rinforzare i reparti schierati contro la fortissima compagine della 8^ Armata inglese, sia per la perdita in mare di molti rifornimenti, che per il crescente impegno sul fronte orientale, che richiedeva sempre più risorse. Verso la metà di ottobre gli opposti schieramenti erano ben delineati, ma in pratica le proporzioni erano tutte a favore dei nostri avversari, essendo in media 3 a 1 per carri e fanteria e di 5 a 1 per l’artiglieria, per non parlare dell’aviazione ( 8 a 1), delle riserve di munizioni (30 a 1) e di carburante (100 a 1). A rendere praticamente impossibile una vittoria per i reparti dell’Asse c’era anche la presenza di ingenti riserve di pronto impiego per gli inglesi. Nei carri armati, tra i protagonisti della guerra nel deserto, il divario era anche qualitativo, perché i mezzi italiani erano quasi tutti ormai inadeguati, tranne che per una trentina di semoventi da 75/18, ed anche in campo tedesco solo la trentina di Panzer IV più moderni era in grado di misurarsi contro centinaia e centinaia di ben armati e protetti carri americani. Nel campo delle artiglierie, la superiorità era tutta dell’avversario, con i suoi ottimi “25 libbre” ed i numerosi controcarro da 57 mm, mentre gli italiani avevano meno cannoni e di troppi calibri, oltre agli ormai inefficaci 47/32 controcarro. Meno inferiori quelli tedeschi, con una superiorità in fatto di controcarri, grazie ai pezzi sovietici di preda bellica, e di una settantina dei celebri “88” a duplice uso antiaereo ed anticarro. Per rinforzare il fronte, in considerazione dell’insufficiente armamento italiano, si erano disposti sul terreno reparti alternati italiani e tedeschi, organizzati in gruppi o “Raum”, in genere trincerati al riparo dei “giardini del diavolo”, ampi campi minati rettangolari.
   Nel settore settentrionale, che arrivava sino alla Depressione di El Mireir, in prima linea, erano presenti la Trento e la Bologna, intervallate con la 164^ tedesca e parte della Ramcke, in seconda linea reparti della 15^ Panzer, carri della Littorio, bersaglieri del 7°, 8° e 12° Reggimento, fanti della Divisione Bologna. In quello meridionale la Brescia, altri due battaglioni della Ramcke, la Folgore e la Pavia, in seconda linea la Ariete e la 21^ Panzer, la Brescia e parte della Pavia, altri reparti dello 8° e 9° Reggimento bersaglieri. Come riserva d’Armata, più indietro, a nord c’erano la 90^ leggera tedesca e la Trieste, lungo la costa diversi reparti minori. In tutto, a parte le unità minori, si trovavano di fronte 12 divisioni italo-tedesche (4 corazzate) a 10 inglesi (3 corazzate), ma queste erano a pieni organici. Inoltre, mancando il carburante, le unità mobili dell’Asse potevano solo eseguire contrattacchi per cercare di logorare l’avanzata nemica e diversi mezzi italiani erano interrati ed usati pertanto solo come semplici fortini, non sempre efficaci.
   Il piano inglese prevedeva una prima fase (Lighfoot), nella quale ci si sarebbe aperti dei varchi nei campi minati usando unità corazzate e di fanteria, facendo passare oltre solo la seconda. Dopo un periodo di calma assoluta, le artiglierie inglesi, un migliaio di pezzi disposti su circa 10 km a poca distanza dal nostro fronte, alle 20 e 40 circa del 23 ottobre cominciarono un’intensissima e metodica preparazione d’artiglieria, una pioggia di fuoco che durò per 12-20 minuti, paralizzando i reparti dell’Asse, sconvolgendo le retrovie e facilitando il compito delle fanterie inglesi, appoggiate da 320 carri e favorite pure dalle luce lunare. Verso le 22 il fuoco riprese, si rispose per quanto era possibile, sparando a brevissima distanza contro i corazzati avversari che avevano travolto le prime postazioni. La resistenza fu però tenace e la prima mossa inglese non ebbe i risultati sperati, solo la 9^ Divisione australiana,  a nord, non aveva avuto eccessive difficoltà. Erano stati travolti reparti della Trento ed il 382° della 164^ tedesca, che cedette per primo, ma, in pratica, era stato occupato solo un settore dei campi minati, il J, ed intaccati i settori K ed L. Dalle 2 del mattino del 24, la 1^ e la 10^ Divisione corazzata inglese, nel settore nord, si erano mosse con difficoltà, i reparti italo-tedeschi reagirono anche con un violento contrattacco della 15^ Panzer. A sud, un reparto francese tentò di prendere Qaret el Himeimat, ma venne respinto dal VI battaglione della Folgore. Alle 8 del 25 le due divisioni corazzate inglesi erano penetrate solo di 1.800 metri nei campi minati, la 2^ neo-zelandese e la 8* brigata corazzata inglese li avevano passati, subendo però diversi contrattacchi della 15^ Panzer, che inflisse loro consistenti perdite, ma ne ebbe di non ripianabili. A mezzodì, le forze inglesi si incanalavano in due diverse direzioni, verso il “Kidney Ridge” e verso il settore chiamato Punto 29. La 9^ australiana doveva colpire in questa chiave di difesa le forze tedesche, la mossa riuscì nella notte ed i contrattacchi della 21^ e 90^ tedesche, nonché della Trieste si infransero contro la 1^ corazzata inglese. Il IV battaglione carri della Littorio contrattaccò i reparti della 10^ corazzata inglese e nel sanguinoso scontro riuscì a fermarli più con il loro coraggio che con la potenza di fuoco, perdendo in 10 minuti 18 carri. Assieme alla 15^ Panzer, si era comunque riusciti a contenere la 9^ australiana e la 51^ scozzese. A sud-ovest di Quota 29, gli attaccanti vennero affrontati dalla 90^ leggera e dal IX battaglione carri e VI gruppo semoventi dell’Ariete, ma la posizione fu persa e fu vano il contrattacco dei bersaglieri dell’ XI battaglione della Trento. Gli attacchi tra il 25 ed il 26 contro tre battaglioni della Folgore (II, VI e VIII guastatori) furono respinti con l’aiuto di due gruppi artiglieria della Brescia e della Trieste. Tra il 26 ed il 27, due plotoni del IV battaglione carri protessero bene una compagnia granatieri tedesca, fermando un violento attacco di camionette. Nello stesso giorno, ma sul “Kidney Ridge”, la situazione fu ristabilita dal XII battaglione del 133° Carri della Littorio.            
  Attorno al 27 ottobre, gli inglesi tentavano di allargare il saliente creatosi, ma il loro poderoso attacco fu respinto dai fanti del 40° della Bologna. Il IX battaglione dell’Ariete fu spostato verso nord a rinforzo, assieme alla 90^ leggera ed alla 21^ Panzer, ma dopo alcune favorevoli azioni locali arrivò il potente fuoco d’artiglieria inglese. La Littorio era già duramene impegnata, dalla mattina, attorno a Quota 34 con il XII carri e con il DLIV gruppo semoventi, nel pomeriggio un contrattacco verso Quota 28 con il LI battaglione carri e l’XI bersaglieri ebbe successo. Nella notte, arrivò l’ordine di schierarsi davanti alle batterie sistemate a nord-ovest del sito AP 453 per la loro protezione ad oltranza, sino al sopraggiungere della 21^ panzer. La violenta reazione nemica si concentrò sui carri italiani, lasciando avvicinare i panzer, che batterono gli inglesi qualche ora dopo. Nel tardo pomeriggio, i carri italiani furono spostati in zona AP 411, in appoggio al XXIII battaglione bersaglieri.
   Il 28 ottobre si svolse un’altra sanguinosa battaglia d’arresto, con l’intervento a Quota 34 di due battaglioni carri del 133° e del DLIV gruppo semoventi, assieme alla 21^ Panzer, mentre la Ariete, anche con i suoi tre validi gruppi d’artiglieria, contrastò bene gli attaccanti attorno a Quota 28, con il supporto della 15^ e 90^ tedesche. Un contrattacco notturno della 9^ australiana che cercava d’incunearsi nello schieramento per conquistare la strada costiera, isolandola in parte, trovò una ferma resistenza italo-tedesca. I carri inglesi, superati i campi minati, avevano puntato sulle posizioni del 46° reggimento artiglieria, che si distinse nel combattimento ravvicinato per diversi giorni, interrando di 2 metri le code dei pezzi da 75 mm delle batterie 10, 11 e 12 riuscì ad arrivare con il tiro sino a 7 km., ma nella notte esse dovettero arretrare, a corto di granate e senza collegamenti. Il giorno successivo, l’attacco dei carri inglesi investì anche l’8° artiglieria pesante ed il II / 220 tedesco.
   Il 30 la Littorio era ridotta a poco più di 30 carri e 6 semoventi, ma combatteva ancora a Quota 33, con accanto una decina di panzer della 15^. Ebbe poi in rinforzo i mezzi superstiti del IV  battaglione carri e del DLVI gruppo semoventi, effettuando anche un contrattacco. Grazie anche all’appoggio dell’XI battaglione carri della Trieste, sino a notte furono messi fuori uso 39 carri nemici. Il giorno successivo, il cuneo inglese si estendeva, si batterono bene i reparti della Littorio, specie i bersaglieri del 12° reggimento (XXIII e XXVI Battaglione), ma con perdite sensibili specie nei carri.
   La seconda parte del piano inglese, l’Operazione Supercharge, vide un attacco su 3.600 metri con l’appoggio di 360 cannoni, contro i nuclei che ancora resistevano e che non potevano opporre che 140 carri ed un buon numero di efficaci cannoni controcarro. La 9^ Brigata carri che guidava l’attacco perse quasi l’80 % dei mezzi ma riuscì a sconvolgere il settore del fronte che investì, aprendo la strada alla 1^ corazzata inglese che potè dilagare dietro il fronte tedesco, battendo i panzer alla pista Rahman. La battaglia si frazionò in decine di scontri minori ma anche molto violenti ed a sera agli italo-tedeschi restavano solo 70 carri a disposizione, per la metà italiani. Erano usciti di scena il 133° reggimento carri, distrutto Tell el Aqqaqir e l’ XI battaglione, che sacrificandosi per intero consentì, almeno un parziale, sganciamento della Trieste. L’esito della battaglia era stato incerto sino all’ultimo, poi con enormi sacrifici di mezzi ed uomini la penetrazione inglese era stata arginata. Il grosso dell’Ariete venne spostato a nord dal pomeriggio del 2, per tentare di contrastare l’offensiva nemica e coprire la ritirata delle truppe dell’Asse. Ormai i reparti italo-tedeschi erano a malpartito, ciononostante da Berlino arrivò l’ordine perentorio di resistere ad oltranza, vietando ogni sganciamento. L’Ariete, lasciando sul fronte meridionale la sola Folgore, raggiunse la meta, una fascia di 4 km. tra Bir el Abd e Deir el Muna, con 111 carri e 12 semoventi. Mosse poi verso est, ma in breve tempo i carri, superati sui fianchi ed accerchiati, dovettero combattere sin quasi all’alba in una lotta impari, non solo dal lato numerico. Dopo aver perso gli ultimi 11 carri efficienti il XIII battaglione ne rimise in campo 6, poi travolti alla stazione di Fuka da una forte avanguardia inglese. Verso le 8 del 4 novembre, il X battaglione respinse un primo attacco, preceduto da un intenso fuoco d’artiglieria. Diversi carri furono colpiti ma l’unità tenne bene, salvando il fianco destro, restava la minaccia di circa 200 carri inglesi che aveva ancora davanti. Nel primo pomeriggio l’Ariete combattè contro l’aggiramento avversario, finchè verso le 16 un attacco inglese con i carri, sia di fronte che sui fianchi e la scarsità di granate provocarono un graduale ripiegamento degli ultimi pochissimi carri su Quota 78, assieme all’IX battaglione e con al copertura del XIII, che finì quasi annientato. La 51^ divisione scozzese e la 9^ brigata indiana avevano sfondato il fronte, seguite dalla 9^ australiana che si dirigeva verso al costa, ben appoggiata da carri ed artiglieria. L’Ariete e la Littorio cercarono di ritardare il più possibile l’avanzata; si combattè per 5 ore, contro carri che potevano colpire a grande distanza, mentre i nostri dovevano avvicinarsi troppo per essere efficaci. A metà pomeriggio restavano solo una trentina di carri, assieme ad una ventina di cannoni. Queste residue forze riuscirono a sganciarsi grazie alla copertura data da una quarantina di mezzi danneggiati, che si sacrificarono sino all’ultimo.
   La sera del 4 novembre, la battaglia era ormai vinta dagli inglesi, anche se avevano perso più del 50% dei carri e delle riserve fatte affluire. Ma alle truppe italo-tedesche non restavano che un’ottantina di carri italiani ed una dozzina di panzer e le superstiti unità italiane di fanteria erano circondate e prive di mezzi di trasporto. Era stata una battaglia di logoramento degna della prima guerra mondiale e le gravissime perdite dell’Asse non erano ripianabili. Era stata quasi una gara di coraggio ed abnegazione tra la tenacia dei capisaldi di fanteria, bersaglieri e paracadutisti, tra l’azione sapiente degli artiglieri e lo slancio di carristi ed equipaggi dei semoventi. Solo dopo 12 giorni le unità corazzate avversarie arrivarono in campo aperto. Ci si era battuti come meglio non si poteva, restando vinti, ma con dignità.       
 
 
Quota 33                  
 
   Il cimitero italiano di El Alamein era nato dal duro lavoro di 43 prigionieri italiani, che volontariamente avevano setacciato il deserto, recuperando molte salme disseminate per chilometri e chilometri, arrivando a raggrupparne quasi 5.000 sino al 1944. L’altura indicata sui rilievi militari come Quota 33 era diventata un desolato cimitero, sul quale regnò il silenzio per alcuni anni. Il console italiano al Cairo di allora ebbe l’intenzione nel 1947 di mandare a controllarne lo stato e se possibile migliorarlo, in modo da ricordare meglio i Caduti. Per questa particolare missione dettata dalla pietas fu scelto l’ex-comandante del XXXI Battaglione Genio guastatori, il colonnello Paolo Caccia Dominioni, all’epoca semplice ingegnere con lo studio al Cairo. Così, Gooma Abdel Hamid Alì, guardiano del cimitero e memoria vivente del luogo, se lo vide comparire davanti nel luglio 1948. Per Caccia Dominioni, senza dubbio la persona adatta allo scopo, migliorare la situazione del cimitero divenne un pensiero fisso, c’era sia da salvare le tombe già presenti che raccogliere ancora salme sul campo di battaglia, aggiornare i dati e così via. La risposta burocratica arrivò nell’estate del 1949, non incoraggiante in quanto a fondi e personale disponibile, ma Dominioni non era uomo da scoraggiarsi ed attuò una colletta fra i reduci del XXXI almeno per consolidare il cimitero già esistente. Contemporaneamente, con l’aiuto di una jeep diede il via alle prime ricognizioni verso sud ed alla raccolta dei Caduti. Ben presto, per i beduini divenne “il colonnello matto”, a lui si aggiunse nell’ottobre Renato Chiodini, un veterano del Battaglione,  con un’altra jeep. Si cominciò una serie di ricognizioni all’interno di quel che era stato il fronte italo-tedesco, aiutati molto da una carta precisa dei campi minati ottenuta da un reduce della Folgore e alla vivace memoria di Caccia Dominioni. A dicembre arrivarono a ridosso della Depressione di El Qattara, spingendosi sino all’estremo punto a sud-est dello schieramento, percorrendo dalla rotabile costiera di Sidi Abdur Rahman la vecchia “Palificata”. Al ritorno dalle ricognizioni, ogni dettaglio veniva confrontato con cura con al documentazione ottenuta dall’Italia. Caccia Dominioni decise di restare stabilmente a Quota 33, continuando senza posa le ricognizioni. Da semplice rifugio per la notte, l’edificio divenne più grande anche come punto di riferimento. Oltre ai problemi della vita nel deserto, restava quello più grande delle mine, che causarono la morte di alcuni aiutanti indigeni, tra i quali il fedele Gooma. Si cominciò a parlare di un sacrario dal 1954, il progetto di Caccia Dominioni si armonizzava bene con il luogo, prevedendo una semplice costruzione ottagonale in travertino chiaro, affiancata da una moschea per i Caduti ascari. Era il coronamento ideale di una lavoro lungo ed  importante per mantenere la memoria dei soldati italiani lì dormienti, anche se le ricognizioni dureranno sino al 1959. Alla conclusione dei lavori, il sacrario conteneva 5.436 Caduti italiani e 2.349 ignoti, grazie ai 360.000 km percorsi durante più di 350 ricognizioni, l’ultima delle quali nel giugno del 1962. Si deve a Caccia Dominioni e pochi altri, se migliaia di ragazzi che non tornarono più a casa  hanno almeno una degna sepoltura. Restano ancora oggi almeno un migliaio di altre salme disperse, ed ancora oggi il deserto conserva taniche e pezzi di carro armato.
 
 
Reparti italiani ad El Alamein
 
 
X Corpo d’Armata
 
Truppe di Corpo d’Armata
- 9° reggimento bersaglieri (XXVIII e XXX battaglione, compagnia mortai da 81)
- XLIX gruppo del 16° reggimento artiglieria (da 105/28)
- CXLVII gruppo artiglieria (da 149/28)
- XXXI battaglione genio guastatori
 
17^ Divisione fanteria Pavia
- 27° reggimento fanteria (su 2 battaglioni)
- 28° reggimento fanteria (su 2 battaglioni)
- 26° reggimento artiglieria (II, III e IV gruppo da 75/27, 401^ e 404^ batteria da 20 mm)
- XVII Battaglione genio misto
- 3° Reggimento artiglieria celere (in parte)
- 21^ Sezione sanità
 
27^ Divisione fanteria Brescia
- 19° reggimento fanteria (su 2 battaglioni)
- 20° reggimento fanteria (su 3 battaglioni)
- 55° reggimento artiglieria (i Gruppo da 100/17, II e IV da 75/27, V da 88/56)
- 1° reggimento artiglieria celere (in parte)
- XXVII battaglione genio
- 34^ sezione sanità
 
185^ Divisione paracadutisti Folgore
- 186° reggimento paracadutisti (V e VI battaglione)
- 187° reggimento paracadutisti (II, IV, IX e X battaglione)
- Raggruppamento “Ruspoli” (VII battaglione e VIII battaglione genio guastatori)
- 185° reggimento artiglieria (due gruppi da 47/32)
- 20^ compagnia mortai da 81 mm
- 185^ compagnia minatori-artieri
- compagnia collegamenti
 
XXI Corpo d’Armata
 
Truppe di Corpo d’Armata
- 7° reggimento bersaglieri (X e XI battaglione)
- 8° raggruppamento artiglieria (LI e LII gruppo da 152/37, XXXIII e CXXXIII gruppo da 149/40, CXXX, CXXXI, CXLVIII, CXCI e CXCII gruppo da 149/28, CCCXLI e CCCXLII gruppo da 75/40).
 
102^ Divisione fanteria motorizzata Trento  
- 61° reggimento fanteria motorizzato (su 3 battaglioni)
- 62° reggimento fanteria motorizzato (su 3 battaglioni)
- 46° reggimento artiglieria (2 gruppi da 75/27, 2 da 100/17, 412^ e 414^ batteria da 20 mm su automezzi inglesi)
- I e II gruppo da 88/27 (2 batteria, preda bellica, erano “25 libbre”)
- CCCLIV e CCLV gruppo artiglieria da 77/28
- LI battaglione genio misto
- IV battaglione granatieri controcarro
- 51^ sezione sanità
 
25^ Divisione fanteria Bologna 
- 39° reggimento fanteria
- 40° reggimento fanteria
- 205° reggimento artiglieria (2 gruppi da 75/27, 2 da 100/17, 4^ e 437^ batteria da 20 mm su automezzi di preda bellica)
- XXV battaglione genio misto
- 135^ autosezione
- 24^ e 73^ sezione sanità   
 
XX Corpo d’Armata
 
Truppe di Corpo d’Armata
- 2 compagnie di bersaglieri
- XXIV battaglione genio
- una batteria contraerea da 20 mm
 
132^ Divisione corazzata Ariete
- 132° reggimento carri (VIII, IX e X battaglione carri, con 120-125 M13/40)
- 8° reggimento bersaglieri (V e XII battaglione autoportato, III battaglione armi accompagnamento)
- 132° reggimento artiglieria motorizzato (1 gruppo da 75/27, 1 da 90/53, DI e  DII gruppo da 90/53 su autocannoni)
- DLI e DLII gruppo semoventi da 75/18
- II gruppo da 105/28 del 24° reggimento artiglieria (secondo una fonte)
- III gruppo corazzato Nizza Cavalleria (con 25 autoblindo Ab 41)
- XXXII battaglione genio misto motorizzato
- 42° autoreparto
- 82° autogruppo misto
- 132^ sezione sanità
- ospedale da campo n.157
- 70^ e 672^ sezione CC.RR.   
 
133^ Divisione corazzata Littorio
- 133° reggimento carri (IV, XII e LI battaglione carri, con 108 – 116 tra M13/40 ed M14/41. Il IV aveva 28 tra M13 ed M14, gli altri due solo M14) ed 1 compagnia contraerea da 20 mm.
- 12° reggimento bersaglieri (XXI battaglione motociclisti, XXIII e XXXVI battaglione autoportato)
- 133° reggimento artiglieria (CCCXXXII gruppo “bis” da 100/17, gruppo “Giorgioli” con 5^ batteria del 133° reggimento e 406^ batteria da 20 mm entrambe su automezzi di preda bellica).
- 3° reggimento articelere (comando, II gruppo da 75/27, 8 obici da 100/17, 2 cannoni inglesi da “5 libbre” e 10 mitragliere da 20 mm antiaeree)
- XXIX gruppo da 88/56
- DIII gruppo da 90/53 su autocannoni
- DLIV e DLVI gruppo semoventi da 75/18
- III gruppo corazzato Lancieri di Novara (con 24 carri leggeri L6/40 e 3 autoblindo Ab 41)
- XXXIII battaglione genio misto (solo una compagnia)
- 133° autoreparto
- 5^ e 23^ squadra autisti
-  133^ sezione sanità
- 85^ sezione CC.RR.
- 133^ sezione sussistenza
 
101^ Divisione fanteria motorizzata Trieste
- 65° reggimento fanteria motorizzata (su 2 battaglioni)
- 66° reggimento fanteria motorizzata (su 2 battaglioni)
- 205° reggimento artiglieria motorizzata (I e II gruppo da 100/17, IV gruppo da 75/27, III gruppo da 105/28 (del 24° reggimento artiglieria), V gruppo da 75/50, 1 batteria XVII gruppo da 100/17, 411^ e 416^ batteria da 20 mm su automezzi di preda bellica).
- 9° reggimento bersaglieri (XXVIII e XXX battaglione autoportati, XXXII battaglione motociclisti, 105^ compagnia armi d’accompagnamento)
- XI  battaglione carri medi (con 27 – 34 carri M13/40 ed M14/41)
- CII gruppo artiglieria da 77/28
- 886^ batteria artiglieria da 65/17
- CVI battaglione controcarro
- DVII battaglione controcarro ed armi accompagnamento
- VIII battaglione bersaglieri motocorazzato – con 8 autoblindo Ab 41
- reparto esplorante divisionale (con 4 blindati di preda bellica, 6 camionette armate, 2 trattori coi relativi cannoni di preda bellica)
- LII battaglione genio motorizzato
- 80° autoreparto
- 90^ sezione sanità
- 39° nucleo chirurgico
- 22^ sezione CC.RR.
- 176^ sezione sussistenza
 
Altri reparti
 
- 10° raggruppamento artiglieria (XLIX Gruppo da 105/28)
- 29° raggruppamento artiglieria (X gruppo da 75/46 della Milizia contraerea, LVI, LVIII e LIX gruppo da 105/32, LXXI e LXXXVIII gruppo da 75/46)
- XIX, XX, XXI e XXIII gruppo artiglieria da 149/35
- 112^ officina mobile
- 111^ seziona sanità
- ospedali da campo n. 106, 116 e 579
- 21^ compagnia medica autonoma
 
Note :   
1) Ancora oggi, il numero esatto di carri armati a disposizione, da parte italiana, non è accertabile al 100 %. In genere, si deve fare una media tra le varie fonti, citando solo quelli in efficienza, mentre il numero di quelli in riparazione era sempre cospicuo, per esempio si tratta di altri 89 carri medi. I semoventi da 75/18 in carico erano 31, affiancati da 16 carri-comando. Le blindo efficienti 72 in tutto contro almeno 435 avversarie.  
 
 
Reparti tedeschi ad El Alamein
 
 
D A K (Deutsches Afrika Korps)
 
Truppe di Corpo
- reparto cartografico 575
- reparto controcarri 576
- reparto controcarri semovente 605 (almeno 13 Panzerjager I e 2 “Diana” con 76 mm)
- un battaglione dei Flak regiment 18 e 33
- comando Artiglieria 104 (battaglioni artiglieria 115 (in parte), 221 (in parte), 362, 364, 533, 902 3 408 (pesante), 528 (pesante), batteria artiglieria costiera 149)
- comando 19^ Flak division
- battaglione trasmissioni motorizzato 475
- compagnia ricognizione motorizzata 580
- battaglione speciale “Oasi” 300
- battaglione motorizzato rifornimenti 572
- battaglione rifornimenti (acqua) 580
- Sonderverband (reparto speciale) 288 – (su 2 battaglioni ed alcuni semoventi Stug III)
 
136^ Divisione “Giovani Fascisti”
- due battaglioni di fanteria
- XI e LVII battaglione bersaglieri
- un battaglione Guardia alla Frontiera
- 136° reggimento artiglieria (su XIV, XV e XVI gruppo da 65/17 su camionette e XVII gruppo da 100/17 su autocarro e 88^ batteria da 20 mm su camionette)
- IX battaglione fanteria autonomo
- XV battaglione genio
- III gruppo corazzato cavalleria Monferrato (con 36 blindo Ab 41)
 
15^ Divisione corazzata
- reparto cartografico motorizzato 33
- reggimento corazzato 8 (su 2 battaglioni, con 14 Pz II, 43 Pz III a cannone corto, 44 Pz III a cannone lungo, 2 carri comando Pz III, 3 Pz IV e 15 Pz IV F2 a canna lunga)
- reggimento fanteria motorizzata 115 ( su 3 battaglioni)
- reggimento artiglieria motorizzata 33 (su 3 battaglioni e con 8 semoventi francesi da 150)
- battaglione controcarro 33 (con 16 semoventi Marder III da 76 mm)
- battaglione genio 33
- battaglione esplorante 33
- reparto rifornimenti motorizzato 33
- reparto rifornimenti (acqua) 584
- compagnia riparazioni motorizzata 33
 
21^ Divisione corazzata
- reparto cartografico motorizzato 200
- reggimento corazzato 5 (su 2 battaglioni, con 19 Pz II, 53 Pz III a cannone corto, 43 Pz III a cannone lungo, 6 carri comando Pz III, 7 Pz IV e 15 Pz IV F2 a cannone lungo)
- reggimento fanteria motorizzata 104 (su 3 battaglioni e con 11 semoventi francesi da 150)
- reggimento artiglieria motorizzata (su 3 battaglioni)
- battaglione Flak 609
- battaglione Flak 25 (con una sola batteria)
- battaglione controcarro 39 (con 18 semoventi Marder III da 76 mm)
- battaglione trasmissioni motorizzato 200
- battaglione genio 200
- battaglione esplorante 3
- battaglione rifornimento carri 200
- reparto rifornimento (acqua) 200 
 
 90^ Divisione “leggera”
- reparto cartografico motorizzato 259
- reggimento fanteria motorizzata 155 (su 2 battaglioni – ebbe anche degli Stug III)
- reggimento fanteria motorizzata 200 (su 2 battaglioni)
- reggimento fanteria motorizzata 361 (su 3 battaglioni)
- battaglione esplorante 580 (24 autoblindo e 6 blindo “233” con cannone da 75 mm)
- battaglioni Flak 368 e 606
- reggimento artiglieria (con 2 battaglioni e compagnia antiaerea 190 da 10 mm su 12 camionette)
- compagnie artiglieria da fanteria 707 e 708 (con 8 semoventi “Bison” da 150 su scafo Pz II)
- battaglione controcarro 190 (anche con parte del Flak Abt 613)
- battaglione trasmissioni motorizzato 190
- battaglione genio corazzato 900
- battaglione genio motorizzato 190
- battaglione Koelleck 1
- plotone riparazioni motorizzato 638
- compagnia riparazioni 566 (in parte)
- compagnia rifornimento munizioni motorizzata 540
 
Truppe di supporto :
 
164^ Divisione fanteria
- reggimento fanteria 125 (su 2 battaglioni)
- reggimento fanteria motorizzata 382 (su 2 battaglioni)
- reggimento fanteria motorizzata 433 (su 2 battaglioni)
- reggimento artiglieria 220 (2 battaglioni, 1 con obici da 105 e l’altro con 8 cannoni da 75 someggiati)
- battaglione Flak motorizzato 609
- battaglione controcarro 220
- battaglione esplorante 220 (6 semoventi da 75 e 24 mezzi)
- battaglione trasmissioni 220
- battaglione genio motorizzato 220
 
Brigata paracadutisti “Ramcke”
- comando brigata
- battaglioni paracadutisti “Kroh”, “Von der Heydte” e “Hubner”
- battaglione addestramento paracadutisti “Burkhardt”
- battaglione artiglieria “Kagerer” (con 12 cannoni da 75 mm)
- compagnia controcarro (con 12 cannoni da 75 mm)
 
Altri reparti tedeschi  
 
- Landeschutzen Battalion 278 (in parte)
- sezione cartografica motorizzata d’Armata 575
- battaglione controcarro motorizzato 606
- battaglioni Flak motorizzati 135, 612, 617
- reparti sorveglianza d’artiglieria 721 e 730
- reparto osservatori d’artiglieria motorizzato 11
- reggimento trasmissioni motorizzato 10
- ponti radio di Corpo d’Armata 6 e 13
- plotone trasmissioni 937
- battaglioni costruzione 73 (motorizzato) e 85
- reggimento rifornimenti 585
- battaglioni rifornimento motorizzati 148 e 149 (con personale italiano)
- battaglioni rifornimento motorizzati 529, 532, 533, 619 (in parte), 902 e 909
- battaglioni rifornimento speciali 792 e 798 (in parte)
- battaglione manutenzione veicoli motorizzato 548
- parchi automezzi 560 e 566
- reparti sussistenza motorizzati 317 e 445
- reparti sanità motorizzati 592 (in parte) e 705 (in parte)
- ospedali motorizzati 542 (in parte) e 667
- parco sanità motorizzato 531
- reggimento speciale “Brandenburg” (in parte)
- compagnie rifornimento munizioni motorizzate 532 e 547
- uffici postali motorizzati 659 e 762 
 
Note :  
1) I carri tedeschi disponibili erano 266, tra leggeri (33 Pz II) e medi (96 Pz III a cannone corto, 87 a cannone lungo, 10 Pz IV e 30 Pz IV a cannone lungo, oltre a 10 carri comando Pz III). Altri corazzati erano i semoventi controcarro Panzerjager I e “Diana” ed i Marder III (34 esemplari) e quelli d’artiglieria “Bison” da 150 su scafo Pz II e “Lorraine” da 150 su scafo francese. Pochissimi Sturmgeschutz III a canna corta comparvero nella 13^ compagnia del 155° reggimento (90^ Leichte Division). Le autoblindo disponibili erano solo 47 (23 pesanti ad 8 ruote e 24 leggere a 4 ruote).
 
2) L’artiglieria tedesca di quel periodo era composta da circa 240 bocche da fuoco campali (114 per i calibri da 75 a 105, 73 per i calibri sino a 155 mm, 26 pesanti (tra 175 e 210 mm), 27 cannoni inglesi da “25 libbre”. I pezzi controcarro erano circa 300 (nei calibri da 37 a 76.2 mm) e ad essi si affiancavano 72 cannoni da 88/56, antiaerei ma usabili anche come controcarri.  
 
 
Reparti inglesi e del Commonwealth  ad El Alamein
 
 
Comando 8^ Armata
 
- 1^ Brigata corazzata (4° e 8° Hussars, 2° Royal Gloucestershire Hussars)
- 2^ Brigata artiglieria contraerea (2° rgt. leggero, 69° rgt. pesante)
- 21^ Brigata fanteria indiana (I/6 e 3/7 Rajput, 2/8 Gurkha Rifles, 9^ compagnia genio indiana, 29° reparto ambulanze indiano)
- 12^ Brigata artiglieria contraerea (14°, 16° e 27° rgt leggero, 88° e 94° rgt. pesante)
- 1^ Brigata artiglieria controcarro
- 6° Royal Tank Regiment (lo squadrone B, con 12 carri Grant)
- Nucleo difesa – con 6 carri Grant e 6 blindo
- 39° Royal Tank Regiment (carri finti)
- 556^ e 588^ compagnia genio africane, 1^ compagnia “camouflage”
- 14° reparto leggero ambulanze, 200° reparto ambulanze
- Lybian Arab Force
- SAS – Special Air Service (un solo squadrone)
 
X Corpo d’Armata  
 
 Comando
- 2 carri Grant
- 570^ compagnia genio, 12° e 151° reparto ambulanze
 
1^ Divisione corazzata  
- Comando (12° Lancers (Prince of Wales’s Own) – con 55 blindo Humber)
- 2° e 4° Royal Horse Artillery
- 11° (Honourable Artillery Company) – Royal Horse Artillery con 24 semoventi M7
- 78° (Lancs Yeomanry) rgt. Artiglieria campale
- 76° reggimento artiglieria controcarro
- 42° reggimento artiglieria contraerea leggera
- 572^ compagnia genio africana
- 1° Northumberland Fusiliers (reparto mitraglieri)
- 1° e 15° reparto leggero ambulanze
- 2^ Brigata corazzata (9° Queen’s Bays (2° Dragoons Guards) – 10° Hussars – Yorkshire Dragoons) con 1 carro Grant, 94 M4A1 Sherman, 14 Crusader, 29 Crusader III
- 7^ Brigata fanteria motorizzata (2° e 7° Rifle Brigade – 2° King’s Royak Rifle Corps)
 
Aggregati . “Kingforce” con 6 carri Churchill Mk. III
                   “Hammerforce” con 4/6 Armored Car Regiment sudafricano
- 146° (Pembroke) reggimento artiglieria campale
- 73° reggimento artiglieria controcarro
- 56° reggimento artiglieria contraerea leggera    
 
10^ Divisione corazzata
- Comando (con 7 carri Crusader)
- 8^ Brigata corazzata (3° RTR – Notts. Yeomanry – Statfordshire Yeomanry – I Buffs)  con
57 carri Grant, 31 M4A1 Sherman, 40 Crusader e 13 Crusader III)
- 24^ Brigata corazzata (41 (Oldham), 45° e 47° RTR – 11° King’s Royal Rifle Corps) con
2 carri Grant, 59 M4A1 Sherman, 34 M4A2 Sherman, 28 Crusader e 17 Crusader III)
133^ Brigata fanteria autoportata (2°, 4° e 5° Royal Sussex Regiment)
- 1° Royal Dragoons con 46 blindo AEC Mk. I
- 1° e 104° Royal Horse Artillery
- 98° reggimento artiglieria campale
- 84° reggimento artiglieria controcarro
- 53° reggimento artiglieria contraerea leggera
(Secondo altre fonti :
- 84° (Sussex) reggimento artiglieria campale
- 5° Royal Horse Artillery)
- 141^ compagnia genio
- 571^ e 572^ compagnia genio africane
- 3°, 8° e 168° reparto leggero ambulanze 
 
XIII Corpo d’Armata  
 
- un plotone del 4/6 Armored Car Regiment sudafricano con 1 carro Grant e 13 blindo
- 118° e 124° RTR (carri finti)
- 4° reggimento osservazione artiglieria (comando ed una compagnia)
- 576^ compagnia genio e 578^ compagnia genio africana
 
7 ^ Divisione corazzata
- Comando (con 7 carri Crusader)
- 4^ Brigata corazzata leggera (4/8° Hussars – Royal Scots Greys – 1° King’s Royal Rifle Corps) con 14 carri Grant, 7 Crusader e 67 Stuart
- 22^ Brigata corazzata (1° e 5° RTR – 4° County of London Yeomanry – 1° I Rifle Brigade) con
54 carri Grant – 40 Crusader, 8 Crusader III e 16 Stuart
- 2° Household Cavalry Regiment – con 53 blindo AEC Mk. I
- 11° Hussars (Prince Albert’s Own) – con 43 blindo (Humber e poche Daimler)
- 2° Derbyshire Yeomanry – con 50 blindo Humber e Marmon-Herrington ed 8 Daimler)
- 44° Recce Regiment
- 2 plotoni di carri sminatori con 12 Matilda ‘Scorpion’
- 3° Royal Horse Artillery con autocannoni –
- 4° e 97° reggimento artiglieria campale  
- 57° e 65° (Highland) reggimento artiglieria controcarro
- 15° reggimento artiglieria contraerea leggera
- 143^ compagnia genio
- 2° e 14° reparto leggero ambulanze  
 
50^ Divisione fanteria
- 69^ Brigata fanteria (5° East Yorkshire Regiment – 6° e 7° Green Howards)
- 151^ Brigata fanteria (6°, 8° e 9° Durham Light Infantry)
- 1^ Brigata greca (1°,2° e 3° battaglione, 1° reggimento artiglieria, una compagnia mitraglieri ed una del genio)
- 2° gruppo brigate francese (2 battaglioni fanteria, 21^ compagnia controcarro africana da 75 mm, 23^ compagnia controcarro da 75 mm, una compagnia genio)
- 74°, 111°, 124° e 154° reggimento artiglieria campale
- 102° (Northumberland Hussars) reggimento artiglieria controcarro
- 34° reggimento artiglieria contraerea leggera
- 2° Chesire (reparto mitraglieri)
- 233^. 235^ e 505^ compagnia genio
- 149° e 186° reparto ambulanze
 
44^ Divisione fanteria
 
- 131^ Brigata fanteria (I/5, I/6 ed I/7 Queen’s Regiment)
- 132^ Brigata fanteria (2° Buffs – 4° e 5° Royal Warwickshire Regiment)
- 1° gruppo brigate francese (tre battaglioni fanteria – 1° reggimento artiglieria francese – 3° reggimento artiglieria campale (da 25 libbre e 5.5”) – 2^ compagnia antiaerea – 2^ compagnia anticarro (con cannoni 6 pdr) – 22^ compagnia anticarro nordafricana (da 75 mm) – 1^ compagnia genio
- “Colonna volante” francese (1° Spahis Marocains (uno squadrone blindo) e 1^ compagnia controcarro (un plotone di autocannoni da 50 e 75 mm)
- 53° (London), 58° e 65° reggimento artiglieria campale
- 57° reggimento artiglieria controcarro
- 30° reggimento artiglieria contraerea leggera
- 6° Chesire (reparto mitraglieri)
- 11^, 29^ e 210^ compagnia genio
- 577^ compagnia genio africana
 
XXX Corpo d’Armata
 
- 3 plotoni del 4/6 Armored Car Regiment sudafricano 
- 121° (West Riding) Regiment – con 16 semoventi Bishop e 10 carri Valentine OP
- 146° reggimento artiglieria
- 7°, 64° (London) e 69° reggimento artiglieria media
- 73° reggimento controcarro
- 56° reggimento artiglieria contraerea leggera (168 a batteria)
- 23^ Brigata corazzata (46° Royal Tank Regiment – con 49 carri Valentine)
- 295^ compagnia genio africana
- 7° reparto leggero ambulanze  
 
4^ Divisione fanteria indiana
- 5^ Brigata fanteria (I/4 Essex – IV/6 Rajput – 3/10 Baluch)
- 7^ Brigata fanteria (1° Royal Sussex – 4/6 Punjab – I/2 Gurkha Rifles)
- 161^ Brigata fanteria (1° Argyll and Sutherland Highlanders – I/1 Punjab – 4/7 Rajput)
- 1° ,2° e 32° reggimento artiglieria campale
- 11° reggimento artiglieria campale (secondo altre fonti)
- 149° reggimento artiglieria controcarro
- 57° reggimento artiglieria contraerea leggera
- 6° Rajput
- 2^ ,4^ , 11^ e 12^ compagnia genio
- 17° e 26° reparto ambulanze
- 75° reparto leggero ambulanze
 
51^ Divisione fanteria
- 152^ Brigata fanteria (2° e 5° Seaforth Highlanders – 5° Cameron Highlanders)
- 153^ Brigata fanteria (5° Black Watch – 1° e 57° Gordon Higlanders)
- 154^ Brigata fanteria ( 1° e 7° Black Watch – 7° Argyll and Sutherland Highlanders)
- 126°, 127° e 128° reggimento artiglieria campale
- 61° reggimento artiglieria controcarro
- 40° reggimento artiglieria contraerea leggera
- I/7° Middlesex Regiment (reparto mitraglieri)
- 50° Royal Tank Regiment – con 44 carri Valentine
- 51° Recce Regiment
- 239^ , 274^ , 275^  e 276^ compagnia genio
- 174°, 175° e 176° reparto ambulanze
 
1^ Divisione fanteria sudafricana  
- 1^ Brigata fanteria (Royal Nataal Carabineers – Duke of Edinburgh’s Own Rifles- Transvaal Rifles)
- 2^ Brigata fanteria (I/2 Field Foce btn – 1° Nataal Mounted Rifles – Cape Town Highlanders)
- 3^ Brigata fanteria (Imperial Light Horse – Royal Durban Light Infantry – Rand Light Infantry)
- 1° , 4° e 7° reggimento artiglieria campale
- 1° reggimento artiglieria controcarro (con pezzi da 2 pdr, 6 pdr, 18 pdr e 50 mm)
- 1° reggimento artiglieria contraerea leggera
- 8° Royal Tank Regiment – con 51 carri Valentine
- 3° reggimento blindo  con 55 mezzi
- “President Steyn” Regiment (reparto mitraglieri)
- una compagnia del “Die Middlandse” Regiment (reparto mitraglieri)
- 1^ ,2^ ,3^ ,5^ e 19^ compagnia genio
- 12° , 15° e 18° reparto ambulanze 
 
2^ Divisione fanteria neo-zelandese  
- 5^ Brigata fanteria (21°,22° e 23° battaglione, 28° battaglione Maori)
- 6^ Brigata fanteria (24°, 25° e 26° battaglione)
- 4° , 5° e 6° reggimento artiglieria campale
- 7° reggimento artiglieria controcarro
- 14° reggimento contraerea leggera
- 2° (Division) Regiment Cavalry – con 15 carri Stuart
- 9^ Brigata corazzata (3° Hussars – Royal Wiltshire Yeomanry – Warwickshire Yeomanry – 14° Sherwood Foresters ) con 37 carri Grant, 36 M4A1 Sherman, 37 Crusader e 12 Crusader III)
- 27° battaglione (reparto mitraglieri)
-   5° e 6° reparto ambulanze
- 166° reparto ambulanze leggero
 
9^ Divisione fanteria australiana
- 20^ Brigata fanteria (2/13, 2/15 e 2/17° battaglione)
- 24^ Brigata fanteria (2/28, 2/32 e 2/43° battaglione)
- 26^ Brigata fanteria (2/23, 2/24 e 2/48° battaglione)
- 2/7°, 2/8° e 2/12° reggimento artiglieria campale
- 3° reggimento artiglieria controcarro
- 4° reggimento contraerea leggera
- 9° (Division) Regiment Cavalry con 15 carri Crusader e 4 Stuart
- 40° Royak Tank Regiment – con 42 Valentine
- 2/3° reggimento mitraglieri (II/2° secondo altre fonti)
- 66^ compagnia mortai
- 2/3^, 2/4^, 2/7^ e 2/13^ compagnia genio
- 2/2°, 2/3°, 2/8° e 2/11° reparto ambulanze 
 
Note :  
1) Ai carri inquadrati nei reparti citati, si devono aggiungere 9 Stuart per l’8° Hussars e 6 Crusaders per il comando (virtuale) della 8^ Divisione corazzata. Da una stima parziale, si possono indicare i carri disponibili in 111 leggeri, 280 “incrociatori”, 196 “da fanteria”, 12 sminatori, 440 medi, 40 semoventi e 6 carri pesanti, per un totale di 1.085 mezzi. Per le autoblindo, non contando i mezzi da esplorazione più leggeri, la stima è di almeno 321 mezzi.
 
2) Nei reparti artiglieria inglesi e del Commonwealth, c’era molta uniformità per i tipi di bocca da fuoco, con alcune eccezioni. I reggimenti Royal Horse Artillery ed artiglieria campale usavano il “25 libbre” (88 mm), i reggimenti d’artiglieria media i pezzi da 4.5” (114 mm) e 5.5” (140), alcuni solo i primi, mentre quelli controcarro impiegavano nella grande maggioranza il “6 pdr” (57 mm), ma qualcuno aveva ancora il “2 pdr” (40 mm) a fianco. L’artiglieria contraerea leggera era equipaggiata con il Bofors da 40 mm. Sempre da una stima parziale, si possono indicare come disponibili dai 792 agli 832 “25 libbre” ed 8 cannoni da 75 mm francesi m1897, 753 “6 pdr” controcarro, 500 “2 pdr” controcarro, 32 “4.5 in” e 20 “5.5 in” per un totale di 2.105 o 2.145 bocche da fuoco.
 
 
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