WHIPPET
Un levriero con i cingoli
di Andrea e Antonio TALLILLO
dai Notiziari n. 3 e 4 del 2003
Ringraziamenti : a Jean TETARD ed al suo amico canadese per le nuove foto del carro.
Un po’ di storia
La battaglia della Somme del settembre 1916 aveva evidenziato la necessità di un carro armato più agile dei primi Mk I, con un peso contenuto e di dimensioni più ridotte. L’idea fu propugnata dallo stesso progettista del primo carro armato, gli fu chiesto di lavorare sul progetto dell’Mk I ed il War Office il mese successivo visionati il progetto ne ordinò un prototipo. Fu aumentata leggermente la lunghezza del treno di rotolamento del Little Willie, modificando la sovrastruttura, ora ben avviata anteriormente, con i motori, che erano i Taylor usati sui bus di Londra, messi ora in posizione centrale. La piccola torretta cilindrica, ricavata da quella della blindo Austin, era armata con una sola mitragliatrice. L’equipaggio accedeva da un portello posteriore e le parti vitali erano protette da piastre da 9 mm., le altre superfici erano protette da piastre da 6 mm.Il prototipo, completato rapidamente, dopo una serie di prove a fine marzo 1917 fu presentato ufficialmente facendo una certa impressione. Ben presto il War Office decise di espandere la forza corazzata a nove battaglioni e a questo scopo ordinarono 200 esemplari, da consegnarsi entro la fine di luglio dello stesso anno. I termini di consegna erano ottimistici, perché fino a giugno 1917 fu necessario un lavoro di raffinamento del prototipo, eliminando la torretta in favore di una sovrastruttura fissa, che era più semplice da produrre, armata con 4 mitragliatrici Hotchkiss, che bene o male, coprivano lo stesso campo di tiro della torretta, fu spostato in avanti il serbatoio allo scopo di facilitare l’accesso alle unità di trasmissione, la corazzatura massima, infine, passò a 14 mm. La produzione cominciò presso la Foster nell’autunno 1917 per i già ordinati 200 carri. La versione successiva ( Tank Medium B) fu ordinata in altrettanti esemplari.
Battesimo del fuoco ed operazioni sul fronte occidentale
Il carro, chiamato Whippet (prendendo il nome da un tipo di levriero) verrà usato per la prima volta proprio durante la grande offensiva tedesca del marzo 1918, a Mailly Maillet, dal 3° Battaglione. Nelle altre scaramucce del periodo successivo, si rivelò difficile da guidare, per le caratteristiche della trasmissione e la posizione arretrata del conducente. Privo, inoltre, di un’arma di buon calibro, non era in grado di battere efficacemente le postazioni più difese e men che meno contrastare i carri o l’artiglieria avversari. La grande occasione fu la battaglia di Amiens nell’agosto, quando furono usati, coadiuvando l’azione dei carri Mk IV, per in missioni di esplorazione ed inseguimento unitamente alla cavalleria che fino ad allora aveva svolto questi compiti. Il piano di agire nelle retrovie nemiche si rivelò poco attuabile, sia per le diverse caratteristiche dei reparti, che per la mancanza di coordinamento, che veniva svolto ancora tramite staffette a cavallo…. come ai tempi di Napoleone. Accompagnare i reparti di cavalleria aveva prodotto l’effetto di disperdere i mezzi del 3° e 6° Battaglione creando ancora più difficoltà per il sia pur tenue supporto logistico. Alla fine della giornata di combattimenti dei 96 carri utilizzati ne restavano ben pochi efficienti, molti erano privi di carburante e furono abbandonati dagli equipaggi stremati dopo ben 14 ore di combattimenti.L’impiego misto fu ritentato pochi giorni dopo, il 10 agosto, sul terreno della Somme, ma l’artiglieria tedesca inflisse perdite rilevanti ai 67 carri che parteciparono all’azione. Il 21 dello stesso mese, i citati due Battaglioni, colpirono la ferrovia Canale Alberto – Arras causando gravi danni, anche psicologici, tutto sommato sproporzionati al modesto numero dei mezzi impiegati, furono conquistate,tra l’altro, ben sette località, anche se alla fine dei combattimenti l’efficienza era ridotta ad una decina di Whippet. Nonostante il calo di efficienza e quindi anche con un’ attività più limitata, il 6° Battaglione si distinse nel passaggio della Linea Hindenburg, ed il carro inglese effettuò l’ultima azione del conflitto il 5 novembre, in appoggio alla 3^ Brigata Guardie nella foresta di Mormal, risultando così il primo mezzo inglese ad entrare in Germania, arrivando successivamente fino a Colonia. La carriera del Whippet fu corta, nel dopoguerra non restò in servizio per molto tempo, a causa della scarsità dei fondi e la contemporanea disponibilità di carri medi il cui numero era più che sufficiente in tempo di pace. Alcuni comunque furono impiegati in Irlanda per il mantenimento dell’ordine pubblico fino al 1920, dimostrando ancora una volta la loro utilità nei pattugliamenti, questa volta contro gli indipendentisti.
Il Whippet sotto altre bandiere
Nel marzo 1918, nell’area della Somme, i tedeschi catturarono alcuni Whippet, due di essi furono rimessi in condizioni di marcia ed uno fu spedito a Berlino, dove ritennero che fosse buono da copiare, ma dopo più approfondite valutazioni non se ne fece nulla, anche perché nel frattempo era stato realizzato il carro LK II, che lo ricalcava almeno nella sagoma. Il carro però doveva ancora far parlare di sé, infatti rispuntò durante i moti del gennaio 1919, utilizzatoda unità che appoggiavano i Freikorps, ben presto però il suo utilizzo fu bloccato dai soliti guasti meccanici, e nel luglio successivo fu demolito.
Anche le forze armate zariste si interessarono al carro. Infatti nonostante la Ditta produttrice, la Foster, fosse già impegnata con l’esercito inglese, sembra che otto Whippet siano stati acquistati dal governo zarista, non è chiaro però se siano mai stati consegnati. Il dato certo contempla la presenza del carro nell’aprile 1919, come aiuti per le forze “bianche” di Wrangel, dove c’era un Distaccamento Carri Russia Meridionale inglese che contava 17 Whippet per addestramento. La mancanza di allievi li fece usare, più di una volta, con equipaggi inglesi, nel Kuban e in Crimea nell’estate 1919.
Il Reparto gradualmente cedette i carri ai “bianchi”, che però non si dimostrarono mai molto esperti nel loro utilizzo.Diversi carri finirono per essere catturati dalle forze rivoluzionarie nel gennaio 1920 e, rimessi in efficienza, divennero i primi carri dell’Armata Rossa. Nuovi equipaggi si addestrarono per il loro funzionamento, ma l’addestramento rudimentale, il cattivo stato della meccanica, la mancanza di carburante e di parti di ricambio costrinsero i distaccamenti che si erano dotati ciascuno di tre – quattro mezzi a limitarne di molto l’uso. Il “Tieilor”, come fu chiamato storpiando il nome del motore, partecipò ad alcuni scontri in Crimea dal luglio 1920 con il 2° Distaccamento ed in misura minore partecipò alla guerra contro la Polonia ed alle scaramucce di confine in Siberia contro i Giapponesi. Nonostante tutto restò in servizio con l’Armata Rossa almeno fino al 1927, quando erano ancora in carico 12 esemplari, gli ultimi furono radiati nel 1932.
Il Giappone ne acquistò un piccolo lotto in surplus fra il 1920 ed 1922, sei Whippet divennero, con il nome di “Tipo 79” i primi carri dell’esercito imperiale. Due compagnie lo utilizzarono per il proprio addestramento presso la Scuola di Fanteria di Chiba, pur sempre nei limiti del mezzo che tra l’altro era stato riarmato con mitragliatrici giapponesi “Tipo 6” da 6,5 mm.
Il kit in scala 1/35
Apparso dopo una lunga gestazione il modello della EMHAR è andato ad aggiungersi agli altri carri della Grande Guerra, anche se per la verità di quel periodo storico non è che ce ne siano molti, oltre naturalmente al kit dell’ A7V prodotto dalla italiana TAURO MODEL, che, all’epoca della sua uscita, fece giustamente molto scalpore.Il soggetto del Whippet era stato riprodotto nella stessa scala dapprima con un kit in vacuform della tedesca SCHMIDT MODELLBAU e poi, più di recente, in resina dalla ACCURATE ARMOUR, kit molto buono ma costoso ed anche un pò difficile da completare se non si è già esperti in questo tipo di realizzazioni. Il kit della EMHAR è composto da 89 pezzi, suddivisi in tre stampate, di un sobrio color grigio ferro. La plastica non è molto lavorabile ed i pezzi da staccare dal supporto richiedono un taglio preciso, ed una volta assemblati c’è bisogno di limatura e stuccatura per far combaciare al meglio le parti. Il kit risulta essere un po’ spartano a causa della mancanza di dettagli come ad esempio le tipiche scatole di stivaggio posteriori che venivano aggiunte al carro dalle officine centrali del Tank Corps, dei ramponi per i cingoli, inoltre soffre un po’ per la pesantezza dei dettagli presenti. I cingoli sono i soliti nastri in vinile , di colore nero e di grosso spessore che anche se divisi in più parti restano poco realistici. Le decalcomanie sono stampate abbastanza bene, ma richiedono l’applicazione di prodotti specifici per una migliore aderenza sulle superfici costituite da piastre e rivetti, suggeriamo inoltre di dipingere direttamente sul modello le bande d’identificazione per ottenere un effetto più realistico.Le istruzioni sono chiare, per quanto riguarda la colorazione suggeriamo di consultare anche altre fonti.Riassumendo, il kit della EMHAR non può paragonarsi all’ottimo modello in resina della ACCURATE ARMOUR, ma è nostra opinione che il kit ad iniezione possa senz’altro essere migliorato con un po’ di buona volontà ed olio di gomito, come del resto accade per quasi tutti i kit presenti sul mercato.Per nostra fortuna, e nonostante la sua vita travagliata, diversi esemplari del carro sono ad oggi custoditi nei vari musei nel mondo.
Per pianificare le inevitabili modifiche che lo renderanno più realistico, la prima cosa da fare è provare a secco l’unione dello scafo, tralasciando per il momento le gondole ed il treno di rotolamento. Dovendo unire almeno sei piastre le giunzioni non risultano molto precise e occorreranno delle lievi stuccature. Per ottenere uno scafo più robusto, comunque, è necessario rinforzare i fianchi con dello sprue, ottimo quello delle stampate del kit, magari aggiungendo qualche vecchia piastra, di traverso, nella parte anteriore per rinforzo al pezzo 38 (Tav. 1 – part.1). Tenendo conto dei doverosi aggiustamenti, una volta fatte combaciare le parti basterà un buon incollaggio e nel caso di linee ancora evidenti basterà usare un pò di colla vinilica da passare all’interno, per attenuarne l’effetto. Si può scegliere di rendere l’effetto delle piastre un po’ consumate, usando con mano leggera una fresa da dentista da passare sulle piastre della casamatta e dello scafo. La forma del soggetto è tale che l’assemblaggio è abbastanza veloce, è bello vedere cosa stiamo combinando in modo così palpabile…. Attenti però a non avere troppa fretta di chiudere tutta la scatola che costituisce la casamatta. I pezzi 27 e 37 (le mitragliatrici) se montati senza modifiche restano una delle parti meno realistiche del modello, bisognerà almeno far fuoriuscire dalla sfere le canne. Le scudature sferiche delle mitragliatrici (part. 2) vanno scavate abbastanza a fondo in modo da alloggiarvi le mitragliatrici che avremo la necessità di sostituire con delle nuove, magari recuperate dal “deposito pezzi” personale. Tenete comunque presente che sarà sufficiente anche una sola arma poiché quella posteriore il più delle volte non veniva usata allo scopo di avere più spazio nella casamatta. Le altre postazioni vanno tappate con le scudature interne (part. 3), da autocostruire con del plasticard sul quale bisogna incollare due bulloni su ciascuna. Per movimentare almeno uno dei portellini di visuale (part. 4), useremo uno di quelli fotoincisi del set della AIRWAWES; va da se che dopo aver tolto quello stampato sulla piastra andrà riprodotto il foro sottostante ed aggiunto un rivetto sotto allo stesso foro (part. A).
Un altro tocco di realismo può essere ottenuto montando leggermente aperto il grande portello posteriore (part. 5); è abbastanza facile realizzarlo e occorrerà solo dedicare un po’ di tempo in più ma a modello finito accentuerà molto il realismo del modello stesso. E’ sufficiente utilizzare un tracciatore a becco della OLFA, insostituibile nei lavori di precisione, facendolo scorrere lentamente e a mano ferma aiutandosi con un righello metallico fino ad estrapolare il portello dal pezzo che riproduce la parte posteriore. Per prima cosa avremo cura di estrapolare dal portello stesso i cilindretti dei cardini, che poi andremo a riposizionare, girati, con il portello aperto (part. A) magari raccordandoli con un filo di stucco (part. B).A questo punto si rende necessario assottigliare con pazienza il lato interno del portello. Meglio non cedere alla tentazione di aprire completamente il portello perché questo comporterebbe il dettaglio degli interni del carro. Se visibile, l’apertura va contornata con il bordo interno bullonato (part. 6), con delle strisce di plasticard sagomato seguendo la particolare forma. Ricordatevi di aggiungere, fuori a destra, il meccanismo ferma porta (part. A).
Il prossimo intervento sarà un po’ più impegnativo, si tratta di sostituire il cielo della casamatta , un po’ grossolano e con problemi di incastro con le pareti verticali, autocostruendone uno più accettabile. Per iniziare va predisposto un piano di appoggio interno (part. 7) utilizzando dello sprue di recupero lungo le pareti della casamatta. In questo modo si potranno calare le piastre senza il pericolo che possano cadere. Ritaglieremo i pezzi principali del cielo (part. 8) in plasticard, conviene comunque fare delle prove a secco magari aiutandoci con della carta gommata. Una volta verificato l’allineamento prepariamo un’incisone nel pezzo centrale (part. A) e quindi procediamo all’incollaggio. A questo punto appoggeremo un nuovo portello con i suoi cardini rifatti (part. B), le strisce imbullonate di rinforzo (part. C), il portellino di visuale (part. D) ed il misterioso attacco sulla destra (part. E). L’ultimo passaggio sarà il più noioso dovendo provvedere al posizionamento delle varie serie di bulloni partendo dalla piastra più inclinata (part. F), proseguendo sulla piastra centrale (part. G) e per finire con quelli della piastra posteriore (part. H) E’ da tenere presente che alcuni bulloni erano anche disposti sulla faccia verticale della striscia centrale di irrobustimento (part. 9).
A questo punto si rende necessario un miglioramento che riguarda anche il cofano motore che, così com’è, risulta essere in un unico pezzo, un po’ troppo spesso e dalle dimensioni non perfettamente corrispondenti agli spazi imposti dalla realizzazione. Lo andremo pertanto a sostituire con un pezzo realizzato ex novo. Realizzeremo per prima cosa un piccolo telaio e successivamente, con del plasticard abbastanza rigido, posizioneremo le quattro sezioni che compongono il cofano (part. 10). Recupereremo i portelli ovali (part.11) dal pezzo del kit ritagliandoli con attenzione e riducendone lo spessore, passeremo quindi a sistemare i portelli. Infine aggiungeremo i nuovi cardini centralmente (part.12) e per i due portelli (part.13) e le maniglie rivettate (part. 14) che avremo rifatto con del filo di rame, schiacciato alle estremità e con rivetti aggiunti. Infine aggiungeremo i rivetti sulle cerniere centrali (part.15) e su quelle dei portelli (part. 16), ne vanno disposti altri quattro a fianco di ogni maniglia sul portello (part.17, ed infine quelli che fissavano le piastre lungo i bordi (part.18). Sembrerà strano, ma controllando bene più di una foto, si può constatare che non sempre fosse presente la fila esterna destra. Le strisce laterali già stampate sul pezzo del kit n. 39 sono troppo grosse e l’invito inferiore non ci serve, provvederemo pertanto alla loro eliminazione (part. 19 e 20).
Le piastre che compongono la protezione del serbatoio vanno modificate nelle parti laterali (part. 21) eliminando bulloni e strisce che non hanno le dimensioni esatte (part. A), per migliorare il realismo di questa zona ci limiteremo a mettere dei bulloni più grandi. Raccorderemo infine le piastre con un po’ di stucco. Il tappo ha una forma errata e va eliminato (part. 22) e lo sostituiremo attingendo magari dalla “banca pezzi” con uno della forma giusta (part. 23) Attorno alla protezione del serbatoio vanno riprodotte le strisce di fissaggio imbullonate (part. 24) e quelle presenti fra le piastre e la faccia anteriore dello scafo (part. 25).La parte posteriore del carro sporge un po’ troppo all’infuori e la mancanza della pressa d’aria ne rovina l’aspetto. Si può risolvere il problema (part. 26) applicando una piastra più sottile (part. A) e realizzando una presa d’aria in plasticard (part. B), in pratica una U, sui bordi della quale incolleremo la piastra del kit, il pezzo n.10, opportunamente assottigliata e priva dei punzoni che la distanziavano (part. C). La disposizione del nuovo tetto è verificabile con il particolare n.27. Anche la copertura della presa d’aria del kit è un po’ troppo spessa, l’andremo a sostituire con un pezzo di plasticard abbastanza sottile tanto da poter essere curvato con la semplice pressione su di un tubicino metallico (part. 28), Consigliamo di utilizzare il plasticard ricavato da piattini di plastica o simile. Una volta incollata al suo posto (part. 29) non resta che applicare una fila di bulloni (part. A) , infine completeremo al meglio il cielo del carro con bulloni (part. B) e piastre orizzontali (part. C). Se si opterà di poggiare le due grandi casse posteriori non servirà dettagliare la zona più di tanto. Sulla parte verticale del nuovo retro (part. 30) il lavoro è semplicissimo, aggiungeremo i bulloni laterali (part. A) e l’attacco a ringhiera per i ramponi (part. B). Nell’ingrandimento (part. 31) si può vedere come la striscia metallica fosse imbullonata lateralmente (part. A), è visibile in zona un bullone laterale che fissava la copertura curva ad una flangia (part. B). La cassetta metallica posta in verticale (part. 32) può essere migliorata incidendone i vari elementi e riproducendo con del plasticard le strisce laterali (part. A).
Il prossimo lavoro che ci attende è più impegnativo e richiede maggiore attenzione e precisione. Già staccando i pezzi del kit dallo sprue ci si accorge che in certi punti mancano le strisce paraschegge che riparavano le giunzioni di alcune piastre, altre sono presenti, ma con sproporzioni che le rendono poco realistiche. Per prima cosa cercheremo di recuperare i bulloni da vecchi scafi attingendo alla nostra “banca pezzi”, naturalmente cercando fra quelli compatibili con il nostro kit, poi taglieremo delle strisce di plasticard. Partendo da quelle della casamatta anteriore (part. 33) vanno applicate ai lati della postazione della mitragliatrice (part. A) e sostituite quelle in verticale sottostanti (part. B) La piastra interna, un po’ inclinata, la si apprezza meglio dal particolare 34. All’angolo tra lo scafo e la sovrastruttura (part. 35) c’era una striscia. Passiamo poi a quelle del lato sinistro (Tav. 3 – part. 36) ed a quello orizzontale (part. A) che faceva da base per la ringhiera porta ramponi, che non abbiamo installato. A destra le cose sono leggermente più semplici (part. 37) perché la prima è abbastanza grande e continua a differenza delle altre che sono invece interrotte. E’ consigliabile lavorare con calma e senza alcuna fretta, i tagli vanno effettuati tenendosi un po’ larghi e verificando di continuo la forma e la regolarità delle strisce che stiamo realizzando. Usiamo, magari, un piano di vetro appoggiato sulle fotocopie di un buon disegno in scala. Con l’aiuto di un trapanino elimineremo le prese d’aria presenti sul kit perché poco realistiche e ne realizzeremo delle nuove utilizzando le fotoincisioni della AIWAWES (part. 38). E’ comunque consigliabile utilizzare solo le griglie anche se il lavoro comporterà più impegno. Un piccolo trucco per far sembrare più veri questi particolari è quello di passarli con una limetta per unghie, le fotoincisioni diventeranno più ruvide e saranno pronte per la colla e poi per la vernice. Le pareti e le strisce di fissaggio (part. A) le abbiamo realizzate con del plasticard sul quale sarà più facile in seguito incollare i bulloni. E’ consigliabile, prima di fissarli, controllare qualche foto perché lo stile di fissaggio non risulta sempre uguale per tutte e sei (part. 39) ma pare andassero a gruppi, infatti quelle affiancate (part. A) li avevano quasi simili, quelle singole invece erano in uno stile diverso (part. B). Ad asciugatura finita delle prese d’aria, inseriremo la fila di bulloni mancanti in alto sui lati del cofano motore (part. C).
Il gruppo delle marmitte è un altro punto migliorabile del kit e farlo non richiederà troppo impegno. Cominciamo togliendo gli attacchi (part. 40), un po’ grossolani. La marmitta non può essere piatta (part. 41). Procederemo realizzandola tubolare scegliendo tra il tipo ricoperto con fasce di amianto (part. 42), realizzabile in scala avvolgendo attorno alla marmitta del filo di cotone ricoperto di colla liquida, oppure quello normale, non protetto (part. 43). Il becco di uscita poteva essere tondo, come nel kit, o, più frequentemente angolato (part. 44). Sotto l’innesto del tubo di scappamento (part. 45) a volte sembra essere presente un’altra apertura tappata dall’interno (part. A). Prima di fissare la nuova marmitta, prepareremo le sue fasce ( part. 46) con del filo di rame opportunamente piegato e pressato (part. A). La striscia che sorreggeva la casamatta sul lato sinistro (part. 47) è già presente nel kit, ma la parte orizzontale risulta essere un po’ spessa, pertanto sarà necessario sostituirla con una realizzata in plasticard (part. A) applicando successivamente i bulloni che la trattenevano. La ringhiera alla quale si appendevano i ramponi di sinistra (part. 48) e di destra (part. 49) vanno realizzate con del plasticard tagliato a misura, anche in questo caso la cura e la pazienza sono importanti, ricordarsi comunque che è necessario aiutarsi sempre con un buon disegno in scala. Ottenute delle sagome accettabili, le applicheremo con dei punti di colla liquida. La parte bassa destra della casamatta presenta un rinforzo (part. 50), appena accennato sul kit. Ma dietro c’è da costruire una specie di mensola (part. 51) che aiutava a fissare meglio alcune piastre, anche in questo caso plasticard e bulloni ci toglieranno il pensiero. Sulla parte alta del retro della casamatta (part. 52) erano presenti degli attacchi e dei ganci, l’ideale sarebbe rifarli utilizzando dei foglietti di ottone che viene comunemente utilizzato nel modellismo navale.
Eccoci finalmente ad affrontare le gondole del treno di rotolamento. Dopo aver incollato le ruote motrici e di folle, che anche se non perfette hanno il vantaggio di rendersi “invisibili” ad opera ultimata, ci dedicheremo a provare a secco i rulli reggicingolo, che sono un po’ corti. Niente paura perché le parti esterne, per intenderci quelle con le quattro grandi aperture, le dovremo assottigliare dall’interno, in questo modo alla fine del lavoro i ruotini andranno a posto quasi da soli. Per avere un effetto più realistico passeremo con la fresa lungo il bordo delle aperture e delle tre costolature, così da rendere l’idea della lamiera meno spessa. I registri della tensione del cingolo (part.53) vanno resi più realistici sostituendo il grosso dado filettato, quelli sulle facce interne sono poco visibili. Il portello circolare posto in coda ha un numero di bulloni eccessivo (otto invece di sei) e la parte centrale troppo in rilievo. Conviene tagliare la parte centrale , ripulire la zona con una fresa e ricavare due dischi nuovi con l’aiuto di un compasso (ottimo quello OLFA). I bulloni della corona esterna sono da riposizionare, mentre sul nuovo portello andranno applicati cinque nuovi bulloni centrali (part.54). E’ consigliabile rifare con del plasticard le bandine poste agli angoli anteriori in alto (part.55) così da avere il giusto spessore. Un po’ di attenzione è da porre nella rimozione dei bulloni evitando di rovinare quelli vicini. Il cassone centrale, praticamente il lungo salvafango inclinato, è troppo liscio per essere credibile. In considerazione dell’operatività del carro, dopo aver inciso un po’ di più la separazione fra le varie piastre (fig.56), conviene ripassare tutte le superfici con delle frese rendendole più ruvide. Nessun problema se ci faremo prendere la mano e “consumeremo” un po’ troppo le superfici, si può rimediare applicando un velo di acquaragia stesa con il pennellino, avremo un effetto più “morbido”.
Abbiamo già detto che i cingoli del kit sono in vinile, per nostra fortuna ci vengono in aiuto i cingoli in resina della ACCURATE ARMOUR, anche se il loro utilizzo comporterà un maggior costo; si potrebbe , n alternativa,i utilizzare il set in plastica della americana MODEL CELLAR, ma in Italia non si trova con facilità. Per il tratto di cingoli che saranno a contatto del terreno si potrà usare la sezione di cingolo della EMHAR, gli altri, in resina, sono stati lavorati con frese per togliere le onnipresenti sbavature di resina ed eventualmente con dello stucco per “tappare” le bolle d’aria che ci dovessero essere. Per curvare le sezioni in maniera verosimile, ricorriamo al vecchio trucco di piegarle in acqua bollente con molta cura, raffreddandole poi in acqua a temperatura ambiente. Per unire tra loro le maglie dei cingoli sarà necessario utilizzare del cianoacrilato. Ultimati il treno di rotolamento e la cingolatura i lavori impegnativi possono ritenersi ultimati, ci dedicheremo ora alle rifiniture. I dettagli più visibili sono gli attacchi per i parafanghi che sporgono dalla protezione del serbatoio (Tav. 4 – part.57) e da sopra la copertura curva della presa d’aria (part.58), i supporti erano sempre presenti anche se i parafanghi, poco più che delle passerelle di grossa tela, furono presenti pochissime volte. Questi semplici profilati di lamiera sono presenti nel set fotoincisioni AIRWAWES, ma noi abbiamo preferito realizzarle in plasticard sottile. I bulloni di fissaggio erano nella faccia interna per quelli anteriori (part.59) e sopra le estremità per quelli posteriori (part.60). Tra scafo e gondole del treno di rotolamento c’erano delle lamiere trapezoidali di irrobustimento, anche qui ci viene in aiuto il plasticard ; quelle anteriori (part.61) erano fissate sotto da tre bulloni. L’attacco per il gancio di traino, piuttosto semplice, è stato autocostruito (part.62). Gli irrobustimenti erano fissati all’esterno (part.63) ed il gancio sporgeva poco sotto la piastra (part.64), anche questo è un dettaglio abbastanza semplice da realizzare. La guaina del filo per i fari era presente, anche se dalla documentazione gli stessi non si vedono mai installati (part.65), la guaina partiva dalla griglia di raffreddamento (part.A) e passava per un piccolo supporto (part. B) posto sotto a quello che dovrebbe essere il supporto vero e proprio del faro (part. C), per realizzarlo abbiamo usato del filo di rame che si presta molto bene per la sua duttilità (part. D). Le funi di traino erano sorrette e trattenute da ganci (part.66), quello di prua più lungo (part. A), posti davanti alle bandine ( Tav. 3 - part.55). Anche questi dettagli è possibile riprodurli con del filo di rame di diametro idoneo, avendo cura di rimuovere i bulloni per riposizionarli dopo aver fissato i ganci con del cianoacrilato. Su alcuni esemplari erano presenti otto strisce d’irrobustimento imbullonate, anteriormente erano parallele alla vaschetta del meccanismo di regolazione del cingolo (part.67), posteriormente erano divergenti posti accanto al portello d’ispezione della trasmissione (part.68).
Un elemento diffuso sul Whippet erano le caratteristiche casse posteriori metalliche o in legno, che hanno poi avuto una notevole diffusione. Senza di esse e del materiale che contenevano, il modello sembra quasi un armadio con i cingoli. E’ importante comunque, per quanto riguarda i dettagli, consultare quante più foto è possibile per avere un riferimento corretto anche per le dimensioni. La cassa di sinistra (part.69) aveva una forma particolare al fine di seguire la sagoma della sovrastruttura e spesso mancava la parte anteriore, poggiando ai soli cantonali metallici (part. A) che ricostruiremo con il solito plasticard. Le assi che costituivano le pareti (part. B) sono pezzi di plasticard che avremo cura di trattare su entrambe le facce con delle frese e delle microlame per ottenere l’effetto legno. Stesso procedimento anche per la cassa di destra (part. 70) dalle dimensioni più regolari. L’ancoraggio alla sovrastruttura (part.71) poteva essere in basso con una estesa bullonatura (part. A) ed in alto con due strisce metalliche . La posizione più frequente era quella illustrata dal particolare B, valida per entrambe le casse, il particolare C illustra quella bassa, usata a volte solo per la striscia di sinistra. I tiranti erano fissati a loro volta nella parte posteriore con uno o due bulloni (part. 72), questi particolari che abbiamo realizzato con delle strisce di ottone (più duttile delle fotoincisioni) dopo averle provate per verificarne forma e dimensioni andremo a posizionarle sul modello solo quando non dovremo più maneggiarlo troppo. I ramponi (part.73) erano una specie di zoccoli in legno con due placche metalliche fissate con bulloni alle estremità, altri due erano presenti su entrambi i lati (part. B). Ricordiamoci poi di collocare all’interno delle casse un po’ di normale dotazione : teli, pinza per reticolati, corde, una pala ecc.
Colorazione e contrassegni
All’epoca dell’entrata in servizio, non era più in uso la mimetica a più colori, ma la finitura era in grigio chiaro (Humbrol HU 6) applicato in fabbrica: In reparto poi si provvedeva a ricoprirlo con un colore verde di tonalità abbastanza calda (tra il verde oliva ed il marrone), la cui definizione purtroppo è molto vaga . Quasi sempre avevano il numero di serie assegnato dal War Department, che comprendeva la lettera A, come prefisso, ed i numeri dal 211 al 392 (quelli accertati), dipinti in bianco o giallo sui lati della casamatta, spostasi verso il retro, e più in piccolo, sulla parte posteriore della casamatta dove a volte veniva riportato il solo numero senza il prefisso. I battaglioni, di consueto, davano dei nomi individuali a taluni carri, la particolarità era data dal fatto che l’iniziale restava comune per i carri di tutto il reparto anche se, naturalmente, c’erano delle eccezioni. La forma ed il colore dei nomi variavano anche considerevolmente ed in genere erano posizionati sulla prua e ripetuti sui lati della sovrastruttura. Altri contrassegni, costituiti da numeri o combinazioni di lettere e numeri, indicavano il carro nell’ambito della propria compagnia, di solito erano presenti ai lati in alto della sovrastruttura, in almeno tre casi poi erano riportati anche sulla parte posteriore della cassa di stivaggio di sinistra.Su qualche carro apparvero delle strisce nere orizzontali sulla sovrastruttura, combinate a formare delle finte feritoie laterali.
Dalla primavera 1918 si manifestò la necessità di identificare meglio i carri inglesi per distinguerli da quelli di costruzione inglese ma utilizzati dai tedeschi. Quali contrassegni furono scelte delle bande colorate nella successione bianco-rosso-bianco poste verticalmente sui lati dello scafo e sulla prua, e qualche volta anche sul tetto, non risulta che furono mai poste sul retro. Successivamente si rese necessaria l’identificazione aerea e le bande colorate fecero la loro comparsa anche sul cofano motore.
Queste le premesse storiche, non esistendo però foto a colori di corazzati inglesi dell’epoca è molto arduo arrivare ad un colore ragionevolmente vicino a quello effettivamente utilizzato. Per non fare troppe miscele e ritenendo che la tonalità sia compatibile, abbiamo usato un vecchio colore : Humbrol HB 15 – RFC Green, applicato con più mani leggere e ad aerografo. Lasciamo asciugare per una giorno intero e poi procediamo con l’invecchiamento utilizzando colori ad olio di buona qualità, dapprima marroni scuri di varie tonalità e poi effettueremo un leggero drybrushing sempre con colori ad olio, questa volta di tonalità ocra gialla ed ocra dorata schiariti con il bianco alla caseina della Pelikan.
I cingoli andranno verniciati a smalto, più coprente sulle stuccature, con il colore metallo scuro, successivamente andranno lavati con i soliti colori ad olio di tonalità : terra di Siena bruciata, rosso inglese scuro, testa di moro scuro, per simulare una leggera ruggine, ed infine schiariremo con lo stesso tipo di drybrushing usato prima.
Le scatole di stivaggio saranno dipinte a smalto in varie tonalità e l’effetto legno verrà messo in evidenza con un drybrushing chiaro.
Come tocco finale armonizziamo le sporcatore in modo che siano più pesanti sul treno di rotolamento e più leggere andando verso l’alto. Non guasterà, infine, una discreta impolveratura, anche questo aiuterà il modello ad avere un aspetto “vissuto”.
Per le decals non ci sono molti problemi, i Whippet “zaristi” avevano una coccarda rosso-blu-bianca oppure blu-bianca (sempre con il bianco all’esterno), sui lati della casamatta ed ancora il numero di matricola inglese. Una decina di questi esemplari sono riportati nel bel libro russo della collana ARMADA.
Ambientazione
Pensando a qualcosa di insolito abbiamo utilizzato come base un vecchio set aeronautico di VERLINDEN, tagliandone una porzione che più corrispondeva a quello che avevamo in mente. Gesso e stucco ci aiuteranno a rendere più omogeneo il paesaggio. I paletti sono in legno, il filo spinato è della VERLINDEN, la scala è in plastica preventivamente trattata con lo stesso sistema utilizzato per le casse di stivaggio per dare l’effetto legno. Il modello è stato fissato al terreno con colla bicomponente, ricordate di realizzare le tracce del carro. Si possono, inoltre, applicare un po’ di erba e dei cespugli, questi ultimi realizzati con del muschio essiccato. Aspettiamo almeno un giorno perché tutto sia ben asciutto ed infine potremo procedere alla vera e propria verniciatura del terreno eseguita con colori acrilici lumeggiati o scuriti ad olio. Volendo inserire un figurino coerente con l’epoca ed il luogo rappresentati ci è venuto in aiuto un bel soggetto realizzato dalla HORNET, anche se non è uno dei prodotti più recenti ha il vantaggio di avere l’uniforme facilmente adattabile al nostro scopo e la posa ci dà la sensazione che sia quella del reduce da una marcia su di un mezzo scomodo. Una volta verniciato basteranno due perni metallici per fissarlo meglio alla base, completando il tutto con una sporcatura coerente.
La realizzazione del Whippet ha richiesto quasi quattro mesi di lavoro ed un numero infinito di bulloni posizionati….. ma ne è valsa la pena. Speriamo che la EMHAR voglia far compagnia al nostro carro, realizzando magari uno Schneider, tra l’altro ambientabile in Italia nel 1917-1918.
BIBLIOGRAFIA
- AFV PROFILE 7 - Medium tanks A7D – Profile Publications - LANDSHIPS - British tanks in the First World War - HMSO - MILITARIA MAGAZINE n.2/93 - CZOLGI BRYTYSKIE 1914-1918 - Wydawnictwo Militaria - STEELMASTERS n.2 - ARMADA n.14 Tav. 1 Tav. 2 Tav. 3 Tav. 4dettagli del cofano motore rifatto e delle nuove grigliature
il Whippet della Emhar quasi pronto per la verniciatura, successivamente aggiungeremo alcuni dettagli
anche la zona più vicina alla casamatta è stata dettagliata
la casamatta è stata munita di strisce di irrobustimento e del nuovo cielo
il modello nella sua ambientazione, un set per aerei tedeschi sul fronte orientale della Verlinden
esempio di caricamento nelle grandi casse di stivaggio
questo carro del 3° Battaglione a Maillet Mailly (fine marzo 1918) ha i ramponi sul cielo della casamatta e i parafanghi di tela
un Whippet a Biefvillers il 24 agosto successivo, si noti la fune di traino e la presenza solo dei cantonali della cassa post. destra
alcuni Whippet furono catturati in buono stato, questo è il n.249
dettagli, dotazioni e contrassegni di un Whippet conservato a Worthinton Park in Canada
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