FRUNTAS

    7^ Divisione Romena

     Kijewskoje  24 dicembre 42

 

        di  Andrea  e  Antonio TALLILLO    

 

Dal Notiziario  n. 3 del  2009           

 

 Per la Romania, nel settembre del 1940, la perdita di diverso territorio (1/3 di quello del 1918) a causa di pressioni dell’Unione Sovietica, Ungheria e Bulgaria non restava che seguire strettamente la Germania che aveva pur battuto la Francia, tradizionale ispiratrice del governo romeno. La grave crisi politica portò al potere un regime nazionalistico e di stampo autoritario, garantito dalla Germania che aveva bisogno del petrolio romeno. A 18.000 ‘istruttori’ tedeschi fu affidato il gravoso compito di dare ad un esercito grande ma non motorizzato un minimo di nozioni più aggiornate. Nel 1941 l’esercito contava su 18 divisioni fanteria, ognuna su 3 Reggimenti oltre a 2 di artiglieria e reparti minori,  per un totale di 17.500 uomini con 52 pezzi d’artiglieria e solo una trentina di cannoni anticarro, peraltro di piccolo calibro. All’inizio del 1942, agli alleati della Germania fu chiesto un maggior contributo per il fronte orientale, la Romania in questo fece sforzi immani. Nonostante le perdite subite dalle truppe romene nel corso dell’anno precedente, lo sforzo bellico arrivò a fornire quasi 25 divisioni in appoggio all’avanzata tedesca nel Kuban e nel Caucaso. Di esse, 11 avanzarono di oltre 800 km in due mesi, arrivando nella zona a sud di Stalingrado (4 a armata), subendo già pesanti perdite, attorno ai 39.000 uomini. La 3 a Armata a fine settembre fu posta fra quella italiana e la 6 a tedesca, il fronte per i reparti romeni, tra i quali il 1° Corpo d’Armata con la 7 a ed 11 a divisione fanteria, si estendeva per 138 km di steppa aperta, senza difese campali e col Don che non era più un buon ostacolo perché i sovietici vi mantenevano due teste di ponte sulla riva sinistra. I lavori per rafforzare le difese procedettero in fretta, ma non si riuscì a completarli in tempo, inoltre nessuna divisione era al completo e permanevano forti carenze d’equipaggiamento, i Reggimenti di fanteria del periodo avevano spesso solo due battaglioni anziché tre, privi d’automezzi e con reparti di supporto ridotti ed in gran parte non motorizzati. Unica novità di rilievo, dall’ottobre, la fornitura tedesca di una batteria di sei cannoni anticarro Pak 97/38  da 75 mm ad ogni divisone. I soldati romeni, di rude ceppo contadino,  erano parchi nelle loro necessità e capaci di combattere duramente anche in difensiva, ma verso i loro ufficiali c’era una barriera rigida che non permetteva in campo tattico una piena funzionalità dei reparti. Di base, non erano pronti ad una guerra ‘tecnologica’ come la Seconda, e ben presto le mancanze d’addestramento ed equipaggiamento, persino il più banale, si faranno sentire.  L’offensiva sovietica incontrò, ove possibile, un’accanita resistenza ma l’esito era scontato e quando il fronte si stabilizzò, dopo sei settimane, 18 divisioni romene erano state annientate, con 173.000 perdite su circa 382.000 uomini. 

La 7^ Divisione Romena

Essa aveva partecipato all’invasione della Bucovina, perlomeno col suo 16° Reggimento ‘Dorobantzi’ del colonnello Visariou, alla  campagna di Odessa del settembre 1941 ed attorno all’ottobre 1942 era stata spostata nella zona a Nord di Stalingrado, subendo il gigantesco attacco sovietico dal 19 novembre. Assieme alla 11 a resistette bene ai primi attacchi su di un fronte di quasi 25 km, ma i reparti corazzati sovietici passarono attraverso il fronte di altre tre divisioni romene e così fu costretta a ritirarsi dal 19 dicembre appena verificatasi la rottura del fronte italiano, alla sua sinistra.

All’inizio della seconda metà del dicembre 1942, carri sovietici avevano colpito carriaggi e colonne di questa divisione, mente ripiegava, a 5 km da Popowka. Il suo 14°  Reggimento operò per breve tempo a contatto col 6° Reggimento Bersaglieri, anche nell’ambito di un gruppo di formazione comandato dal Generale Vaccaro della Sforzesca (oltre ai bersaglieri ed ai romeni vi erano confluiti una batteria d’artiglieria della Sforzesca ed uno squadrone di cavalleria romena) col compito di proteggere il ripiegamento della Sforzesca dal Cir su Kijewskoje per circa 30 km. Il 14° aveva ancora alcune migliaia di soldati bene armati, 10 cannoni controcarro da 75 ed alcuni Bofors da 37 mm oltre a due buoni squadroni di cavalleria. I fanti e cannoni romeni si rivelarono decisi e molto utili sia il 26, a difesa di Krasnojarowka ove si combattè casa per casa che a Makejewka, 30 km più oltre, l sera del 27. Ripresa la marcia su di un terreno e con un clima proibitivi, sotto il continuo attacco di pattuglie motorizzate sovietiche, il gruppo di formazione riuscì pur tra notevoli perdite a portarsi altri 3° km più a Sud, verso il Donetz ed il XXIX° corpo d’Armata tedesco. Anche i reparti romeni non erano stati da meno degli italiani nel combattere con disperata energia., ma anche la 7 a divisione romena, unita ai resti di altre quattro nel Gruppo Hollidt tedesco verrà ancora una volta battuta ed entro il febbraio 1943 tolta dal fronte per essere ricostituita.

 

 

L’uniforme invernale

Anche nell’esercito romeno non si riuscì ad andare oltre il semplice cappotto regolamentare modello 1940, doppiopetto con due file di sei bottoni bronzei od in materiale plastico, due tasche tagliate laterali con pattine, largo colletto chiuso e lunghi risvolti alle maniche. Esso offriva ben poca protezione dal freddo della Russia e spesso veniva "foderato" in maniera artigianale. Le unità operanti in zone dove potevano essere scambiate per quelle sovietiche a causa del colore delle uniformi portavano un bracciale giallo in tessuto leggero, alla manica sinistra (Particolare 1 della Tavola). Sul cappotto, le uniche insegne erano quelle di grado, nel caso del 16°  Reggimento, ancora uno di quelli veterani (Dorobanti), il  nostro Fruntas (un soldato scelto) aveva ancora una striscia di lana gialla con ricamo bianco e bordata in blu sulle controspalline a punta del tempo di guerra, con al centro il numero del reparto in filo blu (2), ma ben presto si usò una semplice striscia di lana o cotone giallo, abolendo il numero (3). Dell’uniforme sottostante si apprezzavano solo le estremità dei pantaloni in lana modello 1939, portati ancora con le cavigliere in cuoio marrone mod. 40 (4) e scarponcini marrone, anche se ormai erano ben più diffuse dall’aprile  1941 le fasce gambiere. Le buffetterie comprendevano, dal 1931, un cinturone in cuoio marrone con fibbia bronzea – senza più la corona reale e giberne nello stesso materiale (5). Il tascapane (6) era in canapa chiara, tendente al verde, con la gavetta verde scuro di forma particolare assicurata alla sua patta esterna con una cinghietta di canapa. Si portava anche un sacchetto di canapa verde oliva per la maschera antigas, mentre era pratica comune infilare una vanghetta – anche del tipo tedesco – nel cinturone, con la lama a sinistra grossomodo sul cuore, per maggiore protezione.     

Il copricapo previsto era il tipico colbacco (caciula) alto e stretto, in pelo d’agnello scuro o chiaro, ma esso interferiva con l’uso dell’elmetto, che alla fine prevalse anche d’inverno, a rischio di congelamenti. Quello romeno (7) non era altro che il modello 23/27 olandese, privo del fregio anteriore circolare e dipinto in verde, sulla sua parte posteriore a volte compariva una larga striscia bianca d’identificazione, in caso d’operazioni notturne. L’armamento standard era lo ZB 24 (8), in pratica il derivato cèco del Mauser 98 , calibro 7.92; era entrato in servizio nel 1935 e si distingueva  per la più spessa parte metallica del calcio ed il manubrio dell’otturatore più dritto, oltre ad avere uno sguscio che migliorava la presa..

Per maggiori informazioni sui reparti e sulle uniformi romene del periodo, una volta tanto c’è da spezzare una lancia a favore di Internet, vi segnaliamo il Sito Worldwar2.ro, veramente ricco di spunti su tutto un esercito mai conosciuto abbastanza.

 Il figurino

E’ facilmente ottenibile partendo da un cappotto tedesco e perciò ci viene utile uno dei figurini tedeschi di una vecchia confezione Verlinden, la 617  denominata ‘Ostfront breakfast’. Siamo ancora nell’epoca d’oro di questa famosissima ditta e nonostante la resina verdognola il pezzo è molto buono. Il capotto ha un aspetto comunque troppo liscio e per avere più l’idea del tessuto, in scala, non resta che passarlo con delle frese montate su trapanino un po’ dappertutto, cogliendo l’occasione per sminuire lo spessore del colletto. Le controspalline e le patte delle tasche sono state sostituite con pezzetti di lamierino, dopo aver tolto quelle originali, mentre i bottoni sono stati aggiunti dopo, usando del materiale punzonato in modo che si presenti poi perfettamente uguale, come i bottoni sogliono essere. Sotto al nuovo cappotto, con l’aiuto di perni metallici – due spilli tagliati ad hoc ed inseriti a caldo - sono state montate gambe inglesi provenienti dalla banca dei pezzi. Anche le braccia vengono dalla stessa fonte, mentre per la testa l’unica soluzione plausibile è stata quella di recuperare una testa Hornet inglese, però del tipo con l’elmetto Mk III, molto simile a quello che ci serve. Unendo pezzi diversi, la prima cosa da controllare è stato ovviamente la loro plausibilità nelle proporzioni complessive,  perché non appaiano troppo dissonanti gli uni con gli altri. Ovviamente, badando ad usarne con moderazione, è stato utile per i vari incollaggi il cianoacrilato, vista la sua rapidità di presa – misurabile in secondi. Attenzione, però, oltre alla sua tossicità al fatto che è tenace meccanicamente, ma molto fragile, in pratica non sopporta gli urti.

 Dopo aver riprodotto le fibbie delle buffetterie, è stata applicata una sacca russa,  proveniente come la borraccia e le cartucciere provengono dalla vecchia scatola Zvezda della fanteria sovietica dello stesso periodo. Per le cinghie e tracolle, basta usare del lamierino d’ottone da navimodellismo, per tagliarle la cosa più pratica è una piccola riga metallica ed una lama a punta, con la quale dare diverse passate leggere, perché cercando di tagliarlo in una volta tende a fare grinze. La testa è stata montata dopo alcune prove, usando del lamierino al suo innesto, sia per nasconderlo che per avere un elemento in più, compatibile col clima, ovvero una sciarpa. Sul braccio sinistro, la fascia gialla d’identificazione non è altro che una piccola striscia di carta dipinta ed incollata per ultima, quando il figurino fissato alla basetta.

Per la colorazione del figurino, come al solito in questi casi non c’è che usare ancora il buon vecchio pennello e dei colori a smalto, approfittando della gamma di marrone disponibili. Si parte, per il marrone del cappotto, con una miscela di Matt 26 e 63 della Humbrol, corretta con un po’ di nero, mentre i pantaloni vanno più scuri e successivamente ombreggiati. L’elmetto è rifinito in una miscela di verdi a smalto che è riconducibile ad un verde medio leggermente scuro, in cuoio marrone vanno sia le calzature che la buffetteria, mentre la sacca è in tela di canapa chiara e la borraccia rivestita di panno marrone, col bicchiere metallico.

La tinta della pelle è imitabile con miscele a smalto, più naturali e pratiche rispetto agli analoghi colori ‘carne’ già pronti, che tendono ad essere troppo rosa. Proseguiremo dipingendo sugli occhi due zone in azzurro molto chiaro e, asciugate, delimiteremo le palpebre superiori in marrone scuro, ovviamente con un pennello sottilissimo, ma senza fare lo stesso per il brodo inferiore degli occhi, inavvertibile in scala, dipingeremo in seguito le pupille. Data la scala, non abbiamo applicato molti passaggi successivi, si corre il rischio di trasformare il viso in una maschera grottesca. Si può passare la miscela, più schiarita, per dare rilievo ad alcune zone come il setto nasale, la fronte ed il mento, il labbro superiore, gli zigomi ed i bordi delle orecchie. La sciarpa che ripara il collo è verde.

Il fucile va dipinto in Matt 26 per il calcio, rifinito poi ad olio per dargli più profondità, mentre le parti metalliche vanno in grigio scuro, ripassato in argento a pennello secco. Per un rifinitura, i colori ad olio sono il ‘must’ essendo abbastanza facili da usare ed asciugando più lentamente, permettendo una fusione di tinte che verrà facile  e naturale. Per esempio, è facile in questo modo diversificare le tonalità di marrone tra il cuoio delle cavigliere e quello degli scarponcini, più scuro. 

Il muretto posto sulla semplice basetta è un pezzo di rovina in gesso, avanzato da altri lavori, dall’intonaco, dipinto in grigio chiaro, emergono i mattoni, in marrone rossiccio e rossiccio, passati poi a pennello secco con una miscela più chiara. Il terreno circostante è semplice Das, applicato assieme a sassolini e picchiettato per dargli rilievo, la verniciatura tenderà al marrone non troppo scuro.

       

 

1 - Parata di fanteria romena nel 1940. Si notano i particolari dell’equipaggiamento e le tipiche ghette in cuoio (coll. Grigoletti)

                               2 - Un colonnello – a sinistra . a confronto con u  subalterno; notare il tipico copricapo in pelo e la sciarpa, non proprio d’ordinanza

3 - Un sottufficiale – a sinistra – con elmetto dal quale è stato tolto il monogramma reale medica un caporale – a destra.
Le spalline del sottufficiale sembrano quelle pre-belliche.

4 – Il cannone da fanteria da 47 mm. Se vi ricordasse qualcosa, avete fatto centro, è l’originale austriaco da cui deriva il nostro celebre 47/32.

5 – Serventi di mortaio alle prese con la neve, si notano alcuni degli elementi che compaiono nel figurino realizzato.

 

 

Per le fotografie messeci gentilmente a disposizione, ringraziamo gli amici Gaetano Grigoletti e Stefano Pisani., che ci accompagnano sempre nelle nostre scorribande articolistiche.                                                                                            

 

Bibliografia  

 - Germany’s Eastern Front Allies 1941-45 – Osprey Men at Arms 131 – Osprey Publishing 1982
 - Le forze armate della seconda guerra mondiale  - Ist Geografico DE AGOSTINI – 1982
 - The Romanian Army of  World War 2 – Men at Arms 246 – Osprey Publishing 1991
 - Uniformi ed Armi n.  12-99  

 

Il contenuto del sito è tutelato da "COPYRIGHT". La riproduzione è vietata con qualsiasi mezzo analogico o digitale senza il consenso scritto dell'Autore e della Redazione, con prevalenza del primo. E' consentita la copia per uso esclusivamente personale. Sono consentiti i link da altri siti alla prima pagina o a singoli testi con citazione della fonte. Ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, il copyright si riferisce alla elaborazione ed alla forma di presentazione dei testi in oggetto. I testi degli articoli, delle recensioni e delle foto linkati e/o pubblicati sul sito del CMPR non rivestono carattere di ufficialità; si declina, pertanto, ogni responsabilità per eventuali inesattezze.

 Per ogni informazione rivolgersi all' e-mail

 

GALLERIA