WALTZING  MATILDA

        

        di  Andrea  e  Antonio TALLILLO    

 

 

Dai Notiziari  n. 4 del  2009  e n.1 del 2010      

 

 

A volte, la recente politica della Tamiya di riproporre vecchi kits con alcuni – a volte pochi, purtroppo – aggiornamenti ci permette di rispolverare vecchi kits da cantina, non per tornare al passato a tutti i costi ma perché essenzialmente si tratta di kits ancora discreti, che con un po’ di lavoretti si possono rendere presentabili, senza esagerare. E’ il caso del buon vecchio Matilda II, che resta sul campo dopo che, a seguito dell’annunciata riedizione Tamiya, un nuovo kit della ICM ucraina è stato cancellato, a quanto sembra. Sarebbe stato interessante compararli, comunque, anche realizzando il vecchio kit giapponese saremo forse ancora utili a chi acquisterà la nuova confezione, probabilmente per alcuni dei dettagli migliorabili.  

Un po’ di storia  

Quella dei "carri da fanteria" fu una serie di mezzi portata avanti con coerenza dagli organi tecnici inglesi, che privilegiando la protezione la resero molto funzionale ai suoi compiti. La prima versione del Matilda era poco armata e mobile, e già ai primi del 1936 ne fu sviluppata una più grande e pesante, con torretta meglio armata e nuova sospensione protetta. Lo sviluppo di questo successore fu lento, perlomeno durante il periodo del disarmo, fino ad arrivare al progetto A12, definito con la Vulcan & Foundry  nell’autunno 1936. Si trattava di una ripresa del progetto A7, con una buona corazzatura specie anteriore ed in torretta, con l’aspetto motoristico risolto pragmaticamente, adattando due motori Aec , identici a quelli dei bus di Londra. Pronto nell’aprile del 1938, il prototipo darà risultati soddisfacenti, con solo piccole modifiche. Ordinato due mesi  dopo in più di 100 esemplari. Il Mk. II partecipò in soli 23 esemplari alla sfortunata campagna di Francia, segnalandosi durante un impegnativo contrattacco nella zona di Arras il 21 maggio 1940,  durante il quale si dimostrò un osso duro per il cannone controcarro tedesco da 37mm.

Senz’altro il carro ebbe una parte vitale invece nella prima controffensiva inglese contro le nostre truppe e nei ranghi del  7  RTR si fece una reputazione. Il reparto era stato il primo ad arrivare in Africa Settentrionale a fine settembre 1940, dopo essere stato ricostituito su tre squadroni, col personale salvato a Dunkerque e 50 carri. L’aura d’invincibilità del mezzo cominciò il 9 dicembre, quando 28 carri attaccarono il nostro campo trincerato di Nibeiwa, travolgendolo nonostante tre contrattacchi italiani. Il ciclo operativo proseguì con l’appoggio di una decina di carri alla 4 a Divisione indiana attorno a Sidi Barrani il giorno dopo e con la presa di Bardia, con 22 carri aggregati alla 6^  Divisione australiana. Comunque, i cannoni campali italiani, usati da vicino per colpirli nei pochi punti deboli come i cingoli e la base della torretta, furono dei discreti avversari, tant’è vero che nella fase precedente alla presa di Tobruch erano disponibili solo 16 Matilda. Il 7 RTR dovette poi tornare ad Alessandria per far rimettere in efficienza i carri, le officine fecero in modo da recuperare quasi tutto l’organico ed il reparto tornerà ad essere operativo nel marzo 1941.

Tra i primi scontri coi panzer, il 19 aprile in un tentativo di penetrare nel perimetro di Tobruch una formazione di Panzer III fu presa sotto il fuoco dei ben apostati Matilda dello squadrone D e dovettero ritirarsi, dopo aver subito diverse perdite. Il 12 maggio, con un convoglio, arrivarono ben 135 Matilda, all’epoca i reparti disponibili erano due, al 7° si era aggiunto il 4° RTR con 50-55 carri. Tre giorni dopo, cominciò l’Operazione Brevity che mirava a riprendere il controllo della zona di frontiera tra Libia ed Egitto. Il 15 giugno, con la Operazione Battleaxe, partì il secondo tentativo inglese di sbloccare l’assedio tedesco a Tobruch; i Matilda disponibili erano 90, concentrati nella 4^ Brigata corazzata, unità di formazione della 7^ Divisione corazzata, ma i vari squadroni combatteranno staccati l’uno dall’altro e con poco supporto. Carri del 7° RTR occuparono al Ridotta Capuzzo, mettendo fuori combattimento una cinquantina di panzer contro la perdita di 9 carri. Il vero avversario del Matilda fu più che altro il buon numero di validi cannoni controcarro tedeschi, usati con procedure da manuale. La musica era cambiata e l’accento era ora sulla mobilità, che rendeva superato il concetto di "carro da fanteria". Battleaxe costò di sicuro 64 Matilda ai reparti inglesi, alcuni dei quali catturati da unità tedesche. Il sostanziale fallimento delle offensive inglesi della seconda parte del 1941 creò un periodo di stallo, una sosta operativa che vide il rafforzamento di entrambi gli schieramenti. Anche il 7° RTR aveva contribuito a bloccare, sia pure per poco, la 15^ Pz Division, ma la piazzaforte restava sotto assedio italo-tedesco. Nel suo perimetro fu costituita  nel settembre la 32^ Brigata carri, con gli esemplari ancora in forze ai due reparti citati. Il piano per liberare Tobruch prevedeva anche una sortita in forze dalla zona assediata, le operazioni conciarono il 18 novembre ma l’attacco principale della Brigata ebbe scarso successo contro le posizioni della Divisione Bologna e si dovette arretrare. Il 23 una seconda sortita cominciò meglio, ma i campi minati ed almeno quattro cannoni da 88 la fermarono.

L’inizio della controffensiva dell’Asse portò ad alcuni duri scontri, nei quali ormai venne a palesarsi che la sua era stava tramontando, essendo complesso nella manutenzione dei motori e poco armato, mentre le doti di "buon incassatore" non servivano più. La 1^ e 32^ Brigata corazzata inglesi ne avevano ancora in servizio quasi un centinaio, ma nella battaglia di Ain el Gazala di fine marzo 1942 i loro attacchi furono stroncati con pesanti perdite. A fine maggio 1942, di fronte ai reparti di Rommel le brigate corazzate inglesi erano disposte proprio dietro la linea di "box" di fanteria che andava da Gazala sino a Bir Hackeim, ma il 5 giugno un attacco non coordinato di una settantina di Matilda nella zona del "Calderone" incontrò un campo minato non segnalato ed incappò nel micidiale tiro degli 88 tedeschi. Il 7° RTR aveva ancora carri di questo tipo nell’ultima difesa di Tobruch, quelli più in discreto stato cadranno in mano tedesca. Questo rovescio affrettò la scomparsa del Matilda, in favore del carro Valentine, di produzione più semplice. L’ultimo ordinativo era stato passato alla Fowlers nel marzo 1942, ma ormai non c’era fretta e sarà completato poi nel 1943. Il suo canto del cigno fu l’attacco a fine luglio 1942 alla cresta di Ruweisat di  4 carri della 23^ Brigata, al quale ne sopravvisse uno, sicché lo stesso "Monty" chiese al War Office di non mandarne più. Da allora i Matilda verranno usati solo in alcuni reparti comando e per l’addestramento. Restando nel teatro d’operazioni del Mediterraneo, sono interessanti le meno conosciute vicende del plotone autonomo di tre carri distaccato a Malta e dei nove carri mandati a Creta, poi catturati ed usati dal Pz Abt 212, in entrambi i casi erano mezzi e personale tratti dal 7° RTR. Diversi Matilda sono scampati alla guerra ed al dopoguerra, e restano conservati in Europa , in Canada ed in Australia, solo alcuni però sono della versione II.    

Il kit

Risalendo il Tamiya al 1972 anche se riproposto di recente, non può essere proprio all’altezza dei tempi, essendo un pò sovrascalato, tende all' 1:34, e con moltissimi dettagli semplificati, anche per colpa della prevista motorizzazione. Di base, è comunque ben fatto, perlomeno cattura abbastanza la linea bassa e compatta del mezzo. Le decalcomanie, ci riferiamo sempre alla scatola originale, sono in pratica inutilizzabili, ma stavolta poco male in quanto la prassi nel deserto era di portare un po’ meno insegne. I cingoli sono veramente non rimediabili, almeno all’epoca della realizzazione del modello, mentre ora sono disponibili i Friulmodellismo (confezione 71) in metallo e confezioni in plastica di altre marche.  Per quanto riguarda i fotoincisi, alla veterana busta della Eduard n. 99 si affiancheranno ben presto nuove  uscite.  Stavolta ci sono da fare veramente diverse migliorie al modello di partenza, specie in torretta, fortunatamente la plastica dei kits antiquati della Tamiya è sempre robusta e lavorabile . Una premessa : descrivere i vari interventi è a volte considerato noioso o controproducente nei confronti di chi si è inoltrato da poco nel nostro piccolo mondo, ma è l’unico modo per renderci conto del nostro livello d’abilità, senza che finisca il divertimento ognuno potrà scegliere la quota di lavori che più si adatta alla sua esperienza. Sarà però più consapevole che dietro ai lavori dei soliti noti non ci sono bacchette magiche, ma solo più impegno e costanza. Questo senza sentirsi un verme se proprio non riesce a riprodurre un parafango in dieci o così via….  

Realizzazione del modello

Si comincia ovviamente con lo scafo, autocostruendo la parte interna del meccanismo di tensione del cingolo (Disegno 1 – Tavola 1 ) e quella esterna (2) usando in entrambi i casi dei listelli di plasticard, bulloni tratti da altri kits ed un pezzo di plastica che riproduca una vite, quello orizzontale. Il dettaglio del meccanismo è in (A). Quasi subito ci troviamo di fronte al primo lavoro un pò impegnativo, cioè sostituire i troppo sporgenti rivetti laterali delle piastre laterali (3).  Se non lo facessimo, in ogni modo dovremo assottigliarle dall’interno, sono troppo spesse. Qui per evitare troppo sforzo basta prendere un pezzo di legno duro di lunghezza adeguata e rivestirlo di carta vetrata, ottenendo così un prezioso lisciatoio "home-made". Con molta pazienza, verremo a capo delle piastre, che una volta pronte vanno anche incise appena dopo la seconda apertura per lo scarico del fango (4), essendo in due parti. Venendo alle dette aperture, andranno rifinite nei bordi con delle fresette (5) perché probabilmente con la cartavetratura i margini non saranno più molto netti. La piastra inclinata sopra ai carrelli (6) va trattata con una fresa, in modo da irruvidirne la superficie e sminuirne lo spessore e per finire, vanno forate completamente le parti centrali delle cerniere dei portelli d’ispezione e praticati i fori soprastanti (7). Continueremo con prove a secco, anche con la cingolatura, usando ancora i cingoli del kit, certo non ottimali ma nascosti per quasi tutta la loro corsa, probabilmente non ci sarà da accorciare i perni dei sei rulli reggicingolo, i pezzi D15, per parte. Al momento, comunque, sono disponibili i magnifici cingoli Friulmodellismo 71, sarà una forte spesa supplementare ma aggiungerebbero molto e si sa, i cingoli per un carro sono come le ali per un aereo.

Passiamo direttamente ai primi lavori sulla sovrastruttura, partendo dal suo palese aspetto non troppo realistico. Il pezzo Tamiya riproduce le piastre laterali inglobate, senza nessun segno di separazione dal cielo, un sistema facile  e veloce per non stare molto tempo ad incidere la plastica, col rischio di non andare dritti, è quello di aggiungere invece delle nuove piastre laterali (8) tagliate con precisione da plasticard di spessore adatto, incollandole; su di esse vanno ulteriormente incollate due striscette di plasticard (A) sulle quali incolleremo i relativi bulloni, finiremo con un leggero irruvidimento delle superfici grazie alle solite fresette.

Sulla prua (9) bisogna intervenire rendendo l’effetto della fusione (A), altrimenti si presenterebbe troppo liscia; basta usare un leggero strato di stucco Tamiya, è vero che non è il migliore ma è sufficientemente versatile per questo tipo di applicazioni. Le modanature (B) sono da ricalcare col pirografo, per quelle già presenti nella parte inferiore, e da riprodurre con sprue filato a caldo, incollato e poi pirografato, per la parte superiore. Dopodiché, passiamo a riprodurre i portelli dei due vani portaoggetti (10). In pratica, prima ancora di stendere lo stucco sulla prua, dopo aver preso più volte le misure, incolleremo due pezzi di plasticard finissimo, sagomato. Dopo aver riprodotto la saldatura fra essi ed aggiunto la maniglia a forma di " T " ed il foro del meccanismo d’apertura-chiusura a brugola (11), l’applicazione dello stucco tutt’attorno, aggiungendo di spessore, renderà tutta la zona più realistica. Andando alla postazione del pilota, l’installazione del suo periscopio (12) va migliorata sostituendo il prisma ed aggiungendo i due bulloni anteriori : all’occorrenza, si poteva usare una copertura in lamiera (13) per evitare riflessi. Il pezzo D19 va incollato e fresato sino a che non faccia copro unico con la piastra (14) ma sul lato destro ricaveremo l’incavo e la parte finale del perno della protezione basculante (A). La ribaltina sopra la testa del pilota (15) va completata con una striscetta posteriore (A) dei fermi anteriori (B) e posteriori (C), per finire con l’aggiunta delle due coppie di bulloni. Il posto di guida è così pronto ed alla fine è un discreto colpo d’occhio. Il cielo della sovrastruttura era ovviamente rivettato, i rivetti sono d’applicare partendo dalla porzione anteriore (16) per continuare con la parte centrale, appena dietro alla postazione del pilota (17) e poi lateralmente (18). Il caricamento attrezzi non è un granchè per come è offerto nel kit, non c’è molto da fare se non rimpiazzarli oppure ci si può accontentare di rifare al meglio almeno i loro attacchi, partendo da quelli, per il portantenne di ricambio, di sinistra (19) e poi destra,- per pala e manico del piccone, (20); quelli sulla fiancata destra (21), per il piede di porco, a volte mancavano. Le blindature delle prese d’aria dei radiatori dell’olio sono troppo quadrate e perciò simili a tobleroni di cioccolato (22), sono da ripassare leggermente i loro bordi e superfici con una fresa. Quelle laterali (23), basculanti verso l’esterno, sotto alle quali c’erano i serbatoi di carburante, le miglioreremo applicando dei pezzetti di plasticard a riprodurre il perno interno e la testa del perno stesso (A). Per le coperture blindate (24), applicheremo i perni, fatti in sprue filato a caldo, con le loro teste sporgenti (A), la stessa sequenza di fresatura ed applicazione delle teste dei perni va ripetuta per le blindature posteriori, quelle dei radiatori (25 e 26). Tra le due piastre del cielo, quella piatta e quella posteriore, inclinata, (27) vanno aggiunti due bulloni e poco più in là una maniglietta (A), rifatta in filo di rame piegato. La ‘coda’ va stuccata e fresata per rendere anche in questo caso l’effetto della fusione (28). Alla parte finale delle piastre con le protezioni blindate va aggiunta una striscia di plasticard tagliata a misura, sulla quale applicheremo i bulloni (29). Tra essa ed i parafanghi laterali c’è uno spazio non esistente nella realtà (30), da riempire con del plasticard sino ad ottenere un nuovo parafango. Non avendo scelto di montare il serbatoio supplementare posteriore, non abbiamo usato i supporti D11 e C 19, non resta che riprodurre i ganci standard (31), coi loro supporti imbullonati. I fermi della piastra con le protezioni blindate (32), malamente riprodotti nel kit, sono senz’altro da sostituire.

Dalle tubazioni delle marmitte (33) vanno tolte i corrugamenti e dopo aver stuccato e lisciato il tutto andranno ricoperte per riprodurre la trama del materiale isolante, l’amianto, che le rivestiva. In scala, un materiale abbastanza realistico ed alla portata di tutti è la carta fine da scatola da scarpe, tagliata a striscette ed incollata con vinavil per tutto l’andamento delle tubazioni  (Disegno 34 – Tavola 2). Nel tagliare le striscette, poco male se esse non verranno fuori troppo regolari, in realtà il consumarsi del materiale in alcune parti obbligava spesso a ‘toppe’ perciò per una volta non c’è da essere troppo perfettini. Con striscette di plasticard, sulle quali applicheremo i bulloni, riprodurremo i fermi delle parti superiori (A), mentre quelli delle parti  inferiori erano un po’ più completati (35).

La parte interna della "coda" va completata con una piastra tagliata ad hoc da un pezzetto di plasticard (36) e da inserire da sotto. Su molti esemplari, era presente inoltre una rete metallica esterna, dalle dimensioni un pò abbondanti e fissata con bulloni al bordo inferiore della "coda" (37). Non avendo trovato molto a livello documentativo, tantomeno sui carri tramandataci, l’abbiamo omessa. Resta comunque la possibilità di personalizzare il modello aggiungendo la gabbia metallica posteriore che ospitava taniche per carburante ed olio, nascondendo in parte la rete e le marmitte. La parte semitonda a protezione dei gruppi di trasmissione (38) è anch’essa troppo liscia e va quindi trattata come per la prua, inoltre il foro d’ingrassaggio sulla faccia interna (A), riprodotto come un semplice brufolo di plastica, va sostituito con qualcosa di più realistico. Sulla piastra verticale posteriore (39) aggiungeremo lateralmente le strisce imbullonate di rinforzo (A) e le piastre imbullonate dei supporti delle marmitte, la cui parte inferiore sarà comunque nascosta dalle marmitte stesse (B). Queste ultime (40) sono presentate in modo poco realistico, si devono stuccare e rifinire per benino, previa asportazione dei due brutti risalti che riproducono le fasce di sostegno. Bisognerà rifarle (41), usando striscioline di plasticard con un ulteriore pezzetto di plasticard a sostegno di quella inferiore (A) ed un bullone che le univa alla striscia principale (B). La parte superiore delle fasce era dotata di due bulloni, per chiuderla e fissarla alla piastra (42). Nei tempi morti di questa fase, si potranno, con la fresa, intaccare molto leggermente le superfici delle marmitte, che essendo in lamiera erano più soggette ad urti e perciò ai danni, le pipe di scarico sono quelle del kit (43), ma coi fori allargati con cura, grazie alle fresette. Le giunzioni tra le parti terminali delle tubazioni e quelle che portano alle marmitte sono uguali a quelle alla fine delle parti di tubazione più lunghe (44), le estremità dei giunti vanno unite alla marmitta superiore sinistra ed inferiormente a quella destra.

Ora si può, prima d’affrontare i grandi lavori per sanare il poco realismo della torretta, aggiungere allo scafo tutta una serie di dettagli minori. Cominceremo coi parafanghi anteriori (45), dai quali toglieremo i troppo grandi bulloni per sostituirli, l’operazione va completata applicando quelli mancanti anche nell’angolino tra pareti laterali sovrastruttura, scalino della prua e parafanghi (46), sui due lati. A partire dal quarto bullone delle facce interne dei parafanghi, esisteva una barretta metallica imbullonata (47) molto probabilmente vi appoggiava il portello del vano attrezzi una volta completamente aperto. Per i ganci anteriori ed i loro supporti (48) ci regoleremo come quelli posteriori ed al centro della prua aggiungeremo il supporto imbullonato della piastra metallica d’identificazione (49). Scartando i pezzi che riproducono le maglie di ricambio, abbiamo usato invece solo le barre metalliche che le trattenevano (50), ottenute pescando dalla confezione  Eduard n. 99 . Le due coperture per le luci laterali di posizione sono ricavabili comodamene dalla busta dei fotoincisi di cui sopra, attenzione, però, perché non sono proprio uguali. Quella di sinistra (51) è più lunga, quella di destra (52) è più alta ma più corta. Su alcuni disegni è mostrata una schermatura interna a retina, ma più frequentemente si scorgeva all’interno la lampada. Le protezioni, i pezzi D11 del kit, montate davanti a queste scatolette sono troppo spesse e si può sostituirle agevolmente con del plasticard (53); c’è da dire che in più di una fotografia non appaiono montate. Anche i fari del kit vanno sostituiti (54), se non nel corpo almeno nel telaio che li sorreggeva (A) dal quale partiva la guaina del filo elettrico (B) che arrivava poi al retro; anche i fermi inferiore (C) e laterali (D) possono essere migliorati, la copertura poteva avere anche fessure a semiluna (E), come quelle offerte nei fotoincisi. Sul parafango posteriore destro, all’altezza della giunzione degli elementi lunghi delle tubazioni, c’era un portatarga, all’epoca ancora munito dei fori di fissaggio per essa, ma con la targa civile non più montata (55). Sostituiremo il pezzo del kit con uno autocostruito (56) nel quale inseriremo i catarifrangenti (A), con le guaine dei fili elettrici, rifatte con del filo di rame più fino di quello usato per i fari a prua, da unire sul retro ad un supporto posteriore (57) fatto con una striscetta di plasticard con aggiunti i bulloni di fissaggio. Sui fianchi posteriori dello scafo, verso il retro, aggiungeremo con due pezzetti di plasticard gli attacchi dei contenitori per alcune latte d’acqua di riserva (58). L’ultimo lavoretto, il più delicato, è quello di ricostruzione del pezzo C46, il supporto dello specchietto retrovisore del pilota, cominceremo a ricostruire la parte abbattibile (59), aggiungendo poi il fusto, al quale incolleremo una piastrina in plasticard, coi bulloni che fissavano lo specchietto vero e proprio (60), per quest’ultimo è facile trovarne di adesivi, nel vasto mercato dei kits di automobile in scala 1.43.       

Sin qui, pur trattandosi di una bella serie d’interventi e correzioni, abbiamo scherzato…ci sarà ancora di più da impegnarsi per avere una torretta degna di questo nome. Sarà una fase impegnativa ed implica l’attenzione e cura più alte. E’ vero che una parziale soluzione potrebbe essere quella di usare almeno la torretta in resina della tedesca MR Models, una bella confezione, molto valida nei particolari,  che però rimane costosa ed ormai poco reperibile, risalendo al 2002. Ad un esame molto superficiale, la torretta del kit sembrerebbe passabile, ma quasi subito ci sia accorge che è stata tragicamente riprodotta come un guscio unico, privo di molti dettagli e con molti altri mal riprodotti. D’altronde, all’epoca, queste cose non erano considerate importanti ed il modellista medio era molto meno esigente. Come prima fase, bisognerà perlomeno levare dal cielo sia che la cupola, sia che tutte le altre parti stampate,poi con cura scartavetriamo tutto il cielo. Fotocopiamo un buon disegno in scala e con l’aiuto del compasso Olfa,con calma incidiamo nel cielo  un cerchio di uguali dimensioni rispetto alla base della cupola (Disegno 61 – Tavola 3). Poi con un righello di acciaio e con il tracciatore Olfa, incidiamo la piastra di separazione della zona portello (62). Inseriremo poi la striscia  paraschegge anteriore (63), usando due strisce di plasticard o meglio ancora un profilato Evergreen da 1 mm. Il periscopio del cannoniere (64) è del classico tipo Vickers e può essere benissimo realizzato usando parti provenienti da kit di alcuni tipi di carro sovietico, non tralasciando d’aggiungere i bulloni sulla piastra di base. Il traguardo di mira a lama per il capocarro (65) invece bisogna proprio autocostruirlo con lamina di ottone o plasticard da 0.2 mm. E’ più complicato l’estrattore di fumo (66), coi suoi quattro bulloni di fissaggio per la parte a fungo e la protezione circolare esterna dell’apertura. Il portellino per le segnalazioni con lampada (67) sarà un semplice tondino ricavato con punzone e dotato dei suoi bulloni. Dietro ad esso, l’apertura per l’antenna anteriore  (68) era chiusa, sui carri in quel periodo era ancora montata la radio n. 11, con singola antenna posteriore come vedremo. Per il portello del caricatore (69), altro "tour de force !".  Il pezzo del kit ha troppo spessore, anche nelle cerniere, lo cambieremo con uno autocostruito, riproducendo il caratteristico rilievo centrale, con nuove cerniere, chiavistello e fermo esterno (70), senza tralasciare il rilievo verso parte posteriore e la maglia esterna ricostruita in filo di rame. L’apertura del portello è troppo piccola, controllando foto e disegni ne verremo a capo, questo ovviamente se avessimo scelto di riprodurlo aperto. Mentre l’interno dei portelli del capocarro è veramente complicato, quello del portello del caricatore (71) non presenta che maniglia interna (A), imbottitura (B), rilievo sul lato esterno (C) e corrispondente incavo (D). Se riuscirete a dettagliare l’interno del portello ed inserirvi poi uno dei bei figurini apparsi di recente con la scatola Miniart n. 35069, l’effetto finale sarà assicurato. La cupola del capocarro è meno impegnativa, bisogna modificare l’anello imbullonato che in realtà era costituito in due pezzi. Per prima cosa abbassiamo il pezzo del kit, a spessore in scala con la documentazione sottomano. Poi col compasso Olfa ricaveremo un disco in plastica delle stesse dimensioni e lo incolliamo con il pezzo del kit. Ritornando ai portelli della cupola del capocarro (72), separeremo con un piccolo taglio la prima parte delle linguette rivettate (A) aggiungendo i perni nei loro cardini (73), la battuta rivettata (74) è riproducibile con una striscetta di plasticard e con rivetti presi da altri carri in disarmo. Anche per questo, pur essendo reperibili in commercio diverse confezioni di bulloni, mai buttare via pezzi, prima di averli messi a frutto sino in fondo. L’iposcopio del capocarro va scalzato per applicare la piastra imbullonata che faceva da base (75), per essere poi dotato dei bulloncini di fissaggio. Dal punto segnato in (76) faremo partire un pezzetto di filo di rame che si unirà al supporto d’antenna posteriore, a riprodurre la guaina del filo elettrico. Sui fianchi della cupola (77), non avendo montato il proiettore c’è da riprodurre la sua piastra di supporto (A), rifatta in plasticard, ad essa segue un gancio (B), sul retro il visore dal capocarro (78) va sistemato un pò più aderente alla parete, segue un altro gancio (79).

Uniremo il guscio della torretta (80), a questo punto, visto che poi lavoreremo lungo i suoi fianchi, i bordi dell’unione (A) vanno stondati con una fresa per riprodurre la saldatura fra le due parti, e sotto alla base incolleremo un pezzo circolare di plastica, andrà benissimo ricavarlo da una vecchia piastra, da raccordare con stucco e fresare, lo scopo è alzare un pochettino la torretta che spunta fuori inverosimilmente dallo scafo (B). I sei rilievi orizzontali presenti sulla scudatura esterna (C) vanno ingranditi usando blocchetti di plasticard stuccati  e fresati, la scudatura interna (81) va genericamente passata con una fresa per toglierle l’aspetto troppo liscio, la zona d’uscita del cannone va raccordata con un dischetto di plasticard molto fine, sul quale va incollato un bullone superiore (A) e quella del cannocchiale di puntamento necessita di un bordino di protezione (B), cioè una piccola striscetta di plasticard incollata stavolta con colla liquida e molta pazienza. La canna può essere sostituita con una, tornita in metallo, della Jordi Rubio, la n. 15 o equivalente, esistono anche la n. 44 Elefant oppure la n. 204 della New Connection. I lati della torretta (82) sono anch’essi troppo lisci per riprodurre con efficacia l’effetto fusione, inoltre c’è da smorzare la troppo nitida forma della "bugna" anteriore sinistra (A), qui basta un pò di stucco in più in sede di stesura, per ammorbidire la forma; aggiungeremo poi il primo dei tre ganci di sollevamento (B), da inclinarsi leggermente verso l’esterno. Il supporto portabagagli (83), riservato a teli e coperte, è completamente "cannato", va rifatto con strisce di plasticard e bulloncini di recupero, era fissato in basso, unito agli attacchi superiori (A), riproducibili con filo di rame, per mezzo di cinghie (84). I pezzi C 11 sono le scatole che contenevano ognuna due caricatori a tamburo da 100 colpi per il Bren contraereo: non sarebbero male, ma sono semplicistiche in quanto a metodo di fissaggio alle pareti della torretta. Dopo aver riatto meglio le cerniere superiori (85) toglieremo dai lati le placchette triangolari, al loro posto andrà fatta una gabbia con striscette di plasticard (86), che troverete meglio illustrata in un successivo dettaglio. Dopo aver posizionato la prima, c’è da occuparsi del pezzo C12/13  : visto così potrebbe sembrare un semplice cilindro metallico, in realtà era un contenitore per le bandierine da segnalazione (87), confezionato in quella che sembra presumibilmente canapa gommata, con solo le estremità rigide (A), trattenuto da una fascetta metallica inferiore (B) e da due analoghe superiori (C), una per lato. Il coperchio (D) aveva due cinghie di canapa che lo tenevano fermo. Si passa poi alla seconda scatola per caricatori, nel disegno 88 della Tavola 4 troverete lo schizzo che mostra la gabbia metallica di lato, le gabbie erano fissate in alto da una linguetta imbullonata (A). La bugna posteriore della torretta (89) va trattata come il lato anteriore sinistro, quando la superficie sarà pronta applicheremo il secondo gancio di sollevamento. Il supporto abbattibile dell’antenna, pezzi C1/C3, è tirato via, ma non è una soluzione usare i pezzi della confezione Eduard, che risentono di una ricerca affrettata. Meglio rifarsi i vari elementi di questo complicato sistema, peccato che solo un paio dei vari Matilda conservati in giro per il mondo lo abbiano ancora completo. Si parte dalla lamiera angolata che faceva da base (90), unendo plasticard e bulloni di recupero, poi ci si ricaverà la piastra orizzontale (91) che appoggiava su di una lamiera che faceva da battuta e quelle laterali. Su quella di destra era imperniata la parte destra della lamiera orizzontale (92). Il tutto era tenuto rigido da una lamiera circolare sempre a destra, come a destra partiva un braccio in lamiera (93) per il tirante estensibile (A). Una volta inclinato, il supporto si poteva tenere fermo con una vite (B) fissata ad una piastrina ma  non è escluso sia legato alle diverse inclinazioni possibili il rocchetto blindato (C) dal quale usciva un filo d’acciaio (D). L’isolatore (94) è ricostruibile sovrapponendo alcuni dischetti di plasticard, il mollone (A) con del filo di rame di adeguato spessore. Come vedete, un sistema che definire machiavellico è poco…

Il pezzo C44 dovrebbe riprodurre il visore del caricatore (95), partendo da esso i miglioramenti possibili sono una diminuzione dello spessore, ottenuta scartavetrando il pezzo, una generale passata con fresa per irruvidirne le superfici, la parte mobile va ristretta e più staccata (A) mentre tra le due piccole bugne va aggiunta una parte centrale, da raccordare con stucco,  vanno riprodotti inoltre i bulloni superiori (B) . Una volta posizionato il visore, non resta che applicare la terza scatola munizioni (96). A marcare la zona, incolleremo per primo l’ultimo gancio di sollevamento (97), sul quale spesse volte era appeso uno degli elmetti a padellino usati dall’equipaggio. La piastra che faceva da base al supporto per i lancia fumogeni è il troppo massiccio pezzo C33. Non volendo montarli ne risulta che ci si deve almeno rifare la parte verticale del supporto con del plasticard (98), non tralasciando di aggiungere la scatola dei contatti (99), costruita in plasticard sulla cui faccia esterna vanno aggiunte le viti e sulla cui faccia interna va praticato il foro dal quale uscivano le guaine dei fili elettrici per lo sparo (A). Per evitarle danni, applicheremo quasi per ultima la staffa per i cavi (100), ottenibile con delle striscioline di plasticard, la parte attaccata alla parete va contornata col segno della saldatura, per mezzo del solito pezzetto di sprue filato a caldo  e pirografato. Concluderemo con l’ultimo dettaglio più delicato, ovvero la guaina del filo dell’antenna (101) che partirà dal supporto abbattibile per collegarsi al cappellotto sul cielo della torretta.   

Colorazione e contrassegni

Nel periodo scelto per la nostra riproduzione, i carri Matilda erano verniciati nel solo colore di fondo, il cosiddetto Light Stone, la cui tonalità non è ancora ben definita, andando dal crema chiaro al giallo carico, l’aspetto nella media era quello più che altro di un color biscotto o camoscio chiaro. Colorazioni mimetiche furono l’eccezione, con bande irregolari in Mid bronze green ed a volte veramente elaborate. I pochi contrassegni si riducevano al semplice numero di matricola, in nero sui fianchi e sul retro dello scafo, ad un nominativo radio individuale ed ad eventuali numeri tattici sui fianchi scafo o torretta, ma solo per alcuni reparti in certe circostanze. Per tradizione, i nomi cominciavano con lettera corrispondente al numero (la G per il 7° RTR). Mancavano i simboli tattici di squadrone, in torretta, per inciso il terzo, nel 7°, aveva la denominazione "D" perché il C, distrutto ancora nella Grande Guerra, per scaramanzia non era stato ricostituito.

Il "flash" tattico mancava anch’esso, come lo stemma della Brigata, i contrassegni ottici a bandiera bianco-rosso-bianco erano già stati tolti dopo la conclusione dell’Operazione "Crusader", a fine 1941. Le decals Tamiya della vecchia scatola sono veramente bruttine, mancano gli stemmi di Squadrone in blu, mentre sono presenti fin troppi stemmi di reparto, comunque riciclabili per altre "avventure" modellistiche.  

Bandierine  

I gagliardetti si vedono infilati sull’antenna in molte fotografie d’epoca, furono usati spesso, almeno finchè l’incremento ed il miglioramento delle comunicazioni radio tendetelo a sparire. E’ ancora una materia poco trattata e non più esplorata, in italiano, dai tempi gloriosi della rivista Modelli Militari. Aspetto e posizione di quelli identificativi variavano non solo da periodo a periodo, per ovvie ragioni di sicurezza, ma da reparto a reparto. Limitandoci a capire come potessero essere quelle del 7° RTR a 1942 inoltrato, cominceremo da quelle più comuni, per l’identificazione. Esse erano due, triangolari, da 22.8 x 33 cm, nel colore del reparto secondo l’ordine d’anzianità all’interno della Brigata, nella sequenza rosso–giallo–blu. I comandanti di plotone, nel corso dell’anno, sostituirono l’unica bandierina verde con due triangolari, identiche nelle dimensioni, nella identica sequenza colori rosso–giallo–blu e con a volte, il numero del plotone, in bianco, all’interno di quella superiore. Il Comandante Squadrone usava per qualche tempo bandiera rettangolare (anche a coda di rondine) da 22.8 x 48, nei colori in sequenza, con o senza simbolo tattico bianco al suo interno. Il carro del "navigatore" del reparto, figura quanto mai chiave nei primi periodi di guerra, era distinto, perché non si avessero dubbi, da un grande gagliardetto nero. Il Vice Comandante di battaglione si discostava dalla norma per avere bandiera da 46 x 91.5 rossa, e sotto ad essa una triangolare anch’essa rossa. Il Comandante in genere una sola bandiera da 46 x 91.5 sul colore del quale ci sono almeno tre versioni diverse, nel caso fosse stato blu era accompagnato a volte con due bandiere (una sopra ed una sotto) rosse. Fin qui la prassi, anch’essa semi-ufficiale, in realtà semplificata al massimo nel corso del 1942, con l’uso dei semplici bandierine triangolari di un determinato colore ed in una certa posizione, per tutti i carri di un dato reparto. 

Verniciatura ed ambientazione  

Ora il modello è sul tavolo, pronto per essere verniciato, momento topico. Passeremo a questa fase, però, solo dopo aver verificato ulteriormente l’assenza di irregolarità sulle superfici. Nonostante la plastica sia già in sabbia ed il colore da applicare sabbia, è meglio una sorta di pre-verniciatura; la prima mano di fondo va preparata con lo Humbrol HM 1. Probabilmente è un colore ormai introvabile, per chi ne fosse rimasto sprovvisto o magari non lo avesse neanche mai visto, si può facilmente rimediare usando il Matt 93 anche se dobbiamo dire che si può dimostrare forse troppo scuro. Meglio optare per una miscela di Matt 93 al 70 % e di Matt 103 per il resto, se aggiungerete un pò di più del secondo colore avrete automaticamente un colore più stinto e vissuto. Si può comunque agire con un minimo di sagacia variando un pò la miscela di volta in volta secondo i vari pannelli, in modo da far risultare la parte superiore più chiara. La mimetizzazione in sabbia uniforme infatti non risulterà monotona se useremo una discreta gamma di tonalità, dal marrone molto chiaro al giallo, lasciando sempre intravedere il colore di fondo. Dopo un paio di giorni, sporchiamo il treno di rotolamento ed un pò tutto il mezzo con un velo di nero e marrone chiaro a dolio, molto diluiti, scorrendo leggermente e velocemente col pennello su piastre e spigoli ed insistendo appena un pò di più sulle giunture delle piastre, dove in realtà si accumulava lo sporco ed il grasso. Per maggiore praticità, è meglio procedere sporcando prima il treno di rotolamento, per poi inserire la cingolatura, già sporcata prima, per poi incollare le piastre di protezione. Le tubazioni degli scarichi erano avviluppati in amianto, vanno perciò dipinti in bianco sporco od in una miscela che prevedeva bianco ed un pò dello stesso colore del carro, ma non certo da corredare con troppa ruggine. La basetta, come al nostro solito, è semplicemente una cornice portafoto privata del vetro e col fondo sostituito da un pezzo di compensato sufficientemente rigido, incollato lungo i bordi con della colla vinilica. Si applica un primo strato di Das o materiale similare, con la solita miscela "stregonesca" di terra colorata ocra, vinavil, sabbia setacciata, pasta Hydrozell da ferrmodellismo. La stenderemo zona per zona, con calma, tenendo a parte sempre alcuni tipi di sassolini naturali, piccoli pezzetti di gesso od altri elementi da inserire per vivacizzare, in questo caso due fusti di carburante tagliati che servivano da guard-rail. Ovviamente, prima si deve riquadrare con una matita la zona della cingolatura del carro, in modo che alla fine, quando le avremo applicato della colla bi-componente, esso si adatti già benino al terreno. Tenendo schiacciato leggermente il mezzo, dopo mezz’ora la colla avrà fatto presa e potremo con un pò della stessa miscela raccordare realisticamente i cingoli al terreno già steso. Non resta che passare un pò su tutto il carro un poco di acquerello tinta polvere, in modo non uniforme, nella direzione della marcia, dal basso verso l’alto, in modo che il modello non si stacchi troppo di tonalità. Quando tutto il terreno sarà perfettamente asciugato, un discreto lavaggio, sempre ad acquerello, completerà le nostre fatiche. 

tavole dettagli

             

le fasi di lavorazione ed il modello finalmente finito.....

               

           

           

               

il carro ripreso sui campi di battaglia (per gentile concessione del Gen. Orsini)

               

           

il Matilda conservato al Museo di Bovington (Inghilterra) (foto di S. Sogni)

           

 
Ringraziamenti  
Per la raccolta di immagini, abbiamo avuto come al solito una mano da persone squisite :  
- per le foto del Matilda di Bovington l’amico Stefano Sogni
- per le foto storiche, alcune interessanti immagini scattate nel 1941-42 dal generale Orsini
 
Scheda tecnica  
Peso : 26.9 t                                 Equipaggio : 4
Dimensioni . 5.61 x 2.59 x 2.51  mt                     Motore : 2 Aec da 87 hp a 2.ooo giri / 174 hp
Velocità massima su strada : 24 km/h                  Autonomia su strada : 241 km
Larghezza cingolo : 35.6  cm
Corazzatura : muso e frontale scafo 78 mm – piastra inclinata 47 – lati 40/70 (sopra) – scudatura sospensioni 25 – fondo 13 / 20 (fronte) – retro 55 – tetto 20
Torretta : fronte, lati e retro 75 – cupola 75 – tetto 20
Armamento : un cannone Mk IX o X da 40 mm ed una mitragliatrice Besa 7.92 mm
Munizionamento : 93 granate e 2.925 cartucce
 
Bibliografia  
-         Matilda Infantry Tank – New Vanguard 8 – Osprey Military
-         British tanks in North Africa 1940/42 – Vanguard 23 - Osprey Publishing
-         Ground Power n. 18 – British Military Vehicles of WWII – Delta Publishing
-         British panzer – Waffen Arsenal Band 10
-         British tank markings and names – A & AP
 
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