Jefrejtor 32^ Divisione Sovietica
- Borodino, ottobre 1941 -
di Andrea e Antonio TALLILLO
Le prime settimane del conflitto tra Germania ed Unione Sovietica furono caratterizzate, nella compagine dell’Armata Rossa, da una situazione continuamente variabile, con pochi collegamenti efficaci tra alti comandi e la truppa. Tuttavia, quasi ovunque, gli attaccanti incontrarono una resistenza molto tenace, anche se non ancora ben coordinata. I reparti sovietici s’aggrappavano al terreno con la forza della disperazione, combattendo spesso sino all’ultimo e spesso portando furiosi contrattacchi, che per il loro vigore sconcertavano le unità tedesche. Cosi’, già a fine agosto la Wehrmacht non teneva più il ritmo e la passeggiata militare era finita, con avanzate rallentate a 4/5 km al giorno contro i 38/40 delle prime settimane e le perdite erano aumentavano notevolmente, di giorno in giorno. Comunque, la sera del 2 ottobre, nel settore davanti a Mosca le armate sovietiche dovevano ritirarsi sulla linea di Viazma, investita già una settimana dopo. Ormai il fronte di Briansk era tagliato in due parti e Mosca venne a trovarsi in una posizione molto critica, con il fronte a meno di 100 km. Ma davanti a Mozhaisk i reparti tedeschi incontrarono un’eroica resistenza, per 5 giorni una divisione, la 32 a fucilieri del colonnello Polosukhin difese molto bene la zona della battaglia napoleonica di Borodino. La divisione, che poco più di due anni prima aveva combattuto con successo contro i giapponesi attorno al lago Hassan durante la guerra non dichiarata quasi ai confini con la Corea, era appena arrivata, mancante di un reggimento, dalla Siberia, con poco tempo per organizzare una difesa più articolata. Le nuove posizioni erano già sotto il tiro nemico ma per un intero giorno gli attacchi tedeschi furono fermati. Si riusci’, con un abile lavoro di pattuglie, a riconoscere nel villaggio di Rogacievo posizioni di panzer ed artiglierie tedesche, che furono oggetto di un contrattacco vittorioso. In risposta, sulla zona del bosco ad ovest di Kukarino, il comando divisionale ed un battaglione furono fortemente impegnati da un gruppo di panzer, che fu respinto dopo quattro ore di combattimento. La giornata più terribile fu il 18 ottobre, quando i fanti sovietici furono oggetto di un attacco di panzer che seguiva un’ora di bombardamento d’artiglieria. Già ridotta di molto dalle perdite, una divisione completa del tempo era in media fatta di 6/7.000 uomini, la 32 a dovette ripiegare su Mozhaisk, dove il 18 entrarono i reparti tedeschi. Dopo la prima nevicata del 6 ottobre, c’era stato un periodo di piogge alternate a brevi nevicate
L’uniforme
Quella della fanteria aveva preso una sua definizione, pur conservando in parte elementi del retaggio zarista e tradizionali, attorno alla fine del 1935, restando senza molte modifiche sino al 1943. Lo elemento base era la ‘rubaha’ modello 36 (Tavola 1 – Particolare 1), una blusa di lana kaki oliva per l’inverno e cotone pettinato kaki chiaro per l’estate ed i reparti operanti in climi più caldi. Essa aveva colletto chiuso e rivoltato, tasche al petto con patta e bottone, abbottonatura nascosta e maniche chiuse da polsini abbottonati. Veniva portata sempre fuori dei calzoni e lo stile simile per tutti i gradi anche se almeno inizialmente le tasche erano riservate agli ufficiali. Dato che si usava materiale proveniente da aree estesissime e molto lontane fra loro, una differenza che saltava agli occhi era quella dei vari toni di colore, con la lana che aveva sfumature marrone anche grigiastro o verdastro. Sul colletto, un caporale di fanteria (Jefreitor) dal portava (dal novembre 1940) mostrine rettangolari (2) color rosso lampone con bordi e striscia nera, sulle quali veniva appuntato un triangolo dorato. Già dall’aprile del 1941 erano state studiate mostrine più sobrie (3), in tessuto kaki più scuro della rubaha e senza bordi, lo scoppio del conflitto fece virare ancora di più sulla praticità, dall’agosto 1941 vennero in uso nuove mostrine coi distintivi bruniti o riverniciati in khaki ma il processo andò avanti a lungo e sino al 1942 chi aveva le vecchie mostrine cercava di conservarle il più possibile, magari eliminando il distintivo di grado. I pantaloni (sharovari - 4), in stoffa simile alla rubaha, avevano una forma quasi alla cavallerizza e rinforzi al ginocchio ed erano portati con alti stivali (sapogi) che in teoria la truppa doveva tingersi da sola in nero ma che spesso erano lasciati nel loro colore naturale, oppure con scarponcini marrone chiaro o nero e fasce gambiere. L’elmetto modello 36 (5), il primo di disegno nazionale pur avendo influenze germaniche, era di fattura quasi rudimentale ma la sagoma dava una protezione abbastanza indovinata, sulla sommità recava, applicata con saldatura, una piccola cresta che riparava lo sfiatatoio, il soggolo era in tela con fibbia metallica. Di colore verde scuro ma anche grigio- blu scuro e marrone, riportava sul frontale una stella con falce e martello, nel solo bordo rosso (6). L’elmetto fu conservato per alcuni mesi ed usato assieme al successivo, specie dalle unità provenienti dalla Siberia.L’equipaggiamento era abbastanza spartano, ad un cinturone in cuoio marrone (7) erano fissate due giberne a bauletto (di stile pre-1930), chiuse da una cinghietta trasversale e bulloncini laterali – od una sola di esse, a destra. Lo zaino (8) era il modello 1938, in tessuto kaki verdastro con bordi in cuoio alle aperture, con due tasche esterne – nel disegno per chiarezza ne è rappresentata solo una. Veniva portato con due spallacci a Y, uniti da una fibbia con cinturino sul petto. Attorno, con apposite cinghiette di cuoio, si portava il telo impermeabile verde oliva scuro (9), a volte col cappotto dentro. Troppo costoso e poco pratico, lo zaino scomparirà verso la fine del 1941, come la borsa per gli accessori da tenda (10) con 2 picchetti e 2 pezzi di corda portata al di sotto, e la borsa per razioni, gavetta e posate (11) assicurata direttamente al cinturone. Della vanghetta sono riscontrabili almeno quattro tipi diversi, il più vecchio con lama e manico ridipinti in verde oliva, era portata a destra, in un fodero di canapa o tessuto (12). Sulla patta era fissata la borraccia, quando c’era. Il tipo più comune (13) era ovale, in alluminio con tappo a vite e copertina in tela kaki chiaro o tessuto verde, chiusa da una cinghietta e bottone. Il contenitore per la maschera antigas BN (14) in tela di canapa era portato a sinistra, spesso svuotato in favore di razioni o cartucce, a mò di tascapane. Il fucile è il semplice e robusto Moisin-Nagant 91/30 (15) lungo 1.232 metri e con baionetta a spiedo (16), per la quale non era previsto il fodero.
Il figurino
Diversi anni fa, la spagnola ARA MINIATURES si segnalò per una serie di soggetti in metallo bianco riguardanti la seconda guerra mondiale realizzati con molta intelligenza, tra di essi anche questo fante sovietico (codice 4635), ripreso poi da Verlinden in resina, nell’autunno del 1996, in una confezione numerata 1169 che gli univa una moviera sempre proveniente dalla produzione ARA. La prima operazione, sui figurini in metallo bianco, è pulire con cura le varie parti, rimuovendo le linee di fusione o le sbavature di stampo con una buona lama, da far scivolare delicatamente in una sola direzione e stuccare eventuali imperfezioni. Entrambe, in questo caso, sono veramente poche così l’uso dello stucco Tamiya è stato ridotto il meno possibile, fra torso e braccia. Rispetto al figurino originale, l’unica variante è quella dell’elmetto, per avere un qualcosa di diverso abbiamo usato un modello 36 proveniente dalla vecchia confezione in plastica della Zvezda, relativa alla fanteria sovietica del periodo. La basetta è indispensabile, non solo per evitare di maneggiare troppo il figurino mentre lo si completa e vernicia, il metallo bianco è più facile a rigarsi e scrostarsi. La verniciatura non è di quelle esaltanti in quanto a scelte di colore, ma è formativa in quanto ci darà modo di fare pratica con le miscele, per avere una gamma varia senza troppo discostarsi da un colore-chiave. A questo fine, sono consigliabili gli smalti Humbrol, se non altro per la gamma quasi infinita di tonalità disponibili. Per prima, ovviamente, la parte riguardante il volto, la più difficile ma quella che con la sua finitura darà valore ad un intero figurino. L’espressione dipenderà molto dallo sguardo e dal gioco di luce ed ombre sulla faccia. Applicheremo il bianco degli occhi con una punta d’azzurro per smorzarne l’eccessiva luminosità. Come regola generica, la posizione centrata per gli occhi si trova su di un’ideale linea verticale che unisca ogni occhio all’angolo della bocca. Per l’incarnato, realizzeremo il colore di base mescolando bianco, ocra ed una punta di rosso, aggiungendo eventualmente una punta di marrone. Riprodurremo le ombre ai alti ed alla base del naso, e nella parte sottostante il labbro inferiore con terra d’ombra bruciata e le fonderemo picchiettandole sul colore di base. La "rubaha" è dipinta con una miscela di cuoio 63 con una punta di marrone e sabbia, ma si può usare ugualmente una miscela di verde oliva, marrone, giallo, beige, le ombre colore di base privo del beige o col semplice colore ad olio Bruno Van Dyke. Per diversificare lievemente i pantaloni, si possono verniciare con Dark Earth HB 2 ed Olive Drab HM 3 al 50 %. Le fasce gambiere erano ritagli di uniformi di varia provenienza, riproducendole abbastanza chiare partiremo da un marrone Matt 29 con un po’ di sabbia e bianco. Le buffetterie in MC 22 – ripassato ad olio – per cinturone e giberne, lo zaino marrone medio, sabbia e bianco, per le borse tattiche si parte dalla miscela usata per il corpo della zaino, aggiungendo più sabbia per quella degli accessori da tenda e più marrone per quella delle razioni. L’elmetto può essere dipinto con una miscela di HB 2 più verde Matt 30, il fucile per la parte in legno con Matt 26 e Nero Matt 33 (al 30%) canna ed altre parti metalliche con una base di MC 53 Gun metal, ripassato con grafite che otterremo da un po’ di mina di matita passata con uno straccetto, a colore asciutto. Il tocco finale sarà rendere "vivi" i particolari più fini usando colori ad olio, l’aspetto del figurino diverrà ottimo, pur se dovremo impegnarci di più. E’ meglio comunque usarli quando avremo acquisito sufficiente sicurezza nel maneggiare il pennello.
Per saperne di più : - Army Badges and Insignia of World War 2 (Book 1) – Blandford Colour Series, 1972 - Le forze armate della Seconda Guerra mondiale – Istituto Geografico De Agostini Novara, 1982 - Soviet Army Uniforms in World War Two – Uniforms Illustrated n. 9 – A e Ap, 1985 - The Red Army of the Great Patriotic War – 1941-45 – Men at Arms 216 – Osprey Publishing, 1989 - Red Army uniforms of World War II – Europa Militaria n. 14, 1993