LA  "VESPA"  AD  ANZIO

 

di  Andrea e Antonio TALLILLO

 

Dai  Notiziari  nn. 1 e 2 del 2011 :                  

 

   Nella Seconda Guerra Mondiale, pochi eserciti poterono far tenere il passo alla loro artiglieria rispetto ai corazzati. Anche la Germania cominciò la guerra con poca artiglieria motorizzata, ma anche questa non era in grado di seguire bene i panzer e dare loro supporto. Specie il fronte russo, nel duro inverno 1941-1942 impose il loro abbandono, per mancanza di adatti mezzi di traino e recupero. Fu così chiesta la realizzazione di un semovente ed attorno a fine gennaio 1942 s’incaricò la Alkett di concepire un tipo leggero, scegliendo il ben collaudato scafo del Panzer II, non più  adatto a compiti di prima linea. In collaborazione con la MAN, fu possibile in breve  tempo una trasformazione lineare, l’idea chiave fu disporre il motore dietro al posto di pilotaggio, creando un pratico spazio posteriore per il resto dell’equipaggio. La più grossa modifica allo scafo era il suo allungamento e rinforzo nel treno di rotolamento per assorbire meglio il rinculo dello sparo. I ruotini erano solo tre, ma riposizionati e la posizione del pilota era mantenuta a sinistra, con poca visibilità.

   L’ottimo obice da 105 della Rheinmetall scelto per l’installazione era uno dei cavalli da battaglia dell’artiglieria divisionale, aveva una reputazione di stabilità ed affidabilità e la caratteristica configurazione col recuperatore sopra alla canna controbilanciava il freno di bocca, alleggerendo i compiti del puntatore. Montandolo su di una piastra di base, che faceva anche da tetto del vano motore, lo si era reso facilmente rimovibile. Il brandeggio era lievemente inferiore rispetto all’obice campale, l’arma era in grado di sparare, al ritmo di 6/8 colpi al minuto le granate standard Gr 38 da 14.81 kg sino a poco più di 10.600 mt o le utili granate fumogene 14.  

   La corazzatura del vano di combattimento era efficace solo contro le armi leggere e le schegge, nel vano posteriore, al suo interno,  trovavano posto sui lati una trentina di cariche propellenti (da 1 a 5) e 15 massime. Non c’era molto spazio per portare qualcosa di più per l’equipaggio. A sinistra c’era l’apparato radio, protetto da una tettoia ed installato su supporti dotati di tamponi in gomma per assorbire gli urti. Il supporto per l’antenna era collocato su di una mensola interna, nel punto d’incontro fra le due piastre di corazza di sinistra.

   La produzione fu portata a compimento dalla Famo a Breslau ed a Varsavia, dal febbraio 1943, a fianco dei Marder II controcarro. Nel primo stabilimento finì nell’agosto dello stesso anno, nel secondo si andò avanti sino al 6 od 8/44, continuando con le revisioni complete e con alcune conversioni sino al gennaio del 1945. In totale, 676 esemplari, che equipaggiarono le batterie  - di sei mezzi l’una - di uno degli Abteilungen di artiglieria delle divisioni corazzate e Pz Grenadieren. .  

   Sul fronte italiano, la 16^ Pz. ne ebbe 12 dalla fine di luglio 1943 al dicembre, la 26 a altrettanti, per meno tempo e che scesero rapidamente a 2 soli esemplari. Anche la 3^ Pz. Gren che ne aveva 18 ne perse una mezza dozzina. Altri 18, dal tardo autunno 1943, ne ebbe la 29^ Pz. Gren sul fronte di Anzio. Il logorio fu più alto di quello del fronte orientale e la divisione delle batterie in coppia o veicoli singoli rendeva alti i rischi di perdite, col motore che non era a suo agio su colline e montagne ed i conseguenti guasti meccanici. Se non altro, restava il vantaggio che la potenza di fuoco paragonabile a quella del Priest americano era concentrata in uno scafo meno costoso ed ingombrante.

 Il kit Tamiya

   Sullo scafo Panzer II, per tanti anni, non sono stati ricavati molti tipi di semovente, e perlomeno il  Wespe è sempre stata una chimera per noi della Vecchia Guardia modellistica. Ora invece i semoventi di cui sopra quasi si sprecano, e non si parla solo del Marder ed è molto prevedibile una uscita, prima o poi, di kits Dragon e/o Tristar. Intanto, si siamo goduti il kit Tamiya, che risale al 1996; quasi 15 anni, in questo campo, sono molti, tuttavia è la prova di quanto fossero capaci gli stampisti giapponesi, prima della comparsa di kit superbi come quelli cinesi. La rifinitura dei dettagli era veramente assai notevole e la stessa concezione del kit era alla portata di tutti, con un  numero di pezzi adeguato senza essere strabordante. Per migliorarlo nell’aspetto finale, esistono comunque sul mercato diverse confezioni che ci aiuteranno certamente a faticare meno, questo se le possibilità economiche saranno adeguate. Per gli interni del vano guida e motore, si può scegliere tra ben tre confezioni, la più completa ma meno reperibile è la Verlinden 1379, per i cingoli i più reperibili e pratici sono quelli Friulmodellismo, i set fotoincisi ‘pappabili’ sono l’Eduard 450 e Aber 25, ma non è male la confezione Eduard 816, studiata per il kit Alan ma che propone molte parti per le riservetta e la radio. Ma, se siete stanchi di spendere capitali per ogni modello completato, vi potete limitare all’essenziale come noi, una canna tornita in ottone della Aber, un’ottimo prodotto per rimpiazzare questa parte ormai non troppo realistica del modello.  

   Venendo al kit vero e proprio, la plastica è della solita qualità Tamiya, cioè solida ma lavorabile, lo stampo è molto buono tranne che per alcuni fastidiosi segni sulle balestre delle sospensioni, gli interni sono discreti ma migliorabili usufruendo della discreta documentazione esistente. Mancano i segni delle saldature tra le varie piastre ma, si sa, è un concetto che le case modellistiche hanno approfondito solo più di recente.    

   Passando al montaggio vero e proprio, va tutto bene per quel che riguarda le ruote, ben riprodotte e che non pongono problemi, avendo ancora in  mente quelle del famigerato Panzer II Tamiya degli anni ’70 è stata una vera passeggiata. Prima però di montarle proprio tutte, ci si dedicherà a riprodurre con il pirografo i segni delle saldature tra le piastre anteriori dello scafo, (Tavola A – Particolare 1),  aggiungendo un bullone conico sulle gondole dei gruppi finali di trasmissione (2) e tornando alle saldature – quelle relative alla parte aggiuntiva dello scafo (3), ovviamente da prolungarsi su tutti e tre i lati. Verso gli angoli posteriori dello scafo erano presenti, uno per lato, delle guide per evitare scingolamenti, sono riproducibili con due strisce di plasticard (4) tra le quali inserire una sottile lamina e, se ve al sentite, applicare i bulloni. Per darvi un’idea, la lunghezza della striscia è approssimativamente di tre maglie di cingolo. I segni delle saldature vanno praticati anche posteriormente (5), per il resto la piastra va benino, a parte dover sostituire la striscia tra le due parti (scafo e piastra sovrastruttura), un pezzo unico nel kit (6), da sostituirsi con due strisce in plasticard, tenute assieme da bulloni, un sistema senz’altro più aderente alla realtà. Il gancio posteriore (7) va munito dei segni delle saldature e dei bulloni che lo trattenevano. La marmitta ci darà modo di metterci alla prova, essendo stata un po’ ‘tirata via’ nella riproduzione. Per prima cosa toglieremo con un buon cutter gli attacchi per lo scafo già stampati, stuccando per benino sino ad avere una superficie uniforme (8); nel suo nuovo look la marmitta (9) avrà nuovi attacchi riprodotti con il plasticard e terminanti in supporti imbullonati, inferiori e superiori (A); la pipa andrà forata meglio nella parte finale con l’aiuto di une fresette. Per fissarla (10), consigliamo di non montare subito il troppo corto pezzo D9, ma vediamo di provarlo prima nel suo inserimento nello scafo (A), in modo da incollarlo con calma alla marmitta (B) e, quando il tutto si sarà asciugato, finire con la fascetta terminale d’unione in plasticard (11) che coprirà l’estremità troppo corta. Esisterebbe un’altra fascetta, più avanti verso la parte centrale, ma non c’è modo d’avere riferimenti certi sul suo posizionamento, meno male che è pochissimo visibile !      

   Prima di affrontare gli interni – a prescindere impegnativi – si può tranquillamente divertirsi sulla parte anteriore della sovrastruttura, ovvero la zona del posto di pilotaggio. Sulla piastra inclinata (12) mancano i rivetti un po’ su tutti i lati (A), i lati stessi vanno rifiniti meglio col segno della saldatura con i fianchi dello scafo (B); non mancano due solitari rivetti in basso (C) ed una quadriglia (D) davanti al posto di pilotaggio. La piastra d’ispezione circolare (E) è stata sostituita con una un po’ più grande, aggiungendo i relativi bulloni. Fin che siamo in vena di saldature, andiamo avanti con un piccolo tour de force, d’altronde a rimandare e farne altre un altro giorno verrebbero diverse – magari anche molto – dalle prime. Riprendiamo in mano il pirografo e proseguiamo quindi con quelle del posto di pilotaggio, si tratta di unire plausibilmente cinque diverse piastre, cominceremo con quelle laterali (13) per le quali ce ne sono d applicare cinque per lato. Completeremo poi applicando i rivetti della struttura interna in corrispondenza delle feritoie laterali (14). La piastra anteriore basculante (15) è veramente in bella vista, ma la si può pazientemente dettagliare sia con  la struttura interna del visore vero e proprio, rimpiazzando on qualcosa di meglio il pezzo C1, che riproducendo la saldatura della grondaia parapioggia (A) e per finire aggiungendo i sei rivetti che trattenevano il visore interno (B); con del lamierino va riprodotta anche la striscetta paraschegge anteriore (C) ed una volta incollata si potranno riprodurre i fori dei rivetti delle cerniere (D - otto in totale), nonché, se siamo in vena di virtuosismi, il perno dei cardini Il portello superiore (16) va montato al contrario rispetto alle istruzioni, è facilmente dettagliabile aggiungendo il segno delle saldature dei cardini (A) e la fila di rivetti sull’anta posteriore (B).

   Si prosegue sui lati della sovrastruttura, nella parte bassa, realizzata dalla Tamiya in modo da potere, alla fine, incastrare pe benino le piastre laterali superiori. Ne consegue che almeno la piastra con le griglie anteriori va aggiunta (17) non senza averla assottigliata un po’ ed aver riprodotto con calma le saldature laterali delle lamelle alla struttura principale (A), dopodiché si possono tranquillamente incollare i pezzi, ma rifacendo la sezione inferiore imbullonata di rinforzo (18) ai piedi delle griglie stesse. Le piastre erano saldate ovviamente sia in orizzontale (A) che per unirle alla parte inclinata (B) ed una volta fissate si può proseguire con la saldatura anche nella parte inferiore che continua idealmente. A meno che non si ricorra ad un kit in resina per il motore, lasciando cosi’ com’è c’è la possibilità che qualche spettatore più attento veda la mancanza di dettagli interni, è perciò consigliabile un vecchio trucchetto che consiste nell’applicare, dall’interno, dei pezzi di cartoncino grigio scuro (19).

   Ed eccoci agli interni ! La tentazione di lasciarvi in asso, cavandocela in poche righe, c’è stata per un istante, ma più forte è stata l’intenzione di dare consigli e suggerimenti, fermo restando che gli interni sono sempre una bella gatta da pelare. Nel Wespe, poi, a dire la verità, lo spazio era quel che era e si corre il rischio di non curarli bene dimenticando che i millimetri, in scala,  diventano centimetri e perciò, a voler essere pignoli, l’aspetto finale dovrebbe essere quello di un mezzo molto ‘pieno’. Comunque, chi avrà più tempo e voglia, usufruendo della ricca documentazione, potrà trarne interni magnifici, ma è altrettanto valido dettagliarli fino ad un ragionevole limite e magari posizionare un membro dell’equipaggio, ognuno può anzi deve scegliere in base al grado di abilità ed esperienza.

   Cominciamo con la zona subito dietro il posto di pilotaggio, sulla quale poggia il pezzo di bordo (20). La piastra presenta a sinistra una piccola apertura per un condotto d’aria, da delimitarsi con il segno della saldatura (A). Nello stampo sono comprese le due lunghe strisce imbullonate, ma non le striscette laterali (21) né i bulloni di fissaggio (22), è necessario perciò completare con striscioline di plasticard sulle quali incollare pazientemente bulloni presi da vecchi scafi di modelli ‘in disarmo’. Esistono diverse confezioni di bulloni i resina, ma in genere sono grandi e proposti in quantità limitata, cosi’ questa rimane ancora la soluzione più economica e pratica. Subito dopo viene il pozzetto (23) che naturalmente non può essere cosi’ ‘stampato’ essendo costituito da alcune piastre saldate tra loro, anche qui l’uso paziente del pirografo ci aiuterà moltissimo ad avere un realismo molto migliorato, anche per le piastre laterali al pozzetto stesso (A).       

Venendo alla paratia D31, ci accorgeremo che montandola e, per di più, cercando di migliorarla, renderemo inutile la piastra D 34. Se montassimo un motore in resina dovremmo perlomeno riprodurre la tagliafuoco, ma è un altro discorso. La parte superiore della piastra (Tavola B – Particolare 24) necessita di una flangia imbullonata (A) che prosegue anche lateralmente, altri dettaglia da aggiungere sono i ganci (B) e gli attacchi per la manovella d’avviamento (C), da recuperare entrambi da una confezione di fotoincisi per il Panzer II. Le parti finali della manovella d’avviamento erano una più comoda come impugnatura (D) e l’altra scanalata (E). Nella parte inferiore (25), l’apertura di sinistra era spesso chiusa da una piastra imbullonata (A), a volte più grande (B) mentre il condotto per l’aria calda proveniente dal motore (C) era chiudibile, a scelta, con un pannello basculante, anch’esso riproducibile con un foglietto di plasticard ma incollato dall’interno. Ne esisteva pure un tipo (D) costituito da un pannello fessurato.

   Il pavimento D30 è troppo semplificato, in quanto comprende davanti una sola cassa per le munizioni e dietro due riservetta apribili, ma non molto fini nella resa dei dettagli. Nulla d’irrimediabile, comunque, si tratterà di porre più attenzione e cura nella rifinitura di alcune parti. La cassa anteriore (26) va almeno dettagliata con i cardini (A), i rivetti (B) ed un listello anteriore (C), la maniglia ribaltabile presente nell’incavo (D) è presente nel dettaglio ingrandito (E) che mostra pure i galletti di chiusura. Per fare un bel lavoro, però, bisognerebbe toglierla dal pezzo Tamiya, dettagliarla ed incollarla di nuovo. Nella corsia centrale dell’impiantito erano presenti i due bocchettoni del serbatoio del carburante (27) : le relative parti del kit sono veramente trascurate e bisognerebbe almeno dettagliarle con la clip di chiusura (A) ed il segno della saldatura alla base (B) ma alla fine il risultato sarebbe, alla fin fine, poco visibile. In zona aggiungeremo una piastra (28) ed un  listello di rinforzo poco distante (29), entrambi facilmente ottenibili da plasticard sul quale incolleremo i bulloni. Passiamo alle cassette per i bossoli – i pezzi A26 e 27 – (30), anch’esse da dettagliare di più rifacendo le cerniere (A), i fermi laterali (B) e gli attacchi superiori (C) e finendo coi rivetti presenti sopra e sotto alla modanatura centrale (D). Posizionate le cassette, non resta che riprodurre il segno della saldatura dei ganci di sollevamento sottostanti (31). Le scatole per le munizioni (32) sono un po’ troppo squadrate e sarebbero da completarsi con pezzi che risultano spessi e non troppo dettagliati; si possono modificare dotandole di cerniere migliori (A), fermi inferiori (B) e di una nuova striscia imbullonata che le univa alla parete tramite saldature (C). Nel dettaglio (D) una cassa vista di lato, con la striscia inserita contro la parete. Tra le due casse, era presente la base di supporto del reggicannone (33), riproducibile con pezzetti di plasticard ed altri bulloni. La parete interna della piastra posteriore (34) va dettagliata togliendo le strisce stampate (A), troppo spesse, rifacendole in plasticard ed aggiungendo quelle laterali più in basso (B), si può continuare coi segni della saldature laterali (C) e coi rivetti interni delle cerniere esterne (D), finendo con il fermo del cannone (E), da rifare completamente perché la parte già stampata sul pezzo Tamiya è troppo spessa e non rifinita. La parte centrale che, ribaltata, fungeva d’appoggio per il munizionamento sarà utile assottigliarla con cura, specie se la riproducessimo in quella configurazione.

   Lavoreremo poi alle piastre laterali della sovrastruttura – D19 e 20 : qui bisogna prima levare i brutti segni degli estrattori, poi con calma inseriamo tutto quello che si vuol montare, rifacendo sempre i relativi attacchi alcune parti dei caricamenti mancassero. Per migliorare il realismo ho preferito stuccare l’esterno delle due piastre con un leggerissimo strato di stucco bianco, una volta asciutto si ripassano le piastre con una fresetta per migliorare l’effetto metallo sulle piastre, altrimenti troppo lisce. La parete interna della scudatura di sinistra era veramente ingombra, ma ne verremo lo stesso a capo, con un po’ più di pazienza. Si comincia con l’assottigliare il rinforzo D14 (35), alla cui faccia interna  va fissato il supporto per il mitra (riprodotto vuoto). Da una fessura di detto supporto passava una coppia di guaine per fili elettrici (A). La piastra (36) che ospita il supporto dell’antenna radio – pezzo D 15 – è troppo spesso, bisogna assottigliarlo e munirlo dei rivetti mentre il supporto vero e proprio (37) è ricavabile da qualche pezzo della nostra ‘banca’. Sopra e sotto la piastra c’erano le parti iniziali degli attacchi per due antenna di ricambio (38). Proseguendo verso il retro del mezzo, incontreremo una prima scatola per l’impianto elettrico (39), riprodotta un po’ male ma sostituibile; da essa passava la guaina dei fili elettrici  (40) col suo attacco inferiore, guaina che poi risaliva per infilarsi in una canaletta di protezione (41). Appena sotto, era fissata a quattro attacchi la cassetta per razzi da segnalazione (42), non presente nel kit, e più sotto ancora erano presenti gli attacchi (43) per la borsa contenente i caricatori ed il materiale di pulizia per mitra. E’ ovvio che l’impianto elettrico va steso, usando filo di rame di opportuno spessore, prima d’incollare i vari pezzi, specie i più ingombranti. La guaina inferiore (44) correva sino ad una presa di corrente (45) mentre alla sommità di una striscia di supporto (46), riproducibile in plasticard, c’era una seconda scatola (47). Poco prima, c’era una scatola per materiale radio (Tavola C – Particolare 48), ovvero il pezzo D 40, da rendere più fino e leggermente inclinato ed arricchire con la fila di rivetti del coperchio (A). La radio non l’abbiamo montata, preferendo al suo posto incollare una sagoma di balsa ricoperto con carta finissima, a mò di telo parapioggia ed antipolvere. Si può in ogni caso proseguire in basso con le guaine dei fili elettrici (49) dopo aver tolto la striscia già stampata sulla faccia interna della scudatura (50), da rifarsi in plasticard più fino ed incollando i bulloni. Si può proseguire con la tettoia (51) del kit, opportunamente resa più fina dall’interno con una fresa e montata senza il troppo grosso attacco del kit e completare con gli attacchi posteriori delle due antenna di riserva (52) e col segno della saldatura fra le piastre nell’angolo posteriore (53).

   Se intendete invece montare la radio a tutti i costi, ci si deve preparare ad un discreto lavoro in più, a partire dalla sua gabbia di supporto, troppo spessa e semplificata. Può essere rifatta nuova (54) con dei pezzi fotoincisi od usando delle microstrip, in maniera più impegnativa a prima vista. Ma piegare tantissime volte dei fotoincisi sino ad avere la forma della gabbia sarebbe senza dubbio stressante, fate voi. L’apparato radio del kit è fondamentalmente accettabile, anche se mancano gli accessori – non pretendiamo le cuffie peraltro reperibili in alcune confezioni Dragon di carristi tedeschi. Si può migliorarlo (55) riproducendo le spine per l’interfono e per il  microfono (A) in alto a sinistra, il comando selettore frequenze più in basso (B) e rifacendo la maniglia inferiore (C) con del filo di rame piegato ad hoc. Per il prossimo passo, si va via lisci se si ha una discreta ‘banca dei pezzi’, bastano dei blocchetti di plasticard o scatolette, che riprodurranno gli accessori della radio. Si comincia col trasformatore (56) per continuare con la scatola dell’interfono (57). Una volta posizionati il primo sotto alla radio e l’altra a sinistra della stessa, non resta che continuare con le guaine dei fili (58), stavolta più esili e che devono correre attorno ai vari apparati. In questo frangente si rivela insostituibile il filo di rame, che una volta presa la piega non la perde a meno che non la si debba correggere, in più una volta passato sulla fiamma di una candela è pronto per una passatina di nero opaco. E’ meglio coque procedere a tappe, perché a complicare il tutto ci sarebbero pure i fili del laringofono e della cuffia (59) che escono dal lato destro della scatola dell’interfono; dalla presa del microfono  esce il suo filo, il microfono è da autocostrruire (60) e posizionare accanto al trasformatore, sulla cassa di stivaggio sinistra.

   Sulla parete interna di destra, dopo aver ripetuto i lavoretti sul rinforzo e sul supporto per mitra, si passa ad un supporto per estintore (61) da rifarsi in plasticard perché troppo spesso e privo di dettagli. Pià avanti, c’era una gabbia per scatola di munizioni per la Mg 34 di bordo. Come la gabbia della radio, quella del kit è troppo spessa e va rifatta con delle microstrip (62)  Più sotto, i supporti per la mitragliatrice vera e propria (A 19 e 20) sono troppo grossi per essere in scala, si può comunque ripassarli con una fresa (63), si passa poi al segno delle saldature del relativo angolo (64). Sulla parete, sopra agli attacchi della Mg 34, sono già stampati quelli per due scatole munizioni, ma anch’essi è meglio rifarli con delle striscioline di plasticard (65). Se montassimo invece delle scatole dalla banca dei pezzi, ricordiamoci di munirle della clip ‘apertura (66) laterale.   

   Prendiamo un po’ di respiro e lasciamo gli interni per un po’, tanto per essi la prossima fase sarà quella della verniciatura. Ci dedicheremo alle estremità dello scafo : sulla parte anteriore il supporto del gancio di traino (67) va munito dei bulloni superiori che lo fissavano (A), mentre la barra portacingolo (B) può essere assotigliata. Sulla parte posteriore vanno aggiunte una mensola in basso a sinistra (68), una maniglia in alto sullo stesso lato (69) e c’è da migliorare la parte posteriore del sistema di luce notturna (70), posto sullo scafo in basso a sinistra. Le paline di batteria (71) avevano dei supporti abbastanza facili da rifare. Venendo ai caricamenti dei parafanghi anteriori, il faro Bosch è stato migliorato solo sostituendo la parte anteriore fessurata (72), però mancando la canaletta del filo elettrico che partiva dallo scafo coi suoi supporti (73) bisognerà aggiungerla e farla correre lungo il fianco della vicina piastra inclinata. Non volendo abbandonare a loro stessi gli attrezzi, almeno le clip per la testa ed il manico del piccone vanno rifatte (74) mentre il supporto della pala è da migliorare solo aggiungendo le parti laterali (75) e quello della scure da rifare con una lastrina di plasticard (76). Se scegliamo d’inserire il blocco di legno per il cricco di sollevamento (77), bisogna migliorare un po’ il pezzo rifacendo parte degli attacchi ed incidendolo con una lama finissima per dare l’idea delle venature. Gli attacchi del cricco (78) sono stati ricostruiti con microstrip, munite dei bulloni di fissaggio al parafango. Fin qui tutto bene, se ci accontentassimo del kit come è presentato, ma volendo aggiungere un po’ di realismo si può osare un pochettino. La nostra scelta è caduta sui parafanghi, cominciando con l’assottigliarli per benino e dotandoli di un paio di microstrip per lato, in modo da ricostruire la classica sezione ‘ad L’. Anteriormente (Particolare 79 – Tavola D) si può aggiungere il segno della saldatura della parete verticale, e quello della saldatura del supporto d’irrobustimento (80). All’altezza dello scafo inclinato (81) va aggiunta la vicina fila di rivetti, parallela a quella esterna ed ovviamente quando saremo nella zona delle griglie bisognerà dare il senso che la sezione di parafango sia veramente tale, provvedendo ad intagliare le microstrip (82). Posteriormente (83) la lastra può essere cambiata con un più fine pezzetto di plasticard (A) unita al corpo del mezzo con il segno della saldatura (B). Quando avremo tutti i parafanghi perfettamente asciutti, si potrà dare il tocco finale con il pirografo, aggiungendo – perche’ no ? -  qualche piccola distorsione e/o ammaccatura, senza esagerare.

   Il pezzo di bordo (84) è molto visibile e necessita di una certa cura, ma tutto diventa facile avendo a disposizione la confezione Aber L-11, lavorabile con una fresa per irruvidirla e poi inseribile nella culatta al posto di quella in plastica. Oltre alla culatta, dei pezzi Tamiya si salva anche la parte inferiore dell’affusto, da correggere solo aggiungendo  una piastra imbullonata  (A). All’arco B 34 (85) s’innestano i pezzi del recuperatore, che vanno raccordati meglio ad esso per mezzo di un pezzettino di plasticard in alto (A) mentre in basso c’è solo d aggiungere quattro bulloni (B). Posteriormente, il pezzo B 22 va raccordato meglio al recuperatore con una micro-stuccatura (86). Il blocco otturatore (87) ha solo bisogno di vedere sostituito un cerchietto interno con qualcosa di più adatto, superiormente (88) mancano un bullone ed un rivetto sulla leva. Nell’unire i pezzi B14 e 15 ci accorgeremo che a lasciarli così rimarrebbe una troppo ben visibile linea di giunzione, non resta che stuccare per bene al centro (89). Anche se c’è la tentazione, non eccediamo nella quantità, nell’asciugatura c’è una certa diminuzione nel volume e quindi uno strato troppo spesso si creperebbe. La slitta (90) soffre più o meno dello stesso problema in quanto a linea di giunzione, qui però viste le obiettive difficoltà di un’eventuale stuccatura abbiamo scelto di sovrapporre alla giunzione una lastrina di plasticard, sulla quale all’inizio si scorgono tre rivetti (A). Ormai ci siamo, non resta molto da aggiungere, basta incollare due bulloni per la stampella di protezione (91), uno sul supporto del cilindro recuperatore destro (92) e tre rivetti sul supporto del volantino destro – l’alzo (93). La scudatura andrà rifinita per renderla meno spessa e bisogna rifarsi con due pezzetti di plastirod le due sbarre d’irrobustimento (94). Nel montarle è meglio impiegare un po’ più di tempo, per non trovarsi alla fine con una struttura male allineata. I due contenitori cilindrici (95) interni alla scudatura vanno privati dei loro attacchi già stampati, che è meglio rifare con strisce di plasticard. Se non l’avessimo fatto prima – vedi dettaglio 20 – si può pensare alla pesante striscia paraschegge posta sul cofano motore, da incidere con cura perché alla fine si trattava di due piastre (96), la striscia esterna era saldata alle piastre verticali, a quanto pare solo sui lati (97), forse per permettere un cambio rapido del pezzo di bordo quando si rendeva necessario. A tal proposito, è arci-famosa la sequenza di fotografie che mostrano un’operazione di tal genere sul fronte italiano, protagonisti un Wespe del reparto scelto per il nostro modello, un semicingolato Famo con gru ed  anche un M13 ex-Regio Esercito diventato un trattore o portamunizioni.

   Siamo in una fase importante, avendo finito scafo e relativi interni, sovrastruttura e pezzo di bordo, in pratica abbiamo tutto pronto e c’è da scegliere l’ordine nel quale verniciare a parte e poi assemblare i vari sotto-insiemi. Un po’ di attenzione in più nelle prove a secco ci aiuterà molto a non avere sorprese magari sul più bello. Solo montando correttamente le piastre si otterrà un buon assetto anche nella parte posteriore, basta cercare d’inserirle senza forzature, per non provocarne il distacco. Accessori finali del pezzo di bordo sono il reggicannone anteriore, bisognoso solo della piastra di supporto inferiore (98), mancante nel kit, da rifinire col segno della saldatura (A). La barra posteriore (99) che sosteneva il pezzo durante le marce è sufficiente  rifinirla in modo da alleggerirne l’aspetto. Non resta che optare circa i gancetti ai quali veniva fissato il telone per le intemperie, che sono già stampati sulle piastre ma con esito non troppo realistico. Probabilmente all’epoca non si poteva fare molto di più, si può comunque  ricavarli da filo di rame sottilissimo tagliato a misura e posizionato al posto di quelli originali, ovvero due per ogni piastra anteriore, quattro per lato su quelle laterali e per finire quattro posteriormente. E’ un lavoretto impegnativo, da farsi prima che le piastre siano permanentemente fissate allo scafo, anche se basta una fresa per togliere quelli già stampati.    

   Per l’attesa fase della verniciatura, senz’altro più rilassante del puro costruire, modificare e quant’altro, siamo tornati al pennello, per una volta. Questo perché è vero che sarebbe più pratico procedere con l’aeropenna, ma essendo un kit con interni e pieno di spigoli e rientranze, la molto probabile eventualità di dover applicare più mani porterebbe ad appesantire comunque lo spessore di vernice, come se fosse dipinto a pennello. Meglio procedere pian piano, in modo da verniciare a più riprese coprendo tutto volta per volta ed arrivando anche nei punti più difficili. Non occorre una particolare abilità, anche sul mezzo reale s’era usato il pennello, in mancanza d’altro. Il colore che abbiamo usato è lo Humbrol 83. Magari non è il colore ‘giusto’ ma col successivo drybrushing è difficile prevedere la tonalità finale, quindi andiamo avanti senza fare troppa Accademia, ma badando a quanto possa essere realistico. Per lo scafo, si può già invecchiare e sporcare i lati e la parte bassa dopo l’asciugatura della prima mano, usando colori ad acquerello terra naturale, giallo ocra e bianco. I cingoli, avendo cura di ammorbidirli tirandoli con delicatezza, si adattano bene al treno di rotolamento e non resta che sporcarli con la stessa miscela. Si invecchia l’interno della camera di combattimento usando un lavaggio di colore ad olio – bitume di Giudea diluito al 90 % con petrolio o diluente sintetico. Mentre scafo ed interni si asciugano per benino, si può tornare alla tinta di fondo per il pezzo di bordo, preparato prima con alcune zone in metallo brunito, più o meno lucido ed esposto. Con l’aiuto di una piccola morsa arriveremo anche nelle parti più nascoste. Si rifiniscono poi gli attrezzi, cercando di diversificarli e renderli un po’ più vivi, con una matita argento della Carisma si può anche aggiungere qualche piccolo ‘baffo’ di metallo scrostato dovuto ai piccoli danni fatti da sassi, rami e non ultimo dall’equipaggio usando il mezzo. Un po’ più di tempo passato in questi spesso sottovalutati passaggi aggiungerà invece molto. Il pezzo si monta per ultimo, poi tocca ai caricamenti interni – teli, taniche, oggetti vari, trattenendosi per non riempire il già poco visibile spazio, ultimo tocco il montaggio dell’antenna radio. Tra gli elementi più caratteristici del caricamento, le gabbie per granate supplementari (100) caricate un po’ dovunque, a volte anche esternamente. Si possono recuperare agevolmente dal set in plastica della Afv Club n. 35062, che però è più studiato per i 105 campali standard, perciò vi troveremo  gabbie con le parti finali metalliche, mentre all’epoca erano diffuse pure quelle di costruzione leggermente diversa, con meno presenza di metallo e parte posteriore costituita da una rozza sbarra di legno. La colorazione dei bossoli ebbe molte varianti, in origine ottone trafilato, poi acciaio placcato in ottone, per finire semplice acciaio verniciato    

   Ambientare il nostro Wespe, a questo punto, è quasi una passeggiata, basta avere una cornice portafoto in legno, privata del vetro e con un foglio di compensato di giuste dimensioni inserito da sotto ed incollato con del vinavil. Dopo un giorno si stende uno strato di Das, inserendo sul terreno anche accessori già verniciati in precedenza, durante i tempi morti della costruzione (vi accorgerete che cambiare l’oggetto delle vostre attenzioni vi toglie molto dell’ansia di vedere il modello completo - come casse per colpi, taniche, sassi eccetera usando adesivo universale in tubetto o bicomponente. Non serve che la scena sia satura, anzi, anche con pochi elementi di solito si riesce ad ottenere un’ambientazione molto attraente. Basta pianificare un po’ la collocazione degli accessori , nel dubbio lavoreremo ‘per sottrazione’ fino a quando sentiremo che è la volta buona. Quando il Das è secco si installa il Wespe, per fissarlo si userà un filo di colla bicomponente sui cingoli, poche ore dopo si stende la solita miscela di Hydrozell – segatura fine e vinavil colorata con acquerelli ed una giusta dose d’acqua, tenendo l’impasto morbido. Man mano che lo si stende si aggiungerà anche l’erba sintetica con una pinzetta, ma anche del muschio secco per creare un terreno non troppo lussureggiante. L’ambientazione scelta è quella per un Wespe della 1 a batteria dello Abt I, Pz Artillerie Regiment 29, ad Anzio o giù di lì.  

   Tocco finale è aggiungere un figurino, sempre utile a dare l’idea delle dimensioni del mezzo, nell’uniforme feldgrau per semoventi (Vedi Notiziario 1/02 per una sua trattazione più estesa). Fermo restando che in artiglieria le erano preferite uniformi modello 36 o da fatica, e tenendo conto degli oggettivi limiti della scala, non sarà male ripassare almeno l’argomento  fregi, mostrine e distintivi, i quali, visto il periodo d’ambientazione, erano già di qualità bassa. Sul berretto di tipo unificato, spiccavano l’aquila biancastra e la coccarda su fondo verde scuro (A) mentre le mostrine al colletto erano ancora quelle verdi con bordo rosso e teschio argentato (B). Le controspalline, fino al grado di sottufficiale, erano semplici, con un bordino rosso (C), mentre l’emblema nazionale sul petto a destra era un’aquila biancastra su fondo verde scuro (D).

   Grazie per l’attenzione con la quale ci avete seguito, e…buon modellismo !

Scheda tecnica 
Peso : 11.48 t        Dimensioni  : 4,81 x 2,28 x 2,30 mt
Motore: Hl 62 TRM 140 hp a 2600 giri
Velocità massima : 40 km/h     Autonomia : 140 km
Armamento : un Fh 18/2  da 105 ed una MG 34 da 7.92 mm
Brandeggio :  -5 + 42 verticale e 20° per lato in orizzontale
Munizionamento : 32 granate
Corazzatura :  minimo 5 massimo 30 mm
 
 Bibliografia :  
 - Wespe SdKfz 124 – Nuts & Bolts Vol. 02 – 1996 
-  Wespe – Military Ordnance Special Number 18 – Darlington Productions – 1996
-  Wespe Kfz 124 – Photosniper 8 – Kagero – 2001
  

                 

               

               

                       

           

               

           

               

           

           

               

           

               

               

               

 

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