Panzer IV/70 A
di Andrea e Antonio
TALLILLO
Uno
degli ultimi corazzati messi in campo dal Terzo Reich prima del suo crollo
nacque dalla ferma intenzione di realizzare ancora più mezzi armati con il
micidiale cannone da 75/70, capace di fermare a distanza tutti i carri alleati,
o quasi, del periodo. Alla fine del giugno 1944, il Panzer IV era considerato
non più usabile a lungo contro i nuovi carri sovietici, il mese dopo Hitler in
persona chiese addirittura che l’intera sua produzione venisse convertita in
quella di JagdPanzer, creando al più presto un progetto capace di ospitare nello
scafo il Pak 42. A breve scadenza ciò non era possibile e si dovette trovare una
soluzione temporanea, che avrebbe permesso alle fabbriche Alkett e Miag di
realizzare un mezzo di questo genere. La critica situazione richiese un
intervento radicale, con un prototipo che montava una sovrastruttura di
JagdPanzer IV/70 direttamente sullo scafo di Panzer IV Ausf. H. Anche nella
denominazione Panzer IV/70 era rispecchiato l’intendimento di sostituire il
carro di serie con questo nuovo mezzo, ibrido sì, ma bene armato e protetto.
Il mezzo definitivo ebbe sovrastruttura più alta e meno sfuggente, unita al
cielo ed alla parte anteriore, di quella già in uso per lo JagdPanzer IV, con
modifiche ridotte al minimo, la più evidente era la piastra verticale di
raccordo anteriore, nella quale era ricavata la feritoia del pilota.
Tra i dettagli minori salienti c’erano il reggicannone modificato ed il cambio
di forma della copertura blindata della postazione per la mitragliatrice di
bordo. Lo scafo usato era quello tratto dalla regolare produzione del Panzer IV
Ausf. J, a parte forse la ridotta pre-serie su scafi ‘riciclati’ di Ausf. H.
Inizialmente, gli scafi avevano quattro rulli di rinvio per lato e ruote
posteriori a raggi cavi, poi furono adottate altre varie tipicità della versione
J, come l’eliminazione di un rullo reggicingolo e lo spostamento dei restanti
tre, nuove ruote di rinvio con parte centrale fusa, scarichi semplificati,
irrobustimento del dispositivo di traino posteriore, e così via. Con il peso
aumentato di 2 t. rispetto allo JagdPanzer IV standard, il treno di rotolamento
veniva sempre completato con ruote interamente metalliche per le prime due
coppie di rulli, per evitarne la rapida usura.
Alcune caratteristiche del caricamento attrezzi erano cambiate, ma l’attacco
dell’antenna posteriore, ancora presente, non si usava. Le schurzen a piastre
erano state sostituite dal tipo – più economico – costituito da elementi in rete
metallica, sostenuti da un semplice tubo.
La produzione di questo nuovo corazzato fu affidata alla Ni-Werke in Austria, in
attesa che, come da programma, altre fabbriche vi potessero contribuire. Partita
bene nel settembre 1944, diminuì subito a causa di un attacco aereo e nel
novembre era ancora bassa, per ritardi nelle consegne delle bocche da fuoco,
tornando ad essere più sostenuta nel dicembre 1944 e nel gennaio successivo.
Ormai le sorti della Panzerwaffe erano compromesse ed a dispetto delle migliori
intenzioni, ne erano stati sfornati solo 278, fin quasi alla fine del conflitto.
Sin dall’ultima parte del 1944, il fronte orientale ne assorbì diversi, in
contingenti assegnati a sette diverse Panzer Division e tre Panzer Regiment
semi-indipendenti. Seguirono poi altri 74 esemplari, divisi tra una decina di
brigate di cannoni d’assalto. Sul fronte occidentale ne appariranno di meno, in
due soli reparti corazzati tra l’ottobre ed il dicembre 1944, poi dalla fine del
gennaio 1945 altri 25 esemplari furono ripartiti fra otto brigate di cannoni
d’assalto. Mancano informazioni esaurienti sul suo impiego, ma senz’altro alcuni
ebbero modo di distinguersi, se non altro per il potente armamento. Di questo
Jagdpanzer ‘di circostanza’, fortunatamente un’esemplare è ancora conservato al
Musee des Blindes di Saumur.
Il
modello Dragon in 1/35
Lo Zwischenlosung, com’è ancora chiamato impropriamente il soggetto di quest’articolo,
è sempre stato un mito per i modellisti e si è sempre cercato di riprodurlo,
anche con l’aiuto di almeno sette conversioni diverse in resina, apparse negli
ultimi 15 anni. Tanto lavoro è andato parzialmente sprecato, nel 1994 la Dragon
ha messo in circolazione un kit in plastica con più di 230 pezzi, munito di
cingoli maglia per maglia e di una lastrina di fotoincisioni.
Più di recente, il kit è stato riproposto, appena migliorato ma almeno ad un
prezzo inferiore. Tornando al kit uscito per primo, si tratta ancora di uno
stampo relativo al primo periodo di questa casa cinese e purtroppo resterà non
agevole completarlo realisticamente. L’intero stampo è stato elaborato in modo
semplicistico, specie nella parte anteriore dello scafo e della sovrastruttura,
il che costringe, oltre che a migliorare genericamente i dettagli, anche ad
alcune radicali correzioni. Sospensioni e scafo sono discretamente riprodotti,
ma per la verità le ruote non sono riprodotte a livello delle analoghe parti
Tamiya per i suoi kits di Panzer IV . In pratica, il kit non è più proprio
all’altezza dei tempi, ma resta l’unico di quest’insolito soggetto, molto
interessante dal punto di vista storico/tecnico.
Realizzazione del modello
Per avere la sicurezza di un buon risultato senza penare troppo, abbiamo scelto
una sterzata radicale, usando un vecchio scafo di Stug IV Italeri – la
sovrastruttura andrà bene per un’altra conversione, sennò non ci sarebbe più
gusto, non è vero ? Dopo aver disposto i due kits che abbiamo sotto mano sul
tavolo di lavoro, con un po’ di concentrazione ed un buon calibro cominceremo a
misurare gli spessori dei pezzi, confrontandoli con la documentazione.
La prima cosa che noteremo è la necessità di dover portare la piastra anteriore
da 50 ad 80 mm., inserendo sulla parte posteriore una serie di piastre ricavate
da vecchi modelli e lastrine di plasticard (fig.1).Dopo un’accurata stuccatura
ed un passaggio con una fresa da dentista, non si vedrà nulla quando passeremo
alla verniciatura. Visto che possiamo ancora maneggiare lo scafo con facilità,
riproduciamo le varie saldature (fig.2), col sistema dei pezzi di sprue filato a
caldo, incollati e trattati col pirografo. Alla nuova piastra anteriore
incolleremo i supporti dei ganci di traino, dettagliabili con l’arresto della
fune di traino.
La piastra con i portelli dei freni è ancora molto valida, per renderla più
realistica basta lavorarla con il pirografo realizzando il segno delle saldature
anteriori – posteriori – laterali a coda di rondine (fig.3) .
I portelli (fig.4) hanno bisogno di pochi interventi, a parte il segno della
saldatura attorno alla presa d’aria e dei fori nei cardini, invece attorno al
portello centrale, quello della trasmissione, autocostruiremo, con pezzetti di
plasticare, gli attacchi per i cingoli di scorta (fig.5). Gli attacchi sono già
forniti nei fotoincisione nel kit, ma restano poco reali e molto difficili da
applicare bene, essendo in acciaio e quindi non troppo modellabili.
Continuando con lo scafo, usiamo pure i pezzi del kit per le coperture dei
gruppi finali di trasmissione, inserendo però un perno in plastica adatto alle
ruote motrici Dragon. Sulle pareti dello scafo stuccheremo le aperture per i
ruotini laterali, dovendoli riposizionare; verranno utili gli attacchi Dragon,
consigliamo di aiutarsi con dei buoni disegni per la loro nuova collocazione,
dimenticando lo scafo Dragon che in questo caso è errato. Speriamo che la
schematizzazione (fig.6) sia d’aiuto, comunque si dovrebbe aggirare sui 37 mm.
la distanza fra il primo ed il secondo e 38 mm. fra il secondo ed il terzo,
salvo sviste. I ruotini sono quelli con protuberanza Dragon, mentre le coperture
dei tappi dei serbatoi carburante (fig.7) hanno cardini semplificati.
Dagli attacchi delle sospensioni vanno tolti i due bulloni centrali della fila
superiore, che non erano applicati già in fabbrica (fig.8). Le ruote metalliche
potevano avere le coperture dei mozzi del vecchio tipo – versione F/G per
intenderci -, adoperate accanto a quelle standard della versione H.
Naturalmente, in questo caso bisogna recuperare vecchie coperture, ricavandole
da ruote in disuso ed applicandole ai mozzi. La parte posteriore del kit Italeri
va tagliata preventivamente all’altezza dei parafanghi, inseriremo anche i
supporti per le ruote posteriori, usando quelli del kit, stuccati bene.
Proviamo ora a secco il posizionamento della sovrastruttura Dragon sullo scafo
Italeri, con pazienza e qualche passata di limetta qua e là le parti
combaceranno bene, avendo però l’accortezza di tagliare il cofano motore, che
riposizioneremo in seguito, in una fase della costruzione più avanzata. La
sovrastruttura lascia veramente perplessi, sembra quasi che lo stampista abbia
lavorato all’oscuro di una qualsiasi moderna documentazione. Il risultato,
montandola senza nessuna modifica, non convince forse neanche il modellista alle
prime armi. La parte peggio realizzata è quella che riguarda la piastra
anteriore dritta e la sua unione col resto, il rimedio è comunque alla portata
di tutti. Per la piastra corretta abbiamo lavorato il pezzo Dragon A11,
allargandolo con delle parti laterali, mentre lo stucco si asciugava abbiamo
tagliato le pareti Dragon incorporate nella sovrastruttura. La nuova piastra
(fig.9), una volta incollata, sarà più realistica e sarà sufficiente realizzare
con il pirografo l’incastro laterale, dopo di ché non resta che ripassare le altre
saldature perché sono appena accennate ed aggiungere quella anteriore tra la
piastra dritta e quella inclinata.
Il cielo del carro non può ovviamente fare corpo unico con le pareti della
sovrastruttura, in realtà era appoggiato e saldato dall’interno. Ne correggeremo
l’aspetto con un incisore da dentista ed un righello metallico, quest’ultimo
fissato temporaneamente alla sovrastruttura con un pezzo di nastro biadesivo.
Dopo aver inciso i tre lati del cielo, ci siamo accorti che bisogna anche
ridurre lo spessore visibile della piastra inclinata anteriore, allungando il
cielo per mezzo di un listello di plasticard, stuccato poi con molta precisione
(fig.10). Controllato l’aspetto finale, una volta eseguite le modifiche
descritte, incolleremo la piastra posteriore, stuccando le giunzioni e rifacendo
le saldature degli incastri.
Il visore del pilota, anch’esso poco convincente, si può sostituire con quello
di un Panzer IV Italeri, forando la piastra prima dell’incollaggio, fino a
poterlo inserire agevolmente; il pezzo diverrà perfetto col blindovetro fatto
con un listello d’acetato trasparente e con la saldatura inferiore, fatta sempre
con il pirografo ma con molta più attenzione, dato che lo spazio in cui lo
adopereremo è ridotto. I particolari del cielo sono dettagliabili con poco
lavoro, partendo dalle rotaie di scorrimento della protezione del cannocchiale,
le varie sezioni di protezione (fig.11) vanno incise un po’ di più e siccome
erano rivettate occorre praticare i loro fori, due per sezione, con una fresetta
da trapanino adoperata a mano. Fissata la piastra, aggiungeremo i fermi e le
piccole lastre antischegge a protezione dell’apertura per il cannocchiale (fig.12).
Quest’ultimo è stato modificato con un nuovo prolungamento antiriflesso e con la
relativa ghiera. Le protezioni degli iposcopi vanno scartavetrate ed alla loro
base, dopo il fissaggio, vanno aggiunte le saldature (fig.13), mentre gli
attacchi per la gru da 2 t. sono da rifare un po’ più grandi, con tondini di
plastica. Lavoreremo ora attorno al portello del capocarro, cominciando con
l’inserire un listello sotto alla sua prima parte (fig.14) in modo che appoggi
bene, senza infossarsi. Il portello (fig.15) andrà dettagliato coi quattro
bulloncini sulla cerniera, con il foro laterale della stessa ed aggiungendo
attorno i rivetti. Anche attorno al vero e proprio portello (fig.16) vanno
aggiunti i rivetti, e sul lato sinistro un chiusino. I ganci di sollevamento
(fig.17) vanno corredati col segno delle loro saldature, la postazione per la
difesa vicina è accettabile ed anche il portello del caricatore è già a posto, a
parte riprodurre il foro per la chiave d’apertura a brugola.
Chi volesse lasciare il portello del capocarro aperto, per mostrare almeno parte
dell’equipaggio, avrà il suo bel daffare, perché la faccia interna era
abbastanza complicata, riprodurla pertanto in scala è impossibile se si vuole
una attendibilità del 100 %, per via delle scarse notizie sull’imbottitura, qui
dovete proprio scegliere voi !
Ora si può lavorare alla scudatura principale dell’armamento (fig.18), il cui
‘zoccolo’ è troppo fino : uno spessore adatto di plasticard, sagomato attorno
alla parte inferiore e lavorato col trapanino lo farà diventare un tutto più
omogeneo. L’innesto della canna, a nostro parere, è macchinoso ed oltretutto si
noterebbe fin troppo, a modello finito; basta comunque ingrandire il foro
rendendolo circolare e chiudere la parte superiore con una zeppa ben stuccata.
Avremo ricavato a questo punto una buona entratura per una canna in metallo
bianco, noi abbiamo usato quella Jordi Rubio ma niente paura se non la trovate,
sul mercato ce ne sono almeno un’altra mezza dozzina di marche; la canna va
accolta anche con un inserto circolare, da applicarsi internamente alla saukopf.
La scudatura esterna va dettagliata ingrandendo i fori per i bulloni di
fissaggio ed aggiungendo l’aggancio per il reggicannone.
Riproviamo ora a secco la sovrastruttura sopra lo scafo per l’unione definitiva,
con un po’ di pazienza e limando il pezzo B32 – la zona convogliatori – si vedrà
combaciare tutto abbastanza bene, basta solo aggiungere una sottile losanga, da
stuccarsi con cura.
La fase seguente è il montaggio dei parafanghi Italeri, dopo qualche prova ed
un’aggiustatina con le limette si adatteranno perfettamente. Su quelli anteriori
(fig.19) ci dedicheremo ai classici interventi di routine, come le incisioni tra
i vari elementi, l’aggiunta del piccolo listello inferiore, della fila di
rivetti e del listello d’irrobustimento. Come in altri casi, quando diversi
lavoretti si concentrano in piccoli spazi, delle foto chiare dell’area
serviranno più di cento descrizioni o disegni. Sul parafango di destra va tolto
l’attacco del faro e stuccata l’area, su quello di sinistra ho usato un faro
Bosch Italeri, dettagliandone l’attacco ed aggiungendo la guaina del filo
elettrico, rifatta col solito utilissimo filo di rame.
Incolliamo ora fianchi e cielo del cofano motore alla sovrastruttura ed ai
parafanghi, stuccando se ce ne fosse bisogno.
La giunzione tra la parte posteriore della casamatta ed il cofano motore (fig.20)
aveva due elementi tipici, il grande listello che, non potendo più combaciare
così com’è deve essere autocostruito, perlomeno nella sua parte verticale, con
del plasticard, mentre in orizzontale vanno aggiunti i bulloni. Ai lati vanno
riprodotte le saldature e più in basso c’erano due listelli di congiunzione coi
parafanghi. Termineremo la faccia posteriore della casamatta (fig.21) con i fori
sulla protezione triangolare della seconda installazione radio predisposta e con
gli attacchi degli attrezzi rifatti in plasticard, dopo aver tolto le chiavi già
stampate. I supporti per i due elementi d’antenna di scorta sono già realistici,
basta fresarli attorno e forarli.
Il cielo del cofano motore (fig.22) è semplice da rifinire, bastano i segni
delle saldature alle griglie, quella della copertura per il rabbocco d’acqua dei
radiatori, foreremo le cerniere dei portelli riproducendo le aperture per i
perni e sostituiremo la maniglie sul portello a destra con una Italeri.
Il caricamento attrezzi era abbastanza cospicuo, ma non essendo possibile
trovare molte fotografie operative lo abbiamo ridotto al minimo, partendo dai
rulli di ricambio ‘ingabbiati’ in nuovi elementi cilindrici ricavati da tondini
Evergreen; la pinza tagliafili è stata aggiunta per ultima, coi suoi attacchi.
Per le chiavi di serraggio dei cingoli sono stati installati i soli supporti,
realizzati in plasticard e rame, così pure per il fermo dei due ganci ad U di
traino. Sul fianco destro basta aggiungere una pala, tratta dalla banca dei
pezzi, oppure i suoi attacchi che sono ben visibili.
Dal cofano motore ‘scendevano’ tre attacchi presenti sugli scafi Ausf. H/J (23),
che sono riproducibili con del plasticard, confrontandoli con dei disegni
precisi alla mano.
Il listello che congiungeva le due parti della piastra posteriore (fig.24) va
rifatto nella sua parte orizzontale e su di essa sono presenti otto bulloni. I
ganci per la fune di traino (fig.25) non sono riprodotti bene dai pezzi F3,
bisognerà rifarseli ed aggiungendovi i bulloni. Il supporto dell’antenna a
sinistra (fig.26) è autocostruito con un blocchetto di plastica, con la parte in
gomma reperita dalla banca dei pezzi, lateralmente completeremo riproducendo il
segno della saldatura.
La piastra posteriore dello scafo non dà particolari problemi, si comincia con
il riprodurre le saldature fra gli elementi e con il cercare di raccordare bene
le parti del gancio di traino e del gruppo finale della ruota di rinvio.
Lo scarico dell’acqua (fig.27) va preso dal kit Dragon per sostituire l’analoga
parte Italeri e sul gruppo centrale del gancio di traino va praticato il foro di
passaggio del perno di fissaggio, sulla zona tratteggiata (fig.28). Sul
portellino della messa in moto (fig.29) va sostituito il tappo ed i ganci di
traino (fig.30), esternamente, vanno completati col segno della saldatura. La
mensola per il blocco del cricco (fig.31) può essere ricostruita in plasticard
fino, per il blocco dello stesso è meglio sostituire il pezzo B25, molto poco
realistico, con un blocchetto di plastica, stuccato e lavorato con una fresetta
per dargli l’effetto legno, incolleremo poi sui bordi i listelli metallici,
rifatti in plasticard. Gli scarichi (fig.32), scartata la possibilità di farli
ex-novo, possono essere migliorati diminuendo lo spessore dei tubi con una
fresetta, aggiungendo poi la staffa imbullonata e, se possibile, le tre lamine
di raffreddamento interne. Il loro supporto (fig.33) poteva avere l’apertura
inferiore anche circolare, ed era sempre sorretto da staffe.
La cingolatura maglia per maglia del kit è realizzata anche troppo finemente, ed
in pratica usando una colla più potente della media tende a sciogliersi, inoltre
presenta diversi segni di stampo da togliere e non è corretta, tutto sommato si
rivelano ancora utili i cingoli Italeri, si adattano bene al treno di
rotolamento e con il buon vecchio trucco degli spilli inseriti a caldo possono
essere piegati realisticamente.
Fissati i parafanghi posteriori si passa al reggicannone (fig.34) che si può
riprodurre abbastanza bene aggiungendo i bulloni sugli attacchi (A), separando
le parti lunghe dalla barra (B), accorciando le parti tubolari sino a farle
combaciare – piegate o messe in opera -, aggiungendo il segno delle saldature
della piastra d’irrobustimento (C) e forando lateralmente i sostegni della canna
(D).
La copertura della postazione per mitragliatrice (fig.35) va incollata in quest’ultima
fase, non tralasciando i fermi di fine corsa. Stessa cosa, più o meno, per i
listelli di trattenimento dei parafanghi (fig.36), sui lati della casamatta. I
ganci di sollevamento (fig.37) vanno rimpiccioliti e poi si possono contornare
con il segno della saldatura, sarà poi la volta dei gancetti per il materiale
mimetico e per il telone, fatti in filo di rame e posizionati in numero di
quattro sulla parte anteriore e sui lati e cinque posteriormente.
Lo scovolo (fig.38) non è riproducibile con il pezzo B23, se non componendo le
varie sezioni oppure autocostruendole; la testa era chiusa in una sua custodia e
l’attacco era semi-permanente, per realizzarlo basta usare della carta tagliata
a striscioline; il gruppo scovolo. Infine, era appeso sul lato destro della
sovrastruttura.
La parte più impegnativa viene proprio adesso, che con il modello più o meno
pronto siamo tentati di concludere velocemente le nostre fatiche.
Il mezzo è accattivante proprio per le schurzen realizzate in rete metallica,
che danno un tocco più aggressivo alla sua semplice sagoma scatolata. La
sorpresa è che, da un primo controllo, i pezzi fotoincisi forniti nel kit
risultano validi per un Panzer IV Ausf. J, ma non è possibile utilizzarli a
causa della diversa forma ed altezza sul nostro modello. Pertanto, non resta che
cercare di salvare capra e cavoli senza lavorare troppo o perdere più tempo alla
ricerca di eventuali kits di fotoincisione.
Si comincia con le basi per i sostegni sulle pareti della casamatta (fig.39), da
sostituirsi con blocchetti di plasticard attorno ai quali va fatto il segno
della saldatura. I poco realistici supporti F14 vanno sostituiti con nuovi
supporti (fig.40), ottenuti usando le parti fotoincise MC I e striscette di
plasticard, con i bulloni aggiunti. Anteriormente, i pezzi MB 8 si possono
rimpiazzare con del plasticard. Dopo aver riprodotto ex-novo i sostegni, al
posto di MA 1-2-3-4, lasciamo asciugare il tutto. La rotaia, non usando i pezzi
F26, troppo massicci, va privata delle parti già stampate (fig.41), da rifare,
altrimenti si vedrebbe troppo la differenza di spessore tra pezzi di plastica e
plasticard più fino. Anche rinunciando alle reti metalliche ed ai loro supporti,
avremo comunque un mezzo realistico, che plausibilmente può essere in attesa di
quelle nuove, dopo averle perse o danneggiate come spesso succedeva.
Eccoci ora alle prese con l’aeropenna ed il conseguente dubbio su quale
mimetica applicare: le possibilità non sono poi molte, ma forse non è un male, è
un modello che si dovrebbe notare per la sua originalità, non per gli arditi
accostamenti di colore. La scarsa documentazione fotografica mostra l’uso, oltre
alla classica mimetizzazione post 1943 a tre colori, anche di una delle varianti
dell’altrettanto classica "da imboscata". Volendo avere intanto una colorazione
verosimile, in attesa di più materiale documentale – gli schemi proposti nelle
istruzioni sono abbastanza plausibili ma non provati – abbiamo scelto delle
semplici bande mimetiche in verde sulla tinta di base.
I contrassegni, del periodo nel quale l’applicazione delle regole era meno
importante, erano ridotti in genere alle sole insegne di nazionalità.
Per il colore di fondo giallo sabbia è stato usato l’Humbrol HP 1 abbastanza
diluito, che resta comunque una bella partenza per la mimetica, ovviamente
aspettando più tempo perché lo strato di smalto faccia presa. Con il verde
acrilico H60 si sono applicate le bande, che nei punti dove sono venute un po’
larghe è agevole ritoccare con un po’ della tinta di fondo. Il tutto poi è stato
sporcato con colori ad olio e con un invecchiamento appena percettibile, visto
che si tratta di un mezzo quasi nuovo di fabbrica. E’ un classico errore di
molti modellisti, quasi quotidiano, ‘copiare’ l’invecchiamento ed applicarne
troppo, specie quando il mezzo in questione non ne ha proprio bisogno.
Per la realizzazione del terreno, rimandiamo a quanto presente nella rubrica
“AMBIENTAZIONI” non avendo usato nessuna tecnica che si discosti troppo.
Il muretto è un pezzo in gesso, realizzato diversi anni fa a cura del G.P.F. di
Firenze, modificato realizzando, ad arte, alcune brecce con un piccolo
scalpello. Dipinto con un fondo nero e lumeggiato poi con colori alla caseina,
farà ancora la sua figura. Non dimentichiamoci di raccogliere un po’ del gesso
asportato e di incollarlo, con sabbia e vinavil, sul terreno accanto alle
brecce, le renderemo più realistiche. Sul figurino e sulle uniformi usate nei
reparti semoventi tedeschi nel periodo 1940-1945 torneremo, in un prossimo
articolo. Intanto, buon lavoro !
BIBLIOGRAFIA :
-
Bellona Military vehicle Prints Series 32 (MAP Ltd)
-
Ground Power 12/94 e 8/98 – Delta Publishing
-
Leichte Jagdpanzer – Motorbuch Verlag
-
Panzers in Saumur No 1 – Art Box
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