Panzer IV/70 A

 

di  Andrea e Antonio TALLILLO

 

    Uno degli ultimi corazzati messi in campo dal Terzo Reich prima del suo crollo nacque dalla ferma intenzione di realizzare ancora più mezzi armati con il micidiale cannone da 75/70, capace di fermare a distanza tutti i carri alleati, o quasi, del periodo. Alla fine del giugno 1944, il Panzer IV era considerato non più usabile a lungo contro i nuovi carri sovietici, il mese dopo Hitler in persona chiese addirittura che l’intera sua produzione venisse convertita in quella di JagdPanzer, creando al più presto un progetto capace di ospitare nello scafo il Pak 42. A breve scadenza ciò non era possibile e si dovette trovare una soluzione temporanea, che avrebbe permesso alle fabbriche Alkett e Miag di realizzare un mezzo di questo genere. La critica situazione richiese un intervento radicale, con un prototipo che montava una sovrastruttura di JagdPanzer IV/70 direttamente sullo scafo di Panzer IV Ausf. H. Anche nella denominazione Panzer IV/70 era rispecchiato l’intendimento di sostituire il carro di serie con questo nuovo mezzo, ibrido sì, ma bene armato e protetto.

    Il mezzo definitivo ebbe sovrastruttura più alta e meno sfuggente, unita al cielo ed alla parte anteriore, di quella già in uso per lo JagdPanzer IV, con modifiche ridotte al minimo, la più evidente era la piastra verticale di raccordo anteriore, nella quale era ricavata la feritoia del pilota.

    Tra i dettagli minori salienti c’erano il reggicannone modificato ed il cambio di forma della copertura blindata della postazione per la mitragliatrice di bordo. Lo scafo usato era quello tratto dalla regolare produzione del Panzer IV Ausf. J, a parte forse la ridotta pre-serie su scafi ‘riciclati’ di Ausf. H. Inizialmente, gli scafi avevano quattro rulli di rinvio per lato e ruote posteriori a raggi cavi, poi furono adottate altre varie tipicità della versione J, come l’eliminazione di un rullo reggicingolo e lo spostamento dei restanti tre, nuove ruote di rinvio con parte centrale fusa, scarichi semplificati, irrobustimento del dispositivo di traino posteriore, e così via. Con il peso aumentato di 2 t. rispetto allo JagdPanzer IV standard, il treno di rotolamento veniva sempre completato con ruote interamente metalliche per le prime due coppie di rulli, per evitarne la rapida usura.

    Alcune caratteristiche del caricamento attrezzi erano cambiate, ma l’attacco dell’antenna posteriore, ancora presente, non si usava. Le schurzen a piastre erano state sostituite dal tipo – più economico – costituito da elementi in rete metallica, sostenuti da un semplice tubo.

    La produzione di questo nuovo corazzato fu affidata alla Ni-Werke in Austria, in attesa che, come da programma, altre fabbriche vi potessero contribuire. Partita bene nel settembre 1944, diminuì subito a causa di un attacco aereo e nel novembre era ancora bassa, per ritardi nelle consegne delle bocche da fuoco, tornando ad essere più sostenuta nel dicembre 1944 e nel gennaio successivo. Ormai le sorti della Panzerwaffe erano compromesse ed a dispetto delle migliori intenzioni, ne erano stati sfornati solo 278, fin quasi alla fine del conflitto.

    Sin dall’ultima parte del 1944, il fronte orientale ne assorbì diversi, in contingenti assegnati a sette diverse Panzer Division e tre Panzer Regiment semi-indipendenti. Seguirono poi altri 74 esemplari, divisi tra una decina di brigate di cannoni d’assalto. Sul fronte occidentale ne appariranno di meno, in due soli reparti corazzati tra l’ottobre ed il dicembre 1944, poi dalla fine del gennaio 1945 altri 25 esemplari furono ripartiti fra otto brigate di cannoni d’assalto. Mancano informazioni esaurienti sul suo impiego, ma senz’altro alcuni ebbero modo di distinguersi, se non altro per il potente armamento. Di questo Jagdpanzer ‘di circostanza’, fortunatamente un’esemplare è ancora conservato al Musee des Blindes di Saumur.

 

 Il modello Dragon in 1/35

    Lo Zwischenlosung, com’è ancora chiamato impropriamente il soggetto di quest’articolo, è sempre stato un mito per i modellisti e si è sempre cercato di riprodurlo, anche con l’aiuto di almeno sette conversioni diverse in resina, apparse negli ultimi 15 anni. Tanto lavoro è andato parzialmente sprecato, nel 1994 la Dragon ha messo in circolazione un kit in plastica con più di 230 pezzi, munito di cingoli maglia per maglia e di una lastrina di fotoincisioni.

    Più di recente, il kit è stato riproposto, appena migliorato ma almeno ad un prezzo inferiore. Tornando al kit uscito per primo, si tratta ancora di uno stampo relativo al primo periodo di questa casa cinese e purtroppo resterà non agevole completarlo realisticamente. L’intero stampo è stato elaborato in modo semplicistico, specie nella parte anteriore dello scafo e della sovrastruttura, il che costringe, oltre che a migliorare genericamente i dettagli, anche ad alcune radicali correzioni. Sospensioni e scafo sono discretamente riprodotti, ma per la verità le ruote non sono riprodotte a livello delle analoghe parti Tamiya per i suoi kits di Panzer IV . In pratica, il kit non è più proprio all’altezza dei tempi, ma resta l’unico di quest’insolito soggetto, molto interessante dal punto di vista storico/tecnico.

  

Realizzazione del modello

    Per avere la sicurezza di un buon risultato senza penare troppo, abbiamo scelto una sterzata radicale, usando un vecchio scafo di Stug IV Italeri – la sovrastruttura andrà bene per un’altra conversione, sennò non ci sarebbe più gusto, non è vero ? Dopo aver disposto i due kits che abbiamo sotto mano sul tavolo di lavoro, con un po’ di concentrazione ed un buon calibro cominceremo a misurare gli spessori dei pezzi, confrontandoli con la documentazione.

    La prima cosa che noteremo è la necessità di dover portare la piastra anteriore da 50 ad 80 mm., inserendo sulla parte posteriore una serie di piastre ricavate da vecchi modelli e lastrine di plasticard (fig.1).Dopo un’accurata stuccatura ed un passaggio con una fresa da dentista, non si vedrà nulla quando passeremo alla verniciatura. Visto che possiamo ancora maneggiare lo scafo con facilità, riproduciamo le varie saldature (fig.2), col sistema dei pezzi di sprue filato a caldo, incollati e trattati col pirografo. Alla nuova piastra anteriore incolleremo i supporti dei ganci di traino, dettagliabili con l’arresto della fune di traino.

    La piastra con i portelli dei freni è ancora molto valida, per renderla più realistica basta lavorarla con il pirografo realizzando il segno delle saldature anteriori – posteriori – laterali a coda di rondine (fig.3) .

    I portelli (fig.4) hanno bisogno di pochi interventi, a parte il segno della saldatura attorno alla presa d’aria e dei fori nei cardini, invece attorno al portello centrale, quello della trasmissione, autocostruiremo, con pezzetti di plasticare, gli attacchi per i cingoli di scorta (fig.5). Gli attacchi sono già forniti nei fotoincisione nel kit, ma restano poco reali e molto difficili da applicare bene, essendo in acciaio e quindi non troppo modellabili.

    Continuando con lo scafo, usiamo pure i pezzi del kit per le coperture dei gruppi finali di trasmissione, inserendo però un perno in plastica adatto alle ruote motrici Dragon. Sulle pareti dello scafo stuccheremo le aperture per i ruotini laterali, dovendoli riposizionare; verranno utili gli attacchi Dragon, consigliamo di aiutarsi con dei buoni disegni per la loro nuova collocazione, dimenticando lo scafo Dragon che in questo caso è errato. Speriamo che la schematizzazione (fig.6) sia d’aiuto, comunque  si dovrebbe aggirare sui 37 mm. la distanza fra il primo ed il secondo e 38 mm. fra il secondo ed il terzo, salvo sviste. I ruotini sono quelli con protuberanza Dragon, mentre le coperture dei tappi dei serbatoi carburante (fig.7) hanno cardini semplificati.

    Dagli attacchi delle sospensioni vanno tolti i due bulloni centrali della fila superiore, che non erano applicati già in fabbrica (fig.8). Le ruote metalliche potevano avere le coperture dei mozzi del vecchio tipo – versione F/G per intenderci -, adoperate accanto a quelle standard della versione H. Naturalmente, in questo caso bisogna recuperare vecchie coperture, ricavandole da ruote in disuso ed applicandole ai mozzi. La parte posteriore del kit Italeri va tagliata preventivamente all’altezza dei parafanghi, inseriremo anche i supporti per le ruote posteriori, usando quelli del kit, stuccati bene.

    Proviamo ora a secco il posizionamento della sovrastruttura Dragon sullo scafo Italeri, con pazienza e qualche passata di limetta qua e là le parti combaceranno bene, avendo però l’accortezza di tagliare il cofano motore, che riposizioneremo in seguito, in una fase della costruzione più avanzata. La sovrastruttura lascia veramente perplessi, sembra quasi che lo stampista abbia lavorato all’oscuro di una qualsiasi moderna documentazione. Il risultato, montandola senza nessuna modifica, non convince forse neanche il modellista alle prime armi. La parte peggio realizzata è quella che riguarda la piastra anteriore dritta e la sua unione col resto, il rimedio è comunque alla portata di tutti. Per la piastra corretta abbiamo lavorato il pezzo Dragon A11, allargandolo con delle parti laterali, mentre lo stucco si asciugava abbiamo tagliato le pareti Dragon incorporate nella sovrastruttura. La nuova piastra (fig.9), una volta incollata, sarà più realistica e sarà sufficiente realizzare con il pirografo l’incastro laterale, dopo di ché non resta che ripassare le altre saldature perché sono appena accennate ed aggiungere quella anteriore tra la piastra dritta e quella inclinata.

    Il cielo del carro non può ovviamente fare corpo unico con le pareti della sovrastruttura, in realtà era appoggiato e saldato dall’interno. Ne correggeremo l’aspetto con un incisore da dentista ed un righello metallico, quest’ultimo fissato temporaneamente alla sovrastruttura con un pezzo di nastro biadesivo. Dopo aver inciso i tre lati del cielo, ci siamo accorti che bisogna anche ridurre lo spessore visibile della piastra inclinata anteriore, allungando il cielo per mezzo di un listello di plasticard, stuccato poi con molta precisione (fig.10). Controllato l’aspetto finale, una volta eseguite le modifiche descritte, incolleremo la piastra posteriore, stuccando le giunzioni e rifacendo le saldature degli incastri.

    Il visore del pilota, anch’esso poco convincente, si può sostituire con quello di un Panzer IV Italeri, forando la piastra prima dell’incollaggio, fino a poterlo inserire agevolmente; il pezzo diverrà perfetto col blindovetro fatto con un listello d’acetato trasparente e con la saldatura inferiore, fatta sempre con il pirografo ma con molta più attenzione, dato che lo spazio in cui lo adopereremo è ridotto. I particolari del cielo sono dettagliabili con poco lavoro, partendo dalle rotaie di scorrimento della protezione del cannocchiale, le varie sezioni di protezione (fig.11) vanno incise un po’ di più e siccome erano rivettate occorre praticare i loro fori, due per sezione, con una fresetta da trapanino adoperata a mano. Fissata la piastra, aggiungeremo i fermi e le piccole lastre antischegge a protezione dell’apertura per il cannocchiale (fig.12). Quest’ultimo è stato modificato con un nuovo prolungamento antiriflesso e con la relativa ghiera. Le protezioni degli iposcopi vanno scartavetrate ed alla loro base, dopo il fissaggio, vanno aggiunte le saldature (fig.13), mentre gli attacchi per la gru da 2 t. sono da rifare un po’ più grandi, con tondini di plastica. Lavoreremo ora attorno al portello del capocarro, cominciando con l’inserire un listello sotto alla sua prima parte (fig.14) in modo che appoggi bene, senza infossarsi. Il portello (fig.15) andrà dettagliato coi quattro bulloncini sulla cerniera, con il foro laterale della stessa ed aggiungendo attorno i rivetti. Anche attorno al vero e proprio portello (fig.16) vanno aggiunti i rivetti, e sul lato sinistro un chiusino. I ganci di sollevamento (fig.17) vanno corredati col segno delle loro saldature, la postazione per la difesa vicina è accettabile ed anche il portello del caricatore è già a posto, a parte riprodurre il foro per la chiave d’apertura a brugola.

    Chi volesse lasciare il portello del capocarro aperto, per mostrare almeno parte dell’equipaggio, avrà il suo bel daffare, perché la faccia interna era abbastanza complicata, riprodurla pertanto in scala è impossibile se si vuole una attendibilità del 100 %, per via delle scarse notizie sull’imbottitura, qui dovete proprio scegliere voi !

    Ora si può lavorare alla scudatura principale dell’armamento (fig.18), il cui ‘zoccolo’ è troppo fino : uno spessore adatto di plasticard, sagomato attorno alla parte inferiore e lavorato col trapanino lo farà diventare un tutto più omogeneo. L’innesto della canna, a nostro parere, è macchinoso ed oltretutto si noterebbe fin troppo, a modello finito; basta comunque ingrandire il foro rendendolo circolare e chiudere la parte superiore con una zeppa ben stuccata. Avremo ricavato a questo punto una buona entratura per una canna in metallo bianco, noi abbiamo usato quella Jordi Rubio ma niente paura se non la trovate, sul mercato ce ne sono almeno un’altra mezza dozzina di marche; la canna va accolta anche con un inserto circolare, da applicarsi internamente alla saukopf. La scudatura esterna va dettagliata ingrandendo i fori per i bulloni di fissaggio ed aggiungendo l’aggancio per il reggicannone.

    Riproviamo ora a secco la sovrastruttura sopra lo scafo per l’unione definitiva, con un po’ di pazienza e limando il pezzo B32 – la zona convogliatori – si vedrà combaciare tutto abbastanza bene, basta solo aggiungere una sottile losanga, da stuccarsi con cura.

    La fase seguente è il montaggio dei parafanghi Italeri, dopo qualche prova ed un’aggiustatina con le limette si adatteranno perfettamente. Su quelli anteriori (fig.19) ci dedicheremo ai classici interventi di routine, come le incisioni tra i vari elementi, l’aggiunta del piccolo listello inferiore, della fila di rivetti  e del listello d’irrobustimento. Come in altri casi, quando diversi lavoretti si concentrano in piccoli spazi, delle foto chiare dell’area serviranno più di cento descrizioni o disegni. Sul parafango di destra va tolto l’attacco del faro e stuccata l’area, su quello di sinistra ho usato un faro Bosch Italeri, dettagliandone l’attacco ed aggiungendo la guaina del filo elettrico, rifatta col solito utilissimo filo di rame.

    Incolliamo ora fianchi e cielo del cofano motore alla sovrastruttura ed ai parafanghi, stuccando se ce ne fosse bisogno.

    La giunzione tra la parte posteriore della casamatta ed il cofano motore (fig.20) aveva due elementi tipici, il grande listello che, non potendo più combaciare così com’è deve essere autocostruito, perlomeno nella sua parte verticale, con del plasticard, mentre in orizzontale vanno aggiunti i bulloni. Ai lati vanno riprodotte le saldature e più in basso c’erano due listelli di congiunzione coi parafanghi. Termineremo la faccia posteriore della casamatta (fig.21) con i fori sulla protezione triangolare della seconda installazione radio predisposta e con gli attacchi degli attrezzi rifatti in plasticard, dopo aver tolto le chiavi già stampate. I supporti per i due elementi d’antenna di scorta sono già realistici, basta fresarli attorno e forarli.

    Il cielo del cofano motore (fig.22) è semplice da rifinire, bastano i segni delle saldature alle griglie, quella della copertura per il rabbocco d’acqua dei radiatori, foreremo le cerniere dei portelli riproducendo le aperture per i perni e sostituiremo la maniglie sul portello a destra con una Italeri.

    Il caricamento attrezzi era abbastanza cospicuo, ma non essendo possibile trovare molte fotografie operative lo abbiamo ridotto al minimo, partendo dai rulli di ricambio ‘ingabbiati’ in nuovi elementi cilindrici ricavati da tondini Evergreen; la pinza tagliafili è stata aggiunta per ultima, coi suoi attacchi. Per le chiavi di serraggio dei cingoli sono stati installati i soli supporti, realizzati in plasticard e rame, così pure per il fermo dei due ganci ad U di traino. Sul fianco destro basta aggiungere una pala, tratta dalla banca dei pezzi, oppure i suoi attacchi che sono ben visibili.

    Dal cofano motore ‘scendevano’ tre attacchi presenti sugli scafi Ausf. H/J (23), che sono riproducibili con del plasticard, confrontandoli con dei disegni precisi alla mano.

    Il listello che congiungeva le due parti della piastra posteriore (fig.24) va rifatto nella sua parte orizzontale e su di essa sono presenti otto bulloni. I ganci per la fune di traino (fig.25) non sono riprodotti bene dai pezzi F3, bisognerà rifarseli ed aggiungendovi i bulloni. Il supporto dell’antenna a sinistra (fig.26) è autocostruito con un blocchetto di plastica, con la parte in gomma reperita dalla banca dei pezzi, lateralmente completeremo riproducendo il segno della saldatura.

    La piastra posteriore dello scafo non dà particolari problemi, si comincia con il riprodurre le saldature fra gli elementi e con il cercare di raccordare bene le parti del gancio di traino e del gruppo finale della ruota di rinvio.

    Lo scarico dell’acqua (fig.27) va preso dal kit Dragon per sostituire l’analoga parte Italeri e sul gruppo centrale del gancio di traino va praticato il foro di passaggio del perno di fissaggio, sulla zona  tratteggiata  (fig.28). Sul portellino della messa in moto (fig.29) va sostituito il tappo ed i ganci di traino (fig.30), esternamente, vanno completati col segno della saldatura. La mensola per il blocco del cricco (fig.31) può essere ricostruita in plasticard fino, per il blocco dello stesso è meglio sostituire il pezzo B25, molto poco realistico, con un blocchetto di plastica, stuccato e lavorato con una fresetta per dargli l’effetto legno, incolleremo poi sui bordi i listelli metallici, rifatti in plasticard. Gli scarichi (fig.32), scartata la possibilità di farli ex-novo, possono essere migliorati diminuendo lo spessore dei tubi con una fresetta, aggiungendo poi la staffa imbullonata e, se possibile, le tre lamine di raffreddamento interne. Il loro supporto (fig.33) poteva avere l’apertura     inferiore anche circolare, ed era sempre sorretto da staffe.

    La cingolatura maglia per maglia del kit è realizzata anche troppo finemente, ed in pratica usando una colla più potente della media tende a sciogliersi, inoltre presenta diversi segni di stampo da togliere e non è corretta, tutto sommato si rivelano ancora utili i cingoli Italeri, si adattano bene al treno di rotolamento e con il buon vecchio trucco degli spilli inseriti a caldo possono essere piegati realisticamente.

    Fissati i parafanghi posteriori si passa al reggicannone (fig.34) che si può riprodurre abbastanza bene aggiungendo i bulloni sugli attacchi (A), separando le parti lunghe dalla barra (B), accorciando le parti tubolari sino a farle combaciare – piegate o messe in opera -, aggiungendo il segno delle saldature della piastra d’irrobustimento (C) e forando lateralmente i sostegni della canna (D).

    La copertura della postazione per mitragliatrice (fig.35) va incollata in quest’ultima fase, non tralasciando i fermi di fine corsa. Stessa cosa, più o meno, per i listelli di trattenimento dei parafanghi (fig.36), sui lati della casamatta. I ganci di sollevamento (fig.37) vanno rimpiccioliti e poi si possono contornare con il segno della saldatura, sarà poi la volta dei gancetti per il materiale mimetico e per il telone, fatti in filo di rame e posizionati in numero di quattro sulla parte anteriore e sui lati e cinque posteriormente.

    Lo scovolo (fig.38) non è riproducibile con il pezzo B23, se non componendo le varie sezioni oppure autocostruendole; la testa era chiusa in una sua custodia e l’attacco era semi-permanente, per realizzarlo basta usare della carta tagliata a striscioline; il gruppo scovolo. Infine, era appeso sul lato destro della sovrastruttura.

    La parte più impegnativa viene proprio adesso, che con il modello più o meno pronto siamo tentati di concludere velocemente le nostre fatiche.

    Il mezzo è accattivante proprio per le schurzen realizzate in rete metallica, che danno un tocco più aggressivo alla sua semplice sagoma scatolata. La sorpresa è che, da un primo controllo, i pezzi fotoincisi forniti nel kit risultano validi per un Panzer IV Ausf. J, ma non è possibile utilizzarli a causa della diversa forma ed altezza sul nostro modello. Pertanto, non resta che cercare di salvare capra e cavoli senza lavorare troppo o perdere più tempo alla ricerca di eventuali kits di fotoincisione.

    Si comincia con le basi per i sostegni sulle pareti della casamatta (fig.39), da sostituirsi con blocchetti di plasticard attorno ai quali va fatto il segno della saldatura. I poco realistici  supporti F14 vanno sostituiti con nuovi supporti (fig.40), ottenuti usando le parti fotoincise MC I e striscette di plasticard, con i bulloni aggiunti. Anteriormente, i pezzi MB 8 si possono rimpiazzare con del plasticard. Dopo aver riprodotto ex-novo i sostegni, al posto di MA  1-2-3-4, lasciamo asciugare il tutto. La rotaia, non usando i pezzi F26, troppo massicci, va privata delle parti già stampate (fig.41), da rifare, altrimenti si vedrebbe troppo la differenza di spessore tra pezzi di plastica e plasticard più fino. Anche rinunciando alle reti metalliche ed ai loro supporti, avremo comunque un mezzo realistico, che plausibilmente può essere in attesa di quelle nuove, dopo averle perse o danneggiate come spesso succedeva.

     Eccoci ora alle prese con l’aeropenna  ed il conseguente dubbio su quale mimetica applicare: le possibilità non sono poi molte, ma forse non è un male, è un modello che si dovrebbe notare per la sua originalità, non per gli arditi accostamenti di colore. La scarsa documentazione fotografica mostra l’uso, oltre alla classica mimetizzazione post 1943 a tre colori, anche di una delle varianti dell’altrettanto classica "da imboscata". Volendo avere intanto una colorazione verosimile, in attesa di più materiale documentale – gli schemi proposti nelle istruzioni sono abbastanza plausibili ma non provati – abbiamo scelto delle semplici bande mimetiche in verde sulla tinta di base.

    I contrassegni, del periodo nel quale l’applicazione delle regole era meno importante, erano ridotti in genere alle sole insegne di nazionalità.

    Per il colore di fondo giallo sabbia è stato usato l’Humbrol HP 1 abbastanza diluito, che resta comunque una bella partenza per la mimetica, ovviamente aspettando più tempo perché lo strato di smalto faccia presa. Con il verde acrilico H60 si sono applicate le bande, che nei punti dove sono venute un po’ larghe è agevole ritoccare con un po’ della tinta di fondo. Il tutto poi è stato sporcato con colori ad olio e con un invecchiamento appena percettibile, visto che si tratta di un mezzo quasi nuovo di fabbrica. E’ un classico errore di molti modellisti, quasi quotidiano, ‘copiare’ l’invecchiamento ed applicarne troppo, specie quando il mezzo in questione non ne ha proprio bisogno.

    Per la realizzazione del terreno, rimandiamo a quanto presente nella rubrica “AMBIENTAZIONI” non avendo usato nessuna tecnica che si discosti troppo.

    Il muretto è un pezzo in gesso, realizzato diversi anni fa a cura del G.P.F. di Firenze, modificato realizzando, ad arte,  alcune brecce con un piccolo scalpello. Dipinto con un fondo nero e lumeggiato poi con colori alla caseina, farà ancora la sua figura. Non dimentichiamoci di raccogliere un po’ del gesso asportato e di incollarlo, con sabbia e vinavil, sul terreno accanto alle brecce, le renderemo più realistiche. Sul figurino e sulle uniformi usate nei reparti semoventi tedeschi nel periodo 1940-1945 torneremo, in un prossimo articolo. Intanto, buon lavoro !

 

BIBLIOGRAFIA : 

-         Bellona Military vehicle Prints Series 32 (MAP Ltd)

-         Ground Power 12/94 e 8/98 – Delta Publishing

-         Leichte Jagdpanzer – Motorbuch Verlag

-         Panzers in Saumur No 1 – Art Box

 

                       

                               

                       

 

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