Carro T 34
- una versione poco nota -
di Andrea ed Antonio TALLILLO
La pubblicazione, nello stesso mese, di due articoli riguardanti il T 34 su due riviste a grande tiratura, da una lato da apprezzare che si parli di questo importante carro – non se ne sa mai abbastanza, ma dall’altro lato fa riflettere. Senza fare polemiche, riteniamo utile riproporre un articolo apparso sul Notiziario (n.4 del 1999), concepito quando ancora esisteva ben poco come partenza.
E’ la prova che, preparando un articolo ancora con lo spirito modellistico dei tempi andati, si arriva a studiarsi per bene un sacco di particolari ed a proporne la correzione o l’aggiunta. Invece, buttando giù qualcosa, sull’onda dell’apparizione di un nuovo kit, si rischia di dimenticarsi di una versione particolare, o di trattarne altre non a fondo. In poche parole, anche se spesso ben poco pubblicizzati e non a caso, i bollettini modellistici hanno ancora una loro utilità, quando e se si vuole veramente approfondire…
Un pò di storia e di tecnica
Il T34 fu senza dubbio uno dei carri armati più validi della sua epoca, la combinazione di corazze inclinate, mobilità e buona potenza di fuoco lo resero per un bel po’ superiore ai mezzi avversari o stranieri. Le prime serie costruite non erano però perfettamente a punto e così nei primi mesi di guerra le perdite per guasti meccanici erano probabilmente pari a quelle da azione nemica. Il progetto-base era comunque molto buono e potè essere sottoposto a diverse modifiche, aumentandone di molto la validità. Un periodo critico per l’evoluzione del T34 si ebbe nell’autunno del 1941, quando lo spostamento delle fabbriche di là dagli Urali rese usato per la produzione solo uno stabilimento – la fabbrica trattori STZ di Stalingrado. Fu fatto ogni sforzo per aumentarne il gettito, in attesa che altre due fabbriche, una volta completato il trasferimento dei macchinari, la riprendessero. Si cominciò a semplificarne i componenti il più possibile, per renderli adatti a maestranze non qualificate: è vero che così il livello della qualità calava, ma i tempi di realizzazione si ridussero della metà ed i costi di quasi un quarto. La STZ dovette anche arrangiarsi con le proprie disponibilità ed in base alle circostanze. Cominciò così ad apparire un tipo di T34 ibrido, che al modello 41 di base univa parti e dettagli che sarebbero comparsi nel successivo modello 42.
Convenzionalmente noto agli esperti come modello 41/42, questo particolare T34 non verrà più prodotto, con l’entrata in servizio del modello 42. Entro l’autunno del 1942 ne erano stati completati 4.600, la produzione era continuata sin che era stato materialmente possibile; gli ultimi, privi della vernice ed anche delle parti ottiche entrarono in combattimento appena lasciata l’area della STZ. I pochi sopravissuti alla grandiosa battaglia si ha notizia che siano stati usati l’estate successiva nella battaglia di Kursk, ma interrati, ridotti a specie di fortini. Altri furono riciclati, portandoli allo standard dei modello 42.
Riepilogando, si arrivò al tipo 41/42 gradualmente, con dei particolari che non seguivano schemi precisi. L’esame di quante più fotografie possibile non è a volte ancora sufficiente e possono restare dei dubbi. Cercheremo di riassumere come dovrebbe presentarsi il carro in questione, perché non ci sono d’aiuto né i documenti ufficiali sovietici, che si riferiscono ai carri solo con l’anno di costruzione 1941 o 1942, né le denominazioni tedesche od inglesi, che ancora oggi chiamano indifferentemente T34 B i modelli 41, 41/42 e 42.
Lo scafo non era molto cambiato rispetto ai primi T34, ma già dagli ultimi modello 41 erano apparsi una ruota di rinvio semplificata e nuovi cingoli, che davano maggior presa sul terreno essendo meno lisci. Le corazze anteriori e laterali erano unite – con saldature – ad incastro quelle laterali erano similmente unite al retro. Le piastre posteriori in genere erano parti del modello 41, riconoscibili per il portello d’ispezione rettangolare, il cofano motore invece era più simile a quello del modello 42. La giunzione anteriore con la sovrastruttura era saldata anziché imbullonata, i ganci di traino erano nuovi e più efficienti. Il portello del guidatore, a due iposcopi protetti, verrà poi adottato sui modello 42 e sulle versioni successive. Mentre sui primi esemplari c’erano uno o due fari sulla piastra inclinata anteriore, presto ne veniva usato solo uno, ma anche questo era rimosso se erano presenti le piastre addizionali. Le ruote erano del tipo interamente metallico, introdotte dall’ottobre 1941, facendo fronte alla critica mancanza di gomma, che verrà superata solo con gli invii di rifornimenti alleati.
La torretta fu la parte del carro che subì più modifiche, perché le fabbriche sub-contraenti, quando iniziarono ad avere problemi a tenere il ritmo, adottarono per prima cosa una semplice piastra posteriore imbullonata. La Fabbrica navale Stalingrado, che oltre agli scafi forniva le torrette laminate, risparmiò tempo prezioso e migliorò la protezione del loro punto debole anteriore, tagliando via le estremità anteriori – quelle in basso ed omettendo il periscopio del caricatore.
La fabbrica Barrikady, che produceva sia i cannoni che le loro scudature, risparmiò tempo anche per queste ultime, usando una meno complessa forma a scalpello invece che tronca. Di torrette fuse sene usarono poche, solo sugli ultimi lotti realizzati e con la particolare scudatura di cui sopra, uno dei dettagli della versione riconoscibili a prima vista.
Alcuni esemplari ebbero corazze aggiuntive – da 10 a 15 mm – saldate al frontale della sovrastruttura, che contrastavano meglio i cannoni controcarro tedeschi più recenti. Gli esemplari più interessanti, da questo punto di vista, furono quelli realizzati campalmente, con piastre da 20 mm – ed anche più – dall’Officina Riparazioni di Leningrado, applicate anche sui lati della torretta.
Il kit in 1-35
Ci sono molte alternative per avere una torretta STZ, ricorrendo ad una tra quelle aggiuntive proposte dal vasto mondo delle ‘cottage industries’ , che ha lavorato per diversi anni a buon ritmo, fornendo molte parti alternative o sostitutive per questo famoso carro. Il prezzo di una torretta in resina non è ancora proprio popolare, ma considerando che il kit di base l’avremo magari trovato in cantina, ancora fermo in attesa di miglior sorte, lo possiamo considerare ammortizzato. Tra quelle disponibili che abbiamo incamerato nel tempo, si è rivelata adatta quella dell’ADV, un pezzo in resina ben stampato, senza bave né sfoghi d’aria, in pratica pronto o quasi al trattamento dei vari particolari che la miglioreranno.
Il kit da convertire è quello Tamiya del modello 42, perché ha il tipo di ruote tutte in acciaio che ci serve ed anche la corazza aggiuntiva. Chi avesse sottomano un altro kit di T34 Tamiya, come per esempio il mod. 43 od il mod. 43 con la torretta Chtz, e contemporaneamente non avesse particolare interesse per le corazzature aggiuntive potrà tranquillamente usarlo, ma dovrà reperire le ruote dalla banca dei pezzi. Comunque, pochi anni fa il modello 42 è stato nuovamente proposto sul mercato, restando in sostanza invariato ed ancora accettabile come finezza. Tutti i lavori descritti si possono portare a termine senza problemi e la documentazione attualmente non manca.
Come in tutti i kits giapponesi più anziani, immancabilmente la prima cosa da fare è riempire i fori legati all’eventuale motorizzazione, basta usare dei pezzi di plastica di recupero, inserendoli per bene e stuccando a regola d’arte. Posteriormente, sui lati dello scafo va aggiunta la piastra saldata, tra l’ultimo rullo e la ruota motrice, che evitava scingolamenti (Dettaglio 1). Come in tutti i kits del T34 realizzati dalla Tamiya, per mantenere le ruote di rinvio staccate dal primo rullo bisogna usare il tondino metallico e la ‘slitta’ avvitabile, aggeggi tanto retrò quanto utili al successivo corretto posizionamento dei cingoli.
La scomposizione del modello ci permette di preparare a parte la piastra A22, che andrà lavorata a lungo. L’unione col pezzo A7 della piastra originale andrà provata a secco, la parte superiore in realtà era bombata, si dovrà toglierla e rimpiazzarla con un semi-tondino di sprue. Per arrivare al look giusto ci saranno utili delle fotografie chiare, altre prove a secco ed opportune stuccature. Potremo in seguito, in sequenza, togliere gli attacchi per i ganci di traino (che vanno sostituiti) e stuccare l’incastro per la barra di traino, al centro (Dettagli 2 e 3). Le cerniere erano solo un paio e triangolari, sono da rifare – e poi circondare col segno della saldatura. Col pirografo applicheremo anche le saldature presenti sulle protezioni della trasmissione e quelle laterali tra piastra e scafo (4 e 5). Basta aver scrutato qualche bella foto – o meglio ancora, aver visto carri armati veri – per constatare che la saldatura aggiunge materiale, più che toglierne, per riprodurre questo aspetto si può incollare dello sprue stirato a caldo, seguendo le linee che dovrà seguire il pirografo, passandolo su questi cilindretti di plastica avremo quasi senza fatica una buon superficie di saldatura. Se il risultato non sarà da manuale, non stiamo a preoccuparci, le saldature sovietiche dopo la prima metà del 1941 non erano un granchè come rifinitura. Le protezioni della trasmissione vanno completate col foro d’ingrassaggio (6).
La parte inferiore della prua è veramente semplificata nel kit, ma basta poco per avere più realismo, aggiungendo la bullonatura (7) nel caso di un mezzo di prima produzione ed applicando il segno della saldatura tra essa e la piastra semitonda di congiunzione (8). Quella posteriore va corredata della saldatura col fondo (9) e, nella parte più vicina – e visibile – del portello d’ispezione (10). I ganci di traino (11) potevano essere del tipo intermedio tra il primo e quello poi conservato sino al modello 43. Oltre a stuccare la piastra sottostante prima di applicare gli attacchi, come al solito attorno riprodurremo la saldatura.
Il primo intervento sulla piastra inclinata anteriore è sulla postazione della mitragliatrice, da stondarsi con carta vetrata, prima a grana grossa e poi via via più fine. Cercheremo contemporaneamente di ridurla un po’ nelle dimensioni, togliendo la piastra ad anello anteriore, troppo incassata e priva dei bulloni. Dopo averla sostituita (12), un tondino di plasticard sagomato e forato simulerà lo snodo per l’arma (13), mentre la saldatura circostante poterà essere valorizzata aggiungendo la parte inferiore – mancante – o rifacendola completamente nuova, se non altro per averla nello stesso stile delle altre che abbiamo provveduto ad aggiungere.
Un lavoro importante è la riproduzione dell’incastro delle piastre di corazza, con l’aiuto del trapanino e di fresette adatte cancelleremo il bordo esterno della piastra, spianandolo. Una volta incisi gli incastri con un coltellino Olfa o Tamiya useremo ancora le fremette per dare lungo i bordi della nuova piastra l’effetto tipico del loro taglio –altro particolare rilevabile da fotografie o dall’osservazione accurata di mezzi veri (14). Attorno agli incastri, ovviamente, va aggiunta la saldatura, come per i bordi verticali e quello inferiore (15). Le incavature per i ganci vanno stuccate, le loro parti lisciate meglio che si può, aggiungeremo anche qui le saldature.
Concentriamoci sulla piastra anteriore per la messa a punto delle piastre addizionali, è un lavoro meno difficile di quel che sembra, ma lungo…potete anche scegliere di non applicarle. Per la verità il pezzo è già presente nel kit, ma oltre ad alcune imprecisioni il problema è lo spessore veramente fuori scala, la prima operazione sarà ridurlo all’equivalente dei 15 mm della realtà. Man mano che si procede, conviene accostarla a secco alla piastra anteriore, per controllare che il suo retro risulti liscio in modo uniforme. La parte a vista è già scabra, ma migliorabile accentuando l’effetto con limette e frese. Appena sicuri del fatto nostro, incolleremo la piastra addizionale, premendo leggermente perché aderisca bene in tutti i punti.
La piastra era formata da più elementi, saldati non solo alla piastra principale (16) ma anche lungo i bordi degli scassi (17), e tra loro. Gli scassi per i ganci di traino e le aperture dei meccanismi di registrazione dei cingoli non erano sempre presenti, ed i ganci potevano essere montati sopra alla piastra addizionale. Anche l’apertura che permetteva al filo del faro d’uscire dallo scafo (18) non sempre era presente.
Passando alla piastra posteriore per unirla alla sovrastruttura dopo alcune prove a secco. Il pezzo va migliorato con la riproduzione degli incastri fra le piastre (19) le cerniere superiori vanno asportate, lisciando le abrasioni restanti, per quelle inferiori dovremo togliere quella centrale, carteggiando bene. Il portello circolare va spianato con una fresa, sino a farlo scomparire completamente, prima avremo recuperato i bulloni e tolto la grande cerniera inferiore, per avere più mano libera. Quasi subito utilizzeremo tre dei bulloni appena tolti, per aggiungere quelli centrali delle file laterali (20) e quello in corrispondenza della cerniera centrale, quella tolta. Attenzione, perché una volta passata l’area del portello centrale con la carta vetrata fine, non avremo più riscontri che possano aiutarci nell’allineamento, e dovremo spostare un po’ verso gli estremi le coperture dei convogliatori. Controllando i disegni pubblicati sinora con i dettagli dei T 34 modello 41 conservati, la caccia a riferimenti certi terminerà ricavando il nuovo portello da un rettangolino di plasticard di 17 x 8 mm, arrotondato agli spigoli e da posizionarsi a 4 mm dal bordo superiore della piastra (21). Usando la colla liquida avremo il tempo giusto sufficiente per cambiarne, se necessario, la posizione. Quando sarà fissato definitivamente, lo correderemo dei bulloni, del meccanismo d’apertura e delle cerniere inferiori. Lavoreremo con una fresa le protezioni dei convogliatori di scarico, aumentandone la profondità interna ed assottigliandone le pareti. E’ necessario stuccarle specie sui lati, perché si appoggino di più alla piastra e non restino elevate.
Inseriremo le marmitte, che avremo prima assottigliato, riproducendo il segno della giuntura longitudinale.
I parafanghi anteriori, ovviamente, visti così sono freddi e poco realistici, ma basta una semplice passata di carta vetrata, l’asportazione dei rivetti e la costruzione di attacchi rivettati veri e propri, oltre a quelli laterali, per avere un netto miglioramento in quest’area. Se volessimo rifarci la parte sporgente del meccanismo di registrazione basterà aprire un foro nella plastica con un punzone che abbia il diametro adatto, inserirvi sotto una piastrina e farvi sporgere un bullone esagonale. Lavoreremo di fresa sui lati della sovrastruttura, senza calcare la mano daremo già l’idea della rugosità delle piastre, a destra vanno stuccati gli inviti per le maniglie da fanteria. Per il ‘vaso’ dell’antenna è meglio sostituire il perno e rifacendo attorno al foro d’uscita il segno della saldatura; il cilindro era un po’ complicato, essendo saldato al perno anche dall’altra parte ed avendo un fondo a padellino assicurato con due rivetti (anteriore-posteriore), le pareti vanno rese più fini e nel centro va messo il supportino dell’antenna- vedi dettagli in (22). Verso la parte posteriore, i fianchi della sovrastruttura non necessitano di molti interventi, tranne il dover stuccare gli attacchi per le selle dei serbatoi supplementari e carteggiare via i ganci già stampati sul fianco destro.
Il cielo del vano di combattimento (23) era saldato, e le semplici incavature del kit vanno ripassate col pirografo, notiamo che in tanti esemplari la piastra ha un incastro centrale. Pure sulla prima parte del cofano motore non c’è da mettere le mani per molto, basta irruvidire le superfici con una fresetta, stuccare i pezzi delle griglie laterali attorno alla giunzione, accentuare le saldature centrali e rifarsi, con del filo di rame, la maniglia del portello centrale.
Un lavoro più impegnativo è cercare di migliorare il più possibile la parte finale del cofano motore, per renderla realistica, perché ormai le reti già stampate sono inammissibili – neanche l’uso dei più raffinati trucchi pittorici ci eviterebbe una ben magra figura. Comunque, saremo molto agevolati dal fatto che il pezzo è presentato a parte, per lavorare proficuamente consigliamo di anticipare tutto prima del fissaggio definitivo della sovrastruttura allo scafo. Il vano sottostante al pezzo A11 è da chiudere con plasticard o cartoncino, poco più verso l’alto andranno incollate due paratie e due listelli, parti visibili che daranno meno il senso di vuoto se si guardasse l’apertura dall’alto. Il pezzo del cofano va tutto alleggerito dall’interno ed aperto centralmente, togliendo le cerniere sia superiori che inferiori. L’apertura va resa regolare nei bordi nella miglior maniera possibile con limette e carta vetrata, incolleremo poi del semplice tulle da bomboniera che abbia una tramatura verosimile. Usando colla liquida, avremo tutto il tempo necessario per effettuare eventuali aggiustamenti del pezzo di tulle, sui suoi bordi applicheremo con del cianoacrilato dei listelli di plasticard, sui quali porre i rivetti di fissaggio, lo stesso va fatto per quelli longitudinali (24). Le rifiniture consistono nell’applicazione delle nuove cerniere imbullonate (25) e dei ganci laterali e posteriori (26). Nei carri di prima produzione, erano presenti dei rivetti anche posteriormente (27), che poi non furono più usati. Si può rifare la protezione della luce di posizione con del lamierino in ottone od il buon vecchio lamierino da confezione di dentifricio, al suo interno inseriremo il fanale, del tipo semi-oscurato, col suo filo.
Tra le ultime cose da sistemare prima di passare ai parafanghi c’è il portello del conducente, che aveva un sistema d’innesto non semplice. Tenendolo chiuso, si può usare solo il pezzo A26, imperniandolo su di un cardine principale (28). Senza arrivare ad aprire dei fori nei cardini e farvi passare un elemento cilindrico, si otterrà un più che discreto risultato con opportune sezioni di sprue alle estremità. Le protezioni degli iposcopi erano imperniate a loro volta, dopo aver stondato con limette e carta vetrata i loro peduncoli per inserirli più realisticamente, incolleremo altre sezioni di sprue per le estremità del loro perno (29). Attorno alla parte fissa del cardine faremo il segno della saldatura, veramente cospicua.
I parafanghi si devono assottigliare, privandoli di ogni rilievo riproducente attacchi per attrezzi in seguito li incideremo con un utensile appropriato, separandoli bene dai fianchi della sovrastruttura, li doteremo per finire del bordo esterno fatto con una strisciolina di carta o plasticard molto fino. Naturalmente, i vani della sovrastruttura sporgenti sopra ai cingoli vanno chiusi con del plasticard o col più ‘spendibile’ cartoncino. Anche i parafanghi posteriori vanno assottigliati e magari se vogliamo potremo riprodurre, in contemporanea e senza esagerare, qualche danno subito. Col rinforzo ed i rivetti potremo dettagliare la parte interna (30). Le ruote da usare sono in questo caso quelle in acciaio senza battistrada esterno, che però sono troppo lisce nella fattura, sono da rivestire attorno di stucco, da ripassarsi col trapanino…e cosi via; una volta essiccato, il bordo risulterà non più liscio, anzi mangiato, anche i raggi d’irrobustimento andrebbero un po’ trattati con la fresa. Supereremo il piccolo problema dell’incollaggio difficoltoso dei coprimozzi in vinile usando colla a due componenti e tagliandoli a metà della loro lunghezza. Le ruote di rinvio che ho usato sono quelle di tarda produzione – la parte B4 del kit - , con più bulloni attorno al coprimozzo, mentre i primi lotti avevano invece il tipo con solo cinque bulloni ovvero la parte B5, marcata "non necessaria" nel foglio istruzioni. In realtà anche le ruote motrici ebbero un’evoluzione, su alcuni tipi mancavano le nervature.
E’ poi l’ora dei cingoli, il cui aspetto aiuta la riuscita di ogni modello a volte anche in una percentuale alta. Non si possono usare quelli Tamiya, simili a semplici elastici, non resta che volgersi ai prodotti "maglia per maglia" disponibili. Abbiamo voluto provare i più recenti e tutto sommato accettabili Maquette, la costruzione è stata relativamente agevole anche perché è stata fatta a tappe, senza voler fare tutto in una volta. Le maglie hanno il segno dell’estrattore di stampo, da togliere e carteggiare, alcune bave di stampo sono eliminabili anche con limette per unghie, che essendo meno abrasive delle limette vere e proprie permettono di rovinare meno i dettagli. Per incollarle, il sistema migliore è ancora quello che prevede l’applicazione, dall’interno, di piccolissime quantità di cianoacrilato e se in alcuni punti ci fosse bisogno di più "movimento", si potrà unirle anche con colla liquida, per avere il tempo di muoverle attorno a ruote e rulli in modo molto realistico. Il sistema d’attacco del faro va rifatto completamente, il filo usciva da un piccolo tunnel ed il faro era imbullonato ad una semplice staffa (31). Il faro del kit è da scavare di più con un trapanino, abbassando lo spessore della cornice per armonizzarlo col corpo del faro stesso. Useremo la solita lente adesiva da automobiline di diametro adeguato, decisamente realistica, il filo elettrico inguainato è fatto col filo di rame, togliendo prima il filo già stampato sul lato sinistro. Anche il supporto del faro del kit va tolto, stuccando e carteggiando con cura la zona.
I caricamenti, come per tanti altri carri sovietici, sono essenziali. A sinistra, dopo aver stuccato gli attacchi per le maniglie da fanteria, vanno applicati sei attacchi circolari – fatti con lamierino e completati con la saldatura (32), posteriormente, una volta stuccati gli attacchi per le selle dei serbatoi applicheremo due grandi ganci in filo di rame grosso (33). Una pala ricavata dalla banca dei pezzi, col manico circondato con degli attacchi in lamierino va applicata sul parafango. Vicino alla seconda nervatura ci sono due gancetti da incollare, realizzati con del filo di rame più fino (34). La fune di traino è in filo di rame molto sottile, attorcigliato con l’aiuto di un mandrino per avere una aspetto regolare. Questo per il corpo, mentre l’occhiello è fatto con del filo ancora più fine e la parte metallica è riprodotta con una striscia di lamierino. Sulla destra, dopo aver sostituito i ganci già stampati con del filo di rame fino, sia sulla sovrastruttura che sul parafango (35), posizioneremo la cassetta degli attrezzi, il pezzo A8, ricostruendo i suoi attacchi in plasticard. La cassa portacolpi offerta nel kit (36) compare in alcune fotografie di cannoni Zis 3. Con carta vetrata levigheremo le grossolane incisioni del coperchio, riducendo ad uno spessore accettabile i rinforzi, incidendo i segni dei chiodi ed aggiungendo le tre cerniere. Le altre superfici sono lisce, per avere un realistico effetto legno bisognerà passarle una o due volte nel diverso senso con la microlama Sign o carteggiarle.
Molte delle particolarità della versione che stiamo trattando si concentrano nella torretta. Quella della ADV scelta è un buon prodotto di partenza, con pochissimi sfoghi d’aria. Necessita solo di un riempimento delle poche impurità con lo stucco, meglio ancora sarebbe il cianoacrilato, che una volta fatta presa è più carteggiabile. Il fatto che, a secco, la torretta sia troppo appoggiata al piano di rotolamento, e la necessità di risparmiare un po’ del peso del blocco di resina costituito dalla torretta stessa, ci hanno fatto scegliere di togliere l’innesto che la rende girevole. Il foro del modello può essere preparato, dall’interno, con delle grandi sezioni di plastica, che reggeranno bene il pezzo in resina; completeremo stuccando i due scassi che nel pezzo Tamiya sono funzionali alla rotazione, che altrimenti si vedrebbero parzialmente spuntare fuori. Dopo un’accurata pulizia dei residui di resina della parte inferiore con carta vetrata a grana grossa, ne aumenteremo leggermente lo spessore con un foglio di plasticard da 1 mm, da stondare e raccordare al profilo inferiore della torretta (37). Per unire con successo plastica e resina abbiamo dovuto usare una colla a due componenti, cominciando a lavorare il pezzo in plastica tutto attorno solo quando si può essere sicuri di non provocarne il distacco. La torretta verrà così ad avere un assetto più alto e più realistico.
In dettaglio, la torretta ADV va migliorata iniziando con le saldature, da rifarsi anteriormente (38) e lateralmente (39), nonché sul cielo (40) ed attorno alla piastra posteriore (41). La piastra andrà leggermente scartavetrata nella parte inferiore, che altrimenti striscerebbe contro il cofano motore. Un foro oblungo – forse uno scolo di fusione – va scavato a destra (42), mentre le postazioni degli iposcopi laterali (43) vanno pulite da eventuali eccessi di resina, aumentando la parte inferiore della saldatura, troppo esigua; incolleremo poi i quattro rivetti sulla lamiera. I "tappi" dei portellini di tiro sottostanti erano ben inseriti nelle pareti, l’impressione è che siano già realistici così, considerata la scala. Invece il periscopio PT 4-7 (44) può essere migliorato aggiungendo i rivetti della base. Per il portellone del capocarro, si è recuperato un pezzo MB dalla riserva, ma è stato perché staccando l’analogo pezzo ADV dal suo supporto di colata si è danneggiato irreparabilmente. Il nuovo portello è adattabile al cielo della torretta con una carteggiatura attorno ai bordi, i cardini sono stati rifatti in plasticard perché quelli in resina erano troppo rovinati, dotandoli poi dei rivetti. Il periscopio di destra (45) aveva una protezione dalla tipica forma, sulle prime torrette a volte non è visibile. Mancando i ganci di sollevamento dal pezzo ADV – d’altronde in resina non sarebbero venuti perfetti – li abbiamo sostituiti con quelli del kit Tamiya.
La scudatura del cannone è bruttina e più piccola del dovuto, abbiamo ripiegato sul pezzo Tamiya D13, togliendo la saldatura già stampata ed assottigliandolo di un po’ (46). La giunzione con la scudatura dei recuperatori, in resina, sarebbe difficile se non usassimo una colla a due componenti; il segno della saldatura va rifatto e sulle superfici troppo lisce basterà dare una passata con una fresetta, riproducendo un effetto più realistico.
Nella confezione, il cannone l’abbiamo trovato dritto e privo di bave, però è meglio inserirvi lo stesso a caldo un chiodino, per irrigidire l’assieme. Non mancano comunque le canne tornite in in metallo, molto più pratiche da lavorarsi. La scudatura, poco prima di essere posizionata, andrà ultimata coi fori per il cannocchiale telescopico TMFD a sinistra (47) e per la mitragliatrice coassiale a destra (48) per averli più netti, dopo le fatali slabbrature causate dalla carta vetrata. Anche qui ci verrà in aiuto una fresetta, usata con cura.
La colorazione comporta il solito verde di fondo, ottenuto con una miscela di Humbrol 114, con aggiunto un 10 % di verde Humbrol 116 che lo ha un po’ movimentato, giusto per non avere un T34 quasi identico ai precedenti – ed ai futuri. Usando l’aerografo, la miscela va accuratamente diluita sino a trovare la giusta combinazione. La zona motore va verniciata prima d’applicare la griglia con la rete e per praticità è preferibile dipingere la torretta a parte, prima d’incollarla. Le decals della scatola purtroppo sono troppo banali ormai, meglio ripiegare sui diversi fogli di trasferibili comparsi, la gamma ormai è abbastanza varia (Verlinden, MB, Pre-Size, da ultimo Mig Production), che consentono di realizzare esemplari più documentati. Comunque, a cavallo tra il 41 ed il 42 c’era poco tempo per i contrassegni e sui carri sovietici erano ridotti all’essenziale o mancavano del tutto. Comunque, la scritta che identificava il reparto poteva avere delle piccole varianti (49).
Sulla vernice di fondo ognuno applicherà il tipo d’invecchiamento del quale ormai si è impadronito – un sistema non troppo complicato è usare del Nero e Terra d’Ombra ad olio sul colore ben asciutto, essi daranno una patina realistica, asportabile in ogni momento semplicemente togliendo o sfumando gli eccessi secondo al situazione, anche aiutandosi con un po’ di carta morbida da cucina. Alcune parti, come bullonature e spigoli, possono essere lumeggiate a secco con del Bianco di Titanio, passando energicamente sulle superfici un pennello a setole dure, a pennello quasi secco. Con questo trattamento certi particolari risalteranno anche ‘nonostante’ l’invecchiamento, attenzione però a non strafare, evitando effetti grotteschi che non hanno molto a che vedere coi mezzi reali, anche se in scala ridotta.
Per variare un po’, per l’ambientazione si può partire da un semplice tagliere di legno, se ne trovano di discreta fattura nei negozi "1 Euro" ma anche di più buoni – pur restando a prezzi contenuti – in certe catene di supermercati. Il tipo da noi usato è quest’ultimo, in legno abbastanza pregiato, a strati e perciò scavabile leggermente, dando così più presa all’impasto del terreno. Abbiamo tentato di riprodurre una zona di terreno con un po’ d’erba alta, a ciuffi, la prima stesura del terreno è stata fatta con la pasta Hydrozell della Faller che, leggera e malleabile, è l’ideale per fare volume, essa è purtroppo molto porosa ed ha un ritiro sensibile, è necessario rimpolparla con un impasto di vecchio stile, ovvero farina e tempere, applicando il quale pianteremo anche l’erba a ciuffi. La Woodland Scenics ha erba d’ogni tipo, si prepareranno i ciuffi tagliando le lunghe matasse delle confezioni ad altezze diverse, ricavando in questo modo più varietà di forme, senza fatica. Riuniremo alla base i ciuffi con del cianoacrilato – attenzione alle dita in questa fase – inserendoli con delicatezza. Una volta asciugate bene, alcune zone del terreno potranno essere dipinte con colori ad olio, ricavandone un terreno meno piatto ed uniforme – basta guardare un fazzoletto di terreno da un balcone per rendersi conto di cosa può voler dire.
BIBLIOGRAFIA : - T 34 in action – Squadron Signal Publications - The T34 Tank – Osprey Vanguard n. 14 – Osprey Publishing - Model Art n. 338 - T 34 / KV – - T34/76 Medium Tank – New Vanguard n. 9 – Osprey Publishing - Ground Power n. 13 (6.95) – Delta Publishing - Ground Power n. 40 (9.97) – Delta Publishing