MANUALE  DI  MODELLISMO  PRATICO

(Prima  Parte) 
 
Come realizzare e migliorare i modelli in scala 1/35
della Seconda Guerra Mondiale

 

di  Andrea e Antonio  TALLILLO

 

 Kit, materiali ed attrezzi 

 

PRESENTAZIONE  

Attorno al 1972, due ragazzini cominciarono a spendere le loro sudate lirette in un negozio di modellismo, attirati dalle vicende –affascinanti e pur terribili - dei mezzi corazzati della Seconda Guerra Mondiale. I modelli rappresentavano allora quasi tutto quello che sapevano circa la guerra che era finita solo 27 anni prima, che aveva impegnato le risorse di quasi tutto il nostro pianeta e della quale c’erano ancora in giro, ben visibili, i residui effetti politici.

Ancora oggi, i corazzati del periodo, avendo contribuito a cambiare la strategia militare,  riempiono molto spazio nella pubblicistica e nella gamma di produzione dei vari kit. La cosa è comprensibile perché nel corso del secondo conflitto mondiale furono sviluppati tipi e classi di mezzi e varie nazioni affrontarono il conflitto con le proprie . Di conseguenza ci fu una gran varietà di forme, al contrario dei classici “scatoloni” a pareti verticali degli anni precedenti. Apparvero inoltre corazzati, anche improvvisati o sperimentali, che in seguito influenzarono i loro successori sino agli anni Settanta del secolo scorso. La scelta per i modellisti è vastissima e l’unico confine, per queste innocue riproduzioni, è costituito dalla ricerca storica e dal gusto del particolare che la persona può perseguire.

Negli anni più recenti sono stati prodotti sempre più modelli che riproducono veicoli del periodo, anche tra i più rari, in particolare grazie all’apertura di molti archivi e alla comparsa di documentazione tecnica e storica di grande valore. A quanti ancora si chiedono se esiste un segreto per diventare ‘esperti’ non ci stanchiamo di rispondere che sono più d’uno : costanza, pazienza, precisione e voglia d’approfondire, ma aiutano anche il buon senso ed un po’ di pianificazione. Alla passione del modellista, che resta dote fondamentale, si uniscono l’esperienza e l’uso di tecniche sempre più sofisticate, nonché l’aiuto del computer per arrivare, parafrasando una frase celebre, “… là dove nessuno si era spinto prima…”, con dei modelli sempre più aderenti al vero.

 

INTRODUZIONE 

L’idea di base per questa guida è quella di mostrare come assembleare i modelli nella popolare scala 1/35, che si è ormai imposta come riduzione ottimale e come migliorarli nel dettaglio e nell’aspetto finale, partendo da un livello semplice e accennando ad alcune tecniche avanzate. È stata perciò pensata più per il vasto numero di modellisti non troppo esperti e assidui, piuttosto che per una più ristretta cerchia di persone con lunga e approfondita esperienza. Oggigiorno il mercato offre innumerevoli scatole di montaggio, con molte ripetizioni e sempre meno assenze. Per facilità di costruzione e dettaglio sono adatte a tutti e vanno spesso oltre le aspettative del profano. Gran parte della produzione è in mano ad aziende orientali, ma sulla strada del miglioramento qualitativo stanno procedendo bene anche case dell’Est Europa, partite tardi ma che hanno fatto tesoro dell’altrui esperienza.

Il modellista vede nel kit la possibilità di sintetizzare un determinato periodo storico e tecnico, riproducendolo nella sua evoluzione tecnologica. Anche nella realtà, su diversi tipi-base furono effettuate sperimentazioni o applicate trasformazioni e conversioni, e questi sono altrettanti stimoli a cercare nuovi sbocchi, oltre il pure e semplice assemblaggio di quanto fornito dalla scatola di montaggio. Chi si occupa di mezzi militari può disporre di abbondante documentazione e c’è solo l’imbarazzo della scelta – per veicolo o tipo di veicolo, per nazione, tipologia, specializzazione o per determinate campagne militari – e in ogni caso si può mettere assieme una discreta collezione che riguardi un po’ tutti i belligeranti, anche per gli eserciti meno conosciuti.

Il plastimodellismo è un hobby stimolante ma impegnativo. Tutto dipende dallo spirito con il quale ci avvicineremo alla sua pratica, che ha un notevole contenuto culturale. Chi non si è mai cimentato con la costruzione di un modello in scala oppure non ha ottenuto risultati soddisfacenti potrà trovare in questa guida qualche idea e suggerimento utile, o almeno questa è la speranza degli autori.

La riproduzione di un mezzo militare sulla base di una recente scatola di montaggio è abbastanza facile rispetto ad altri settori. È vero che alcuni kit sono composti da molti pezzi, ma spesso le operazioni di stuccatura e carteggiatura, così frequenti in passato, sono ridotte a poco o nulla, semplificando notevolmente il lavoro. La verniciatura ha generalmente una finitura opaca e la fasi di usura e sporcatura possono coprire piccoli errori commessi.

È facile trovare un soggetto di interesse; per orientarsi e avere delle conoscenze minime non occorrono anni di preparazione. Si può iniziare e procedere da soli, magari affidandosi agli insegnamenti di qualche pubblicazione, ma i migliori e più veloci risultati si ottengono indubbiamente con il dialogo, il confronto e la collaborazione con altri appassionati, non necessariamente a loro volta modellisti. Soprattutto bisogna andare avanti senza fretta, scegliendo sempre le soluzioni più semplici; con la pratica tutto ci verrà più facile ed avremo pur sempre un margine molto ampio per l’estro e l’inventiva personali. Una volta ‘scafati’, difficilmente questa passione rimarrà allo stadio di un banale passatempo…

                                                                                                                                     

 1 – EVOLUZIONE DEI MEZZI CORAZZATI  -  SCELTA DI UN KIT  

Prima o poi, al semplice appassionato di storia militare del periodo della Seconda Guerra Mondiale viene da domandarsi quale mezzo da combattimento la abbia caratterizzata maggiormente, tra le non facili risposte senz’altro una riguarderà i corazzati. Nel 1916 era apparso, nell’esercito inglese, il primo carro armato, che avrebbe imposto un cambiamento radicale nelle strategie militari, riportando vittorie con perdite di vite umane di gran lunga inferiori a quelle che subivano mediamente le fanterie quando operavano da sole. Il concetto iniziale di sviluppo prevedeva un mezzo capace di attraversare l’ormai tipica ‘terra di nessuno’ costellata di crateri sino ad arrivare alle trincee nemiche e travolgerle, aprendo un varco nei reticolati. Prima ancora che la guerra fosse finita, il carro armato era già divenuto un’arma essenziale, perlomeno negli eserciti Alleati. Per tutti gli anni Venti e Trenta, nessun esercito si era potuto permettere di trascurarne a lungo lo sviluppo, pena gravi conseguenze. Nel 1939 il carro armato aveva già assunto una forma moderna, anche se le diverse concezioni dei vari Stati Maggiori avevano prodotto mezzi molto differenti nel tipo di costruzione, protezione e armamento. Fra le due guerre mondiali fiorirono alcune scuole di pensiero che contemplavano i carri come mezzi di sfondamento oppure come supporto della fanteria, con aliquote di mezzi più leggeri da usarsi in sostituzione della cavalleria montata. Queste nuove macchine andavano usate per la conquista del terreno o per la distruzione delle forze corazzate nemiche? Ogni terreno e ogni campagna videro impieghi e soluzioni diversi. Eserciti potenti ma tradizionali, come quello polacco e francese, che non seppero o vollero dare importanza ai carri armati, furono battuti con relativa facilità, tra lo stupore del mondo intero, dall’applicazione pratica delle innovative teorie tedesche. La Blitzkrieg o guerra-lampo, per la prima volta nella purtroppo lunga storia dei conflitti, metteva in primo piano le forze corazzate e motorizzate; in pratica il ritmo delle operazioni diventava quello sostenibile dai mezzi a motore, non più il lento procedere della fanteria. La guerra andò poi ad investire l’Unione Sovietica, i cui reparti corazzati subirono inizialmente grandi disastri, perchè equipaggiati con molti carri ma in alta percentuale leggeri o comunque poco efficienti. A metà 1943 fu su questo fronte che avvenne il passaggio da guerra offensiva a difensiva da parte tedesca. Anche con le unità corazzate non era possibile presidiare un lunghissimo fronte come quello orientale contro tutti i possibili attacchi di un avversario che col tempo dispose di sempre più carri moderni, tra i quali il celebre T 34, ottimo per alcune caratteristiche ed economico da produrre, anche se inficiato da alcuni difetti. Le battaglie di carri assunsero il carattere di una guerra di logoramento e si registrò una vera e propria rincorsa al mezzo più protetto e meglio armato, che portò da parte tedesca all’apparizione dei vari Tiger e Panther, quest’ultimo, arrivato al culmine del perfezionamento nel 1944, classificabile tra i migliori del conflitto.

In Africa settentrionale invece i reparti corazzati poterono ancora operare come nella guerra navale, andando a caccia delle forze avversarie per impegnarle e distruggerle, anche a grande distanza. Come terreno da conquistare, il deserto non valeva nulla, anzi costituiva solo un allungamento di decine o centinaia di chilometri della catena dei rifornimenti. Arrivare troppo lontano voleva dire essere poi fermati e ricacciati sulle basi di partenza, perdendo uomini e materiali nel corso del ripiegamento. In questo particolare settore, la corsa al cannone più potente si ebbe dall’ultima parte del 1942; i carri britannici erano armati in modo inadeguato, ma la fornitura di molti carri medi statunitensi – prima gli M 3 Lee e Grant e poi gli M 4 Sherman, in varie versioni – ristabilì la situazione a favore degli Alleati. Per quasi tre anni, l’unico fronte terrestre sul quale le truppe inglesi erano a diretto contrasto con quelle dell’Asse fu proprio quello africano e poi tunisino. Per ben tre volte, i carri furono importanti nelle offensive che fecero retrocedere tedeschi ed italiani, ma nonostante tutto i tecnici inglesi non misero a frutto l’esperienza maturata e furono sempre un po’ indietro nell’adeguarsi ai più efficienti mezzi avversari. Nell’impiego si tendeva sempre a disperdere i pur numerosi mezzi a disposizione, che così venivano a coprire zone più vaste ma sempre in svantaggio contro le formazioni concentrate pluriarma avversarie. I carri inglesi, anche se armati meno di quelli tedeschi e con la necessità di impegnative manutenzioni, restavano pur sempre superiori a quelli italiani. Per le blindo gli inglesi avevano quasi una predilezione e nel deserto, almeno inizialmente, non si potè contrastarli adeguatamente. I corazzati americani, concepiti con alcune ingenuità ma con un sano pragmatismo, e prodotti in quantità semplicemente inconcepibili per altri paesi, Unione Sovietica esclusa, si fecero notare sempre più sino ad essere diffusi, già nel tardo 1943, anche nei reparti del Commonwealth e sovietici. Lo Sherman non era in sé un carro particolarmente riuscito, ma costituì un buon compromesso tra mobilità, protezione e armamento e soprattutto un buon mezzo standard, migliorato nel corso del tempo, in grado di portare a termine il suo compito su quasi ogni terreno. Se i Comandi avevano, almeno all’inizio, molto da imparare in campo tattico, lo fecero a loro spese sviluppando comunque una forza corazzata  come poche.

Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il nostro Regio Esercito aveva numerosi reparti di tankette, ma non c’era – almeno al fronte – un carro medio in grado d’impegnare i mezzi avversari. Ancorati al mito del ‘carro veloce’ lo Stato Maggiore non aveva fatto passi verso i carri medi che attorno al 1938-1939, arrivando tardi. La funzione dei corazzati era quasi folcloristica, anziché essere quella di fulcro di un esercito moderno. Quanto ai carri pesanti, il quadro è ancora più desolante, lo svantaggio restò insanabile, in quanto si trattò di un solo tipo, equivalente grossomodo solo al Panzer IV e che per indecisioni tecniche non arrivò mai concretamente in servizio, perlomeno con unità del Regio Esercito. Il conflitto rivelò drammaticamente, nel suo svolgersi, le mancanze delle truppe corazzate italiane, che non erano da imputarsi solo ai mezzi in sé, tantomeno agli equipaggi, ma soprattutto alla carente mentalità industriale ed alla cattiva organizzazione dei recuperi e dei rifornimenti. Il nostro rimase nel novero di quegli eserciti che non poterono adeguarsi in tempi ragionevoli alle svariate necessità di un conflitto tecnologicamente impegnativo, nel quale lo status del carro armato e dei corazzati crebbe e poi cambiò più di una volta. Inoltre, lo svantaggio numerico fu sempre grande, basti pensare che il totale dei corazzati d’ogni tipo costruito sino all’armistizio del 1943 superò le poche migliaia, cifra veramente esigua se confrontata con quelle sfornate dai  paesi alleati ed avversari. Si continuò tra l’altro a produrre mezzi inadeguati – come i carri leggeri L6 od ormai superati come i medi M – anche quando si poteva concentrarsi proficuamente sui più validi semoventi da 75/18.    

Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, la progettazione, la costruzione in serie e la sperimentazione dei corazzati ebbero un ritmo accelerato, mai verificatosi prima. All’inizio del conflitto, essi erano ancora una componente poco importante della maggior parte degli eserciti; inoltre, in gran parte si trattava di tankette o carri leggeri. Poco alla volta sempre più mezzi di peso medio o pesante arrivarono sui campi di battaglia, per arrivare nel 1945 a costituire un’arma strategica che nemmeno l’avvento dell’era atomica metterà in discussione. Solo nel teatro d’operazioni del Pacifico, per evidenti motivi, il progresso del carro armato non fu così rapido e restò limitato, specie da parte giapponese. I pochi – rispetto al teatro europeo – reparti corazzati degli Alleati si rivelarono molto utili, ma ebbero più che altro un impiego a diretto supporto della fanteria.

In pratica, dal 1940 l’evoluzione del carro era continuata inarrestabile ed il 1945 segnò il suo trionfo, avendolo visto impiegato un po’ su tutti i fronti ed essendosi rivelato tra i fattori fondamentali della condotta delle operazioni.

Sin dalle prime azioni belliche del 1939 e 1940, il semplice carro armato non bastò più a soddisfare le richieste da parte delle forze armate coinvolte nella guerra o che si apprestavano a dichiararla. L’evolversi del mezzo corazzato portò anche all’adattamento dei criteri per impiegare in loro appoggio la fanteria e l’artiglieria, che ormai operavano a stretto contatto, arrivando in pratica al ribaltamento delle tattiche più vecchie. Non era possibile che un solo tipo di mezzo incorporasse tutte le caratteristiche necessarie e la categoria dei corazzati finì per comprendere una gamma molto vasta di macchine. Comparvero così carri radio e comando, osservatori d’artiglieria, officina e rifornimento, quelli gettaponte e recupero, i ricognitori e i trasporto truppe, i lanciafiamme e sminatori, i carri aviotrasportati, sino ad arrivare a quelli anfibi. Non parliamo poi degli scafi semoventi per pezzi controcarri, d’artiglieria o contraerei, sviluppati in una miriade di tipi specialmente dai tecnici tedeschi. Di contro, la produzione di cannoni, mine e altre armi controcarri rese sempre più efficace la difesa dagli attacchi di carri, portando in essi miglioramenti nella corazzatura e nell’armamento. Si passò da corazzature spesse poco più di 10 millimetri a quelle di qualche centimetro, con profilatura migliore, e dalle mitragliatrici di bordo sino alla potenza di fuoco garantita da pezzi da 75, 88 e più millimetri di calibro. Più corazzatura e maggiore armamento volevano dire una massa superiore da dover spostare sui campi di battaglia; per questo motivo, anche la componente motoristica fece passi da gigante e si arrivò a propulsori potenti e  poco ingombranti, anche se non sempre l’affidabilità era parimenti migliorata. Stesso discorso per gli altri organi meccanici e quelli dei treni di rotolamento. Anche aumentati anche i motori Diesel, caratterizzati da consumi bassi e maggiore sicurezza in fatto di incendi a bordo, anche se ogni esercito mantenne una propria filosofia costruttiva, a volte dipendente dalle scorte disponibili.

Nel complesso, mentre da parte tedesca si era arrivati a carri pesanti e sempre più sofisticati nelle dotazioni di bordo – basti pensare all’introduzione, su alcuni Panther, di apparati all’infrarosso per la migliore acquisizione dei bersagli –, il conflitto fu vinto grazie a mezzi inferiori nelle prestazioni ma più semplici e facili da mantenere, al limite del rustico per quanto riguarda quelli sovietici, che restarono poi in servizio per alcuni decenni. Del resto, anche nella Panzerwaffe il carro utilizzato dall’inizio al termine della guerra, ovvero il Panzerkampfwagen IV – realizzato in molte versioni, via via aggiornate –, non poteva essere considerato un esempio di perfezione tecnica, dato che il suo progetto risaliva alla metà degli anni Trenta. I pesanti Tiger tedeschi, gli agili Crusader inglesi, i funzionali T 34 sovietici, i sobri ma efficaci Sherman americani, nomi tuttora conosciuti e famosi, furono veramente tra i protagonisti delle grandi battaglie e campagne terrestri della Seconda Guerra Mondiale e sono ancora i tipi più replicati in scala.

Per realizzare un soggetto simile all’originale, ma in dimensioni ridotte, non c’è che da riprodurre le sue parti in scala; questa indica il rapporto di riduzione. In pratica, un modello realizzato nella scala 1:35 è esattamente 35 volte più piccolo del vero, in tutte le sue parti. La scala in questione è stata accettata anni fa perché rappresenta ancora un buon compromesso. Il modello che ne risulta non è troppo grande da porre problemi di spazio, se non in caso di grandi diorami, e nello stesso tempo permette una buona resa di ogni particolare ed una migliore rifinitura. In sintonia coi mezzi militari, si è andata sviluppando la produzione di figurini in scale compatibili, facilitando l’ambientazione dei mezzi coi loro carristi e la realizzazione, nel caso di altri reparti, di scenette o di veri e propri diorami. Si può scegliere i mezzi di una sola nazione o di un solo tipo (carri, semoventi oppure autoblindo e altri ruotati) o combinare le due opzioni (solo semoventi tedeschi, per esempio), oppure allargare un po’ la visuale, comprendendo i mezzi che si sono affrontati in intere campagne (tra le meno sfruttate quella d’Italia dal 1943 al 1945 e quella del Pacifico dal 1941 al 1945). Più monotematica l’idea di riprodurre solo modelli di un determinato soggetto, che comunque abbia avuto più versioni o configurazioni (potrebbe essere benissimo uno Sherman o un T 34).

Comunque, passando in rassegna la vastissima produzione, avremo senz’altro il proverbiale imbarazzo della scelta, specie se siamo alle prime armi. Non esistendo, ovviamente, il modello migliore in assoluto, il criterio di scelta è più d’uno e comprende i gusti personali e certe obiettive circostanze, come la facilità di montaggio od una maggiore disponibilità d’accessori da recuperare. I kits più recenti hanno già un verismo potenziale impressionante, ma dovremo sempre mettere il nostro intervento perché siano veramente realistici. Non esiste kit che non richieda una quantità di lavoro, a volte notevole, per avere risultati soddisfacenti. Più un kit è buono più avrà pezzi stampati bene, ma che saranno da rifinire con più perizia. Attenzione al primo passo, altrimenti la scelta potrebbe cadere nel classico kit troppo complicato, il che potrebbe portare a risultati non buoni da parte del neofita e al suo scoraggiamento. Non ha importanza che si tratti di un modello di recente produzione, anche un vecchio kit trovato in un mercatino può fare al caso nostro. Anche noi, modellisti del  terzo millennio, possiamo ritrovare la voglia di riscoprire la lentezza o meglio un ritmo non troppo accelerato, con vecchi modelli che dilatano la memoria e rompendo la sterile frenesia per le novità più recenti, che in molti casi non sappiamo nemmeno più goderci. Il bello è che a volte sono ancora dei bei kits, che abbiamo solo ‘perso di vista’. Altre volte, sono modelli passati di marca e che hanno trent’anni suonati e li dimostrano tutti. Il costo di un kit, specialmente se in resina, può raggiungere cifre di rispetto, ma in media una buona scatola di montaggio può essere trovata a importi ragionevoli. Anche i piccoli kit sono ottimi per le scenette o i diorami, e inoltre occupano poco spazio. Realizzazione e ambientazione ci potranno tranquillamente impegnare per mesi e le spese affrontate saranno così diluite nel tempo. Basterà, per non impiegare male il nostro denaro, almeno agli inizi, orientarsi su marche meno costose e modelli sui quali farsi l’esperienza, rimandando la costruzione di modelli più complessi (e costosi). Tuttavia, non crediamo che si possa continuare per molto tempo a costruire quel che capita, senza fissare l’interesse su un qualche argomento specifico.

Non è sopravalutazione parlare di storia dei kit, basta pensare a come si è partiti e poi arrivati all’odierno livello. Nati in tempi bellici per l’addestramento, i primi kit erano in legno – materiale non strategico – ed erano fatti quasi ‘su misura’ e non in grande serie. Altri erano semplici sagome da ritagliare dalla carta e da costruire. I primi veri kit, pur rudimentali, di mezzi militari risalgono al periodo a cavallo degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Aurora, Lindberg e Revell lanciarono i loro primi modelli in scala grande, non definita ma vicina allo 1.32. Visti con gli occhi d’oggi, questi modelli possono far sorridere per la loro semplicità e per le loro tante imperfezioni, prime fra tutte quelle nelle dimensioni corrette, che non costituiva un vero standard da rispettare. Quello che contava per i produttori era di offrire una rappresentazione in scala ridotta, approssimativa rispetto all’originale preso come campione. Questi vecchi kit hanno oggi un valore affettivo e anche da collezionismo e raramente vengono montati, sempre che si riesca a trovarne uno. È un po’ come avere la bottiglia di un vino molto vecchio, che si preferisce tenere nella propria cantina anziché aprirlo, dato che potrebbe essere non più bevibile. Restando nel campo di questi vecchi modelli, ben presto prodotti in scala costante 1.32 da aziende quali Airfix e Monogram, essi contribuirono a diffondere sempre più l’hobby del modellismo. Quest’ultima ebbe anche la buonissima idea di includere nelle istruzioni parti a colori, con consigli per la realizzazione di diorami ed equipaggi, a cura di un allora già famoso Shepard Payne. Presto si aggiunsero Tamiya e altri produttori orientali (Nitto, Otaki, Nichimo), con dettagli più di una volta poco realistici e penalizzati per molti aspetti dall’eventuale motorizzazione. Nacquero mezzi militari di vari tipi, ad un ritmo oggi impensabile di una decina di novità l’anno, ben presentati con scatole accattivanti nelle loro boxarti e sempre più accurati nella riproduzione, perché i modellisti stessi cominciavano ad essere smaliziati, proponendo osservazioni e critiche. Si svilupparono anche alcune case europee come la Heller e le nostrane Italaerei – solo in seguito trasformatasi in Italeri – ed Esci, specie la Italaerei riuscì a proporre valide alternative ai prodotti Tamiya, con kits più raffinati e privi degli inconvenienti legati all’eventuale motorizzazione.

In un periodo di pacifismo a ogni costo, anche i kit vennero visti come possibile veicolo propagandistico bellicista, tanto che varie marche rallentarono la loro produzione di modelli in plastica, ideali per tirature di decine di migliaia di pezzi. Nacquero così i kit in resina o metallo bianco, proposti da aziende statunitensi ed europee, che proponevano sia soggetti completi sia set di conversione e miglioramento oppure di accessori. Da allora, la resina si è imposta sia per completare la gamma dei mezzi disponibili sia per guarnirli nella migliore maniera possibile, anche con parti interne, munizioni, effetti personali dell’equipaggio e così via. Viceversa l’apparizione di kit in vacu-form non ha preso piede, restando una meteora nel vasto cielo dei tipi di produzione, mancando essi di sufficiente realismo e restando difficili da completare. Si trattava di pezzi termoformati, dando a caldo la forma a parte piane in plastica.

Anche l’apparizione delle fotoincisioni, coi quali è possibile dettagliare in maniera mai vista prima i nostri modelli, ha dato impulso alla costruzione di vecchi e nuovi modelli. Per quelli nuovi addirittura si è inaugurato un ciclo continuo e si può dire che all’apparizione del nuovi kit in plastica è sempre seguito, anche a brevissima distanza di tempo, l’apparizione di set in resina e dei relativi fogli fotoincisi per meglio completarli. Il tutto però era funzionale ai modelli usciti, il cui numero non era ormai molto alto come nel periodo precedente. Nei primi anni Novanta si assistette alla comparsa di un altro fenomeno temporaneo, i kit ‘multimediali’ della Gunze giapponese, che proponevano scafi in plastica, parti in metallo bianco e cingoli maglia per maglia. Nuova linfa al mercato fu portata dai primi kit in plastica della cinese Dragon, che poi, con i suoi molti e nuovi kit, iniziò a insidiare, ben presto seguita dalla AFV Club, il primato e il quasi monopolio giapponese. La caduta dell’URSS ha aperto la via a dozzine di aziende dell’Europa orientale, che hanno via via perfezionato i loro kit, ora prodotti con una qualità sempre migliore sia in Russia e Ucraina sia in Polonia e nella Repubblica ceca.

Accessori, parti aggiuntive, cingoli maglia per maglia e fotoincisioni sono diventati presenza comuni e quasi banale. Si è arrivati anche a coprire molti possibili vuoti nella lista dei mezzi corazzati mondiali e restano da esaminare e riprodurre quasi solo i mezzi di eserciti minori. Anche qualche grande ditta produttrice sta procedendo a tradurre in scala alcuni soggetti italiani, perlomeno i più conosciuti  È vero che i prezzi sono saliti quasi di 10 volte rispetto agli anni Settanta, ma i kit ora sono molto più curati e necessitano di meno lavoro per diventare repliche accurate dei mezzi reali.

L’importante è non cadere in quella distorsione della realtà che fa primeggiare mezzi rarissimi e dall’alone mitico a scapito di intere flotte di carri armati, magari più banali ma che, in fin dei conti, sono quelli che hanno fatto la Storia. Tenendo presente l’attuale ritmo delle nostre vite, è già molto almeno arrivare ad un livello di dettaglio medio, ritoccando i difetti più vistosi ma evitando un eccessivo perfezionismo.

 

2 – ATTREZZATURA  E  MATERIALI 

Come in tutte le attività manuali, nel modellismo sono necessari arnesi ed attrezzi vari per costruire e rifinire bene i modelli. Il modellista esordiente si chiede spesso quale meravigliosa attrezzatura sia stata usata per i modelli dei più esperti. Logicamente, una buona gamma d’attrezzi darà notevoli miglioramenti al livello di rifinitura, però essi da soli non bastano se dietro ad essi non ci sono mente e mani del modellista.  Non è detto che subito ci si debba dotare di un’intera officina, cominceremo con quella di base, semplice e non eccessivamente costosa. Col tempo, la espanderemo con tutto quanto può essere utile alla nostra capacità ed esperienza. Non dando troppo peso alle attrezzature più up-to-date, non sottovaluteremo la nostra abilità e sensibilità. Una volta  padroni della tecnica e si riuscirà a capire subito quale attrezzo andrà usato e in quale modo. Oltre agli attrezzi e materiali ‘canonici’, per la realizzazione di un modello potranno essere utili elementi reperibili normalmente anche nelle nostre case e saremo noi a sceglierli, adattarli o addirittura autocostruirli, per lavorare un po’ meno ed un po’ meglio.

Anche nel modellismo è meglio riciclare i materiali e la cosiddetta ‘banca dei pezzi’ – pur non essendo un attrezzo nel senso stretto del termine – ci verrà in aiuto molte volte, fornendoci parti avanzate ad altri modelli. Una volta terminata la costruzione di un modello nella sua struttura generale, dedicheremo una piccola pausa a esaminare i pezzi avanzati, parti alternative o che abbiamo sostituito, che terremo da parte per un futuro modello o come materiale da recuperare. Nulla va buttato ed il nostro piccolo deposito di pezzi diverrà in breve tempo una preziosa risorsa, specie se trovassimo in un kit parti mal stampare o rovinate, oppure se si è perso un pezzo (può capitare…). Questo ci risparmierà tempo in molti casi, perché ci sono pezzi difficili da autocostruire, come ruote o armi leggere. All’inizio, un piccolo contenitore sarà sufficiente, col crescere della collezione andrà meglio usa serie di cassettini portattrezzi, che consentiranno di avere sempre un minimo d’ordine, sistemando le parti tipo per tipo, come in un piccolo magazzino. Ne entreranno a far parte anche quelli ‘cannibalizzati’ da precedenti realizzazioni, o parti di modelli di altro tipo e scala. Le ruote di carri armati in scala 1:72, per esempio, possono avere molti bulloni, che potremo tagliare via e utilizzare a parte. Anche i carichi supplementari avanzati o provenienti da kit specifici troveranno un loro posto. Altre importanti fonti possono essere pezzi provenienti dal modellismo ferroviario o navale, ma in alcuni casi la nostra fantasia e il nostro spirito di osservazione ci permetteranno di trovare altri pezzi utili e adattabili.

La prima cosa da fare, essenzialmente,  sarà preparare il piano da lavoro, senza di esso e senza una buona disposizione degli attrezzi il nostro lavoro procederebbe molto lento. Quello basico dev’essere di legno o cartone pesante, con un lato di almeno 50-70 cm. L’ ideale sono una vecchia scrivania da ufficio o un tavolo usato; se ne trovano nei mercatini rionali, assieme a comode poltroncine da ufficio a prezzi convenienti. Come dimensioni, quelle ottimali per i tavoli sono un’altezza di almeno 80 – 90  centimetri e un ripiano di almeno 70 x 100 centimetri, per garantirci una posizione comoda durante l’impiego. Sul ripiano mettiamo pure dei fogli di cartoncino chiaro, per creare un buon contrasto con pezzi ed attrezzi e renderli più facilmente individuabili, ma va bene anche una tovaglia cerata da cucina, lo proteggerà e conserverà decente per un periodo molto più lungo, dovendo usare stucchi, adesivi e vernici. Completiamo il nostro ripiano con una lampada alogena oppure da studio, orientabile in modo che il fascio di luce sia incidente e se possibile con la lampada azzurra che stanca meno gli occhi. Se invece avessimo una stanza tutta per noi, installiamo una paio di lampade al neon, una al soffitto ed una che illumini il tavolo di lavoro.

La prima "dritta" è tenere pulito ed in ordine il nostro piccolo laboratorio, avendo un posto per ogni attrezzo e curando che la quantità di trucioli e residui di lavorazione non raggiunga mai il livello di guardia. Per sicurezza, usando qualsiasi attrezzo, sarà indispensabile usare alcune norme ed il buon senso, lavorando sempre con l’attrezzo adatto, con calma, in modo da divertirsi senza farsi del male. Passiamo ora agli attrezzi e ai materiali che ci troveremo a impiegare, tracciando una lista senza pretendere ovviamente di avere un’assoluta completezza. 

- ACQUARAGIA
Ve ne sono di varie miscele , quella classica, in latta (alla resina di pino) grassa e oleosa va bene sia per pulire l’aerografo che i pennelli, attenzione però perché sulla plastica ha un effetto corrosivo. Quella sintetica, più secca e volatilizzabile è un buon diluente per i colori, in second’ordine va bene pure per pulire modelli da impurità ed i pennelli. Quella minerale, per smacchiare gli abiti, è la più raffinata e costosa, ma forse la più pura.
 
- ALCOOL
Quello da pulizie è utile sia per pulire il ripiano di lavoro da macchie di colore o residui di colla, che per diluire i colori acrilici o sverniciare interamente vecchi modelli o parti recuperabili di essi. Basta immergere ciò che ci interessa rivalutare in una bacinella piena e lasciarvelo per una settimana, dopodiché il colore, anche il più tenace, verrà via con una leggerissima passata di cartavetrata, a scaglie.
 
 - BALSA
Legno molto leggero, tenero e poco resistente,  da navimodellismo, utilissimo anche per i nostri diorami o per certi caricamenti di mezzi, è venduto in tavolette, di vari spessori.  
 
- BANCA  DEI  PEZZI
Anche se non è strettamente un attrezzo averne una può essere, col tempo, la condizione ideale per completare con altre parti, carichi o figurini diversi i nostri modelli o, col tempo, camminare verso progetti più ambiziosi. Basta cominciare a conservare, con opportune suddivisioni, un po’ tutte le parti avanzanti dai modelli completati, ma anche pezzi d’ogni sorta, specie se piccoli e compatibili con la scala e con le colle che usiamo. Per esempio, alcune parti di penne a sfera possono riprodurre alberi di trasmissione, condotti di scarico, tubazioni di case e così via. Alcuni dei kits più recenti vengono già messi in commercio con un numero di pezzi opzionali impressionante. Molti pezzi si potranno riciclare cosi’ come sono, altri avranno bisogno comunque di alcune modifiche, comunque prima o poi troveremo un uso per quasi ogni pezzo conservato, a volte anche per diverso tempo. Avremo cominciato a formare una "banca decals" se avremo l’accortezza di conservare tutti i pezzi avanzati dal foglio di decals, alla fine riusciremo ad avere la decal giusta per ogni necessità più strana.  
 
- BISTURI
Sono quelli usati poco tempo fa nella chirurgia. Ci sono porta lame di varie dimensioni e lamette affilatissime di varie forme…da usare per i tagli particolari e la rifilatura. Si trovano in commercio nelle farmacie e dai grossisti di materiale per dentisti e medici.
 
- CALCOLATRICE
E’ indispensabile, per i calcoli di trasformazione dalla realtà alla scala e per stabilire le dimensioni di certi pezzi.
  
- CALIBRO
Consigliamo quello in metallo, che ci aiuterà a misurare spessori di plasticard, metallo, legno e per controllare gli spessori dei kits che di volta in volta avremo in lavorazione per non incorrere in grossolani errori di scala. E’ utile anche per le autocostruzioni o più comunemente nella modifica di alcuni pezzi. 
 
- CARTA
Per appunti sulle conversioni o d’altro genere, serve anche per rifare portelli o per prove propedeutiche ad eventuali trasformazioni. La carta velina – o crespata molto fine - tagliata, arrotolata o piegata ci fornirà ottimi teloni impermeabili per i nostri carri.
 
- CARTA ABRASIVA
Quella comune viene usata per la rifinitura, in particolare dopo la stuccatura. Per il lavoro più basico si usa quella  sgranatura 200-300, per la rifinitura quelle da 400 a 800 e per i lavori di precisione o levigatura quelle sino a 1200 (in pratica, quasi lisce). E’ usabile anche bagnando la parte trattata, in modo che si pieghi senza rompersi ed aumenti il potere abrasivo, se necessario, senza impastarsi con il pulviscolo del materiale asportato.   
 
- CHIODINI
In acciaio ,servono come perni .per aggiustare pezzi svergolati di plastica o per inserire pezzi di trasformazioni di resina al kit.
 
 - COLLE
Quelle specifiche per il modellismo, più che altro uniscono i pezzi con una reazione chimica, o s’interpongono tra le loro facce, unendole indirettamente. La colla più semplice ma più tenace, così, può essere la trielina, (per i pezzi più piccoli ) che scioglie in parte le superfici interessate,
dando un’unione perfetta come un saldatura, ma va usata con un pennello 00 (doppio zero) ed una certa prudenza, dato l’alto potere solvente sulla plastica. Quelle in tubetto hanno essiccatura abbastanza lunga, sono comunque applicabili per mezzo di uno stuzzicadenti o di uno spillo, in determinati punti. Occorre andare un po’ cauti nel farlo, per non trovarsi poi con sbavature ed eccessi.
Invece quelle liquide, ideali per fissare piccoli particolari, sono applicabili con un pennellino sin dove gli altri tipi lo sarebbero con difficoltà, hanno un’essiccazione rapida, che può intralciarne l’efficacia se i pezzi sono grandi. A base di acetone, sono utili per le rifiniture e sciolgono facilmente gli stucchi per plastica. Il pennellino deve essere mantenuto pulito ed il tappo della boccetta rimesso a posto, per evitare l’evaporazione e conservarne tutte le proprietà. Per il resto, basta far attenzione a non abbondare, le gocce sarebbero difficili da togliere se non completamente asciutte e raschiandole via con una lama affilata. Quelle utili ma non specifiche sono quelle a base di cianoacrilato. Indispensabili se si dovesse incollare plastica e metallo, resina e plastica e resina con metallo eccetera, ma anche per unire bene pezzi molto piccoli o con ridotto punto d’appoggio. Da usare in minime quantità , da non inalare vista la tossicità dei loro vapori,  sono pericolose per l’alto grado di incollaggio (incollano le dita e plastica perché cristallizzano quasi subito). Sono da usarsi pertanto con calma e precisione, non si può rimuove il pezzo o spostarlo,  perché in pochi secondi è già attaccato al nostro kit. A differenza di quella per modellismo che fonde le parti, qui la colla fa spessore tra i due pezzi, in caso d’errore di può fare forza con l’aiuto di una vecchia lama; dopo averli separati, poi bisogna pulirli dai residui.  Le confezioni di cianoacrilato presentano frequenti ostruzioni che rischiano di farci perdere tutto il contenuto, l’unico modo per liberare il tubetto è mantenerlo sempre in posizione verticale e con l’imboccatura perfettamente pulita, l’orifizio va tenuto libero inserendo in esso uno spillo, da rimuovere ogni volta che lo useremo e da rimettere in loco subito dopo. Il terzo tipo di colla è quella epossidica, a due componenti. Si compone di due tubetti -  indurente e legante - con tempo di incollaggio dai 5 minuti all’ora. Serve per incollare resina e metallo, avendo una tenacia ed un’elasticità difficilmente eguagliabili, la si usa mescolando i due elementi in parti uguali subito prima dell’uso, in piccole quantità alla volta, ed in strati leggeri. Adesivo eccellente ma col punto debole nella difficoltà di dosaggio e preparazione. Ne esiste una versione ‘rapida’ ma la miscela normale contempla alcune ore. Se fosse quella con incollaggio più lento, possiamo muovere bene i pezzi in fase di fissaggio.  
 
- COMPASSI
Quelli con inserita al posto del portamine, una piccola lama permettono, data la presenza dell’incisore,  di ritagliare in tondo anche plasticard di grosso spessore con molta precisione. Utili anche quelli da disegnatore ma solo per tracciare il tondo.
 
- CONTAGOCCE
Con esso, si diluiscono correttamente le vernici, dosando anche meglio i componenti di eventuali miscele, lo si ricava anche da confezioni usate di medicinali.
 
- CUTTER o TAGLIABALSA
Se ne trovano di vari tipi sia nel campo del disegno che del fai da te, e’importante che non siano troppo massicci, ma con comoda impugnatura ed un’adeguata scorta di lame di ricambio, perché si smussano velocemente anche se di buona qualità. I tipi con porta lame ad innesto sono i più usati.
E’ meglio non scegliere quelli economici, col ferma lame in plastica, poco usabili a lungo stante la scarsa qualità. Con quelli di buona fattura e con lame di buona marca, si staccano i pezzi dalle stampate, rifinendoli da eventuali sbavature, si taglino parti eccetera. La migliore lama per tagliare con uno stacco netto è quella a filo dritto, adatta anche a lavori di sgrossatura, le altre – curve, a
sgorbia, a scalpello,- servono per elaborazioni e trasformazioni. Quella curva a coltello si deve usare nel montaggio, la sua punta non permette la realizzazione di dettagli, ma è abbastanza robusta, l’ideale per le bave di stampo, anche se non proprio nuova. Questo attrezzo è di quelli indispensabili per iniziare al costruire i kit.
 
- ELASTICI
Modesti ma a volte utilissimi, li useremo per tenere in posizione parti da pressare durante l’assemblaggio, per il canonico periodo d’asciugatura dei nostri kits.
 
 - FAZZOLETTI  DI  CARTA
È opportuno averli sottomano, sia nell’assemblaggio che nella verniciatura, per pulire sbavature, schizzi di vernice od altro, ovunque si verifichino.
 
- FILO  DI  RAME
Deve essere sufficientemente sottile, da poter riprodurre maniglie, ganci di vario tipo o cavi di traino. E’ piegabile nelle forme volute con l’aiuto di pinzette, in sostituzione di particolari costruttivi che abbiano limiti di riproduzione in scala. Sul mercato e chiedendo aiuto magari ad un amico elettricista se ne trovano di varie dimensioni. 
 
- FILO DI FERRO O D’ACCIAIO.
Nei negozi di ferramenta si trovano anche matassine di filo di ferro, anche sottile, che servono per gli stessi usi del filo di rame. Per lavori di precisione ed irrobustire certe parti, esiste anche il filo d’acciaio che malgrado le difficoltà di taglio è più robusto è tiene meglio sia gli urti che l’eventuale peso.
 
- FORBICINE
Vanno bene per ritagliare efficacemente dai fogli decals gli elementi che ci interessano, o per ricavare da fogli di plasticard quel che è necessario per eventuali elaborazioni. 
 
- FRESE
La loro applicazione è molto varia, essendo varia la gamma delle loro forme, ampiamente sufficienti a soddisfare ogni nostra necessità, sia per sbozzare superfici, affinarle e rifinirle, o simulare danni, svuotare parti come aperture o coppe dei fari, e così via.
 
- GRAFETTE
Un loro uso ‘classico’ è per congiungere le estremità dei cingoli a nastro dei kits, in modo robusto, veloce e sicuro, praticamente invisibile se poste con cura sotto ad un rullo od all’eventuale copricingolo. In certi casi, saranno delle ottime maniglie da inserire a caldo nella plastica di portelli.
 
- GRAFITE
Non è altro che quella delle matite, basterà sbriciolarne una vecchia per averne una buona riserva. Utilissima per effetti di brillantezza su armi leggere, partendo da un’imprimitura in nero opaco, seguita da una sua applicazione, strofinando con un panno fino ad ottenere un buon risultato accettabile. 
 
- LAMETTE  DA  BARBA
La loro funzione è quella di un buon cutter, ma sono più ‘spendibili’, restano utilissime quando il
taglio da fare debba essere molto rifinito. Va bene anche per sagomare ed incidere, od come se fosse un raschietto oppure in sostituzione della cartavetro.
 
- LEGNO
Pezzi di truciolato o di pannelli tagliati, reperibili negli scarti di qualche mobilificio o da falegnami, sono utili come base d’appoggio per non rovinare il nostro banco. L’importante è che siano spessi almeno un centimetro.
 
- LENTE  DA  INGRANDIMENTO
Va bene sia per distinguere più nitidamente certi particolari in fotografie o disegni, che per dipingere accuratamente i particolari più piccoli od i figurini. E’ meglio sia orientabile e con base a morsetto, ne esistono con luce incorporata. 
 
- LIMETTE
Di varie dimensioni e forme (piatte – tonde – semitonde – triangolari eccetera) sono utili per rifinire i modelli, anche in certi punti non raggiungibili on la carta vetrata. Le migliori sono a grana fine, lunghe circa 15-20 cm, prive di manico ed a varie sezioni. La grana, ovvero la capacità d’asportazione di materiale, deve essere fine, in termini teorici il taglio si definisce dolce. Molto buone quelle da orefice e per i lavori di precisione, lunghe al massimo 6 – 7 cm. Quelle rotonde, a ‘coda di topo’, possono servire ad allargare fori, ma vanno usate con attenzione, vista la loro relativa fragilità verso la punta. Quelle mezze tonde vanno bene per gli incavi, le triangolari per le tacche o le sgrossature, quelle tonde per svasare, e così via. Non hanno, in genere, costi molto elevati e servono nei lavori di precisione stante le piccole dimensioni. Quelle cartonate, da unghie sono da usare per lavori grossi. Ultimamente, tra queste sono disponibili quelle a grana diamantata, indispensabili per rifinire le fotoincisioni. Indispensabili data la loro rigidità per il lavoro di trasformazione, infatti pareggiano  perfettamente plasticard o superfici da risagomare.
 
- LISCIATOIO
È pratico da costruire, basta prendere un blocchetto di legno spesso 1 cm ed incollarvi sopra col vinavil il foglio di carta abrasiva che ci interessa, ben tesa. Lo si usa per lisciare le superfici, correggere profili, pareggiare spessori diversi ma anche per lavori più ‘di fino’. Se ne possono costruire di varie dimensioni e con varie granature di carta abrasiva. Utile averne più d’uno, usando  di volta in volta quello con la carta nuova o più usurata, ne terremo a parte uno solo per la resina, perché il residuo che resta sulla carta dopo l’uso andrà rimosso per evitare di respirarlo. 
 
- "MANI  ADDIZIONALI"  o "EXTRAHANDS"
Sono una coppia di pinzette fissate all’estremità di braccia orientabili e snodate, fissate a loro volta su di una base robusta e stabile. Le pinzette permettono di maneggiare parti piccole, orientandole come meglio ci è utile.
 
- MARTELLETTO
È sufficiente averne uno piccolo, da traforo od a orologiaio, o perlomeno con la superficie battente in gomma, per non danneggiare la plastica.
 
- MASCHERINA
Da indossare quando lavoriamo sui modelli ci proteggerà da inalazioni di colle, vernice e resina, il mercato ormai ne offre di molti tipi, a costi accessibilissimi.
 
- MATITE
Quelle da disegno ,servono per tracciare righe e schizzi , per disegnare pezzi, per segnare sul kit dove vanno i vari pezzettini ecc. Utili anche quando ci sono tanti pezzi, per segnare sopra alle istruzioni quelli man mano usati.
 
- MOLLETTE  PER  BIANCHERIA
Per tenere in posizione le parti, mentre si usa la colla od in altri tipi di lavorazione e per la verniciatura. Più pratiche sono quelle in legno, facilmente pulibili da eventuali residui di colla o vernice.
 
- MORSA
Quella piccola, da tavolo, serve per fissare pezzi da tagliare ed è sempre utile nei lavori che richiedano le mani libere, potendo lavorare comodamente ed a lungo su di un singolo pezzo, quelle da orologiaio hanno ganasce rivestite in materiale antigraffio. E’ importante tenere presente che possiamo rovinare, senza volerlo, un pezzo, per questo è meglio usare del nastro adesivo o del cartoncino tra le ganasce ed il pezzo stesso. Possono servire come fosse un'incudine, per aiutarci a piegare le fotoincisioni o i fogli di rame o piombo. Ce ne sono in commercio anche con ganasce orientabili. 
 
- MORSETTI
Usati in falegnameria, di varie dimensioni, utili quando si devono fermare o lavorare pezzi di  discrete dimensioni.
 
- NASTRO ADESIVO
Può essere usato coi pezzi per unirli, se fosse poco pratico  farlo con altri mezzi. E’ utile anche per le mascherature durante la colorazione e nell’assemblaggio del modello, per controllare la qualità delle giunzioni prima dell’incollaggio. Utile quello biadesivo. Serve per tenere fermi i pezzi mentre li verniciamo o fissarli in lavorazione.
 
- OCCHIALI
Si possono acquistare quelli in farmacia, del tipo ‘usa e getta’ ci proteggeranno gli occhi dai vari pericoli dell’uso di materiali tossici, abbinati o meno alla mascherina per il viso.
 
- OTTONE
Prodotto in fogli, ideale per riprodurre curve precise come i parafanghi o per avere finezza e robustezza assieme. Può essere tagliato con forbici, scartavetrato e limato, passandolo su una fiamma diventa ancora più malleabile. Sarebbe meglio saldarlo per unirlo ad altri materiali, come colla si può usare quella epossidica o cianoacrilica.
 
- OVATTA
Quella per lucidare i metalli è molto utile per lisciare la plastica, togliendo i piccoli segni o graffi dopo che si è usata la carta vetrata o abrasiva.
 
- PASTA LAVAMANI
Si usa per la pulizia del modello in resina prima della lavorazione, e per lavarsi le mani dopo aver usato colla, resina ecc.
 
- PLASTILINA
Riciclabile più volte, serve per tenere i pezzi in lavorazione o durante l’essiccazione dopo la verniciatura.
 
- PENNELLO
Possibilmente con setole morbidissime. Serve per spolverare i modelli e togliere altri materiali dal kit o dalle conversioni in resina.
 
- PINZE
Trovabili dal ferramenta o dall’elettronica di dimensioni circa 7/10  cm, con punte dritte o ricurve. Servono per piegare le fotoincisioni o rifare le maniglie, inserire perni, per piegare o tirare,  per tenere fermi pezzi in lavorazione e così via..
 
- PINZETTE 
Quasi necessarie per posizionare dei pezzi in punti difficili da raggiungere. Sono una specie di ‘terza mano’di grande aiuto nel manovrare i pezzi più piccoli  o per verniciarli. Ne esistono di vari tipi, come quelle a becchi lunghi e piatti o con becchi ad angolo, reperibili in campo medico, filatelico od in quello degli utensili. Ma anche quelle che si trovano per casa vanno già bene.
 
- PIOMBO
Sottoforma di foglio o lamina, aiuta a ricreare dettagli sui mezzi, o cinghie ed indumenti per i figurini dell’equipaggio.
 
- PIROGRAFO
Trattasi di un manico in plastica con un anima in ottone o metallo che con la tensione elettrica surriscalda la parte terminale della punta. Indispensabile per riprodurre le saldature tra le giunzioni delle corazze o dei vari ganci di sollevamento, eccetera. Consigliamo l’acquisto con inserito il regolatore di tensione, ad elevate temperature la plastica cola, invece si deve solo ammorbidire.   
 
- PLASTICA LIQUIDA
È un sistema rapido, sciogliendo dei pezzi di sprue  e pezzi inutilizzati in un vasetto di vetro con della trielina od acetone, per avere in poche ore una plastica in forma liquida, dalla consistenza della gomma arabica che servirà per riempire piccoli fori o stuccare direttamente. Una volta asciutta, la plastica liquida diventa uguale, nella consistenza, alla normale plastica dei kits. Il recipiente va tenuto ben chiuso, non mancando d’aumentare la quantità di diluente ove la colla risultasse troppo densa.
 
 - PLASTICARD
Ha tutte le proprietà o quasi della plastica dei kits, potendo essere lavorato e dipinto allo stesso modo. Ne useremo molto, in quasi tutti i lavori ed in alcuni casi potremo ricorrere a fondi di piattini o vaschette per la gastronomia.  E’ la prima base per le autocostruzioni , ma serve per irrobustire gli scafi,chiudere fessure, per cambiare gli  spessori o rifare quelli fuori scala dei kits, come parafanghi- corazze- porta taniche. Una volta ben trattato può  riprodurre il legno, passandolo con la lame di un seghetto . Scartavetrandolo e lavorando con le fremette può assumere un aspetto rugoso e serve per simulare le piastre danneggiate o le corazze aggiuntive .  Si incolla benissimo con la colla per la plastica ed è facile da tagliare e forare, può essere unito ad altri materiali, con colle epossidiche o cianoacrilato.  Se abbastanza fino è anche formabile a caldo, assicurandolo ad una forma metallica ed immergendo il tutto in acqua bollente per pochi minuti. Sono già pronti, in
commercio, lunghi elementi a fettuccia, in vari spessori (Microstrip), cilindretti (Microrod) ideali per riprodurre tubazioni, corrimani, canne di piccolo calibro e così via,  od in  fogli di varie dimensioni, od elementi in plastica più dura, già a forma di  T od H.
 
- PUNTERUOLO
Ha la funzione della punta da trapano, ma può essere usato senza particolari accessori, per forare la plastica è già funzionale uno spillo di grosso diametro, incastrato a caldo in un supporto di plastica. 
 
- PUNZONI
Ce ne sono di varie forme e misure, anche in acciaio. Posti su di un foglio di plasticard appoggiato a un blocchetto di legno, si ricavano con essi tondini o bulloni, nel caso di quelli di diametro molto più piccolo. Le dime metalliche offerte da alcune ditte permettono di ritagliarsi portelli o sezioni con ottima regolarità dal plasticare, per i pezzi circolari può essere un buon sostituto un compasso.
 
- RIGHELLO METALLICO
Consente di tagliare senza deviazioni col cutter, od incidere da fogli di plasticard elementi necessari al completamento del modello.
 
- SEGHETTO
Basilare quando realizziamo estese modifiche o trasformazioni, per tagliare nettamente certe parti.  E’ consigliabile tagliare sempre almeno uno o due mm all’esterno della linea esatta, stando sempre perpendicolari al pezzo, con l’aiuto di una squadretta che assicurerà una maggiore precisione, rifinendo poi con lime e carta abrasiva. Tagliamo con calma, fermandoci costantemente per assicurarci che stiamo procedendo bene – un pezzo mal tagliato di solito non è poi riparabile. Quelli in uso degli idraulici che sono di piccole dimensioni, per tagliate i tubi, sono da usarsi per tagliare la resina e dove il taglio non abbisogna di più precisione. Quelli per modellismo servono per rifinire e avvicinarsi al taglio perfetto, o su pezzi più piccoli. Quelli da traforo sono troppo fragili ed andranno bene solo per lavori di rifinitura. Sono reperibili anche dischetti circolari di varie dimensioni e dentellatura da montare su apposito supporto col trapanino elettrico, alla sua massima potenza.  
 
- SIRINGHE
Servono come per il contagocce ad aspirare liquidi dalla latta del diluente o dalla confezione dell’alcool la gradazione stampata sulla stessa ci aiuteranno a calibrare perfettamente la dose che ci necessita.
 
- SOLVENTI
C’è una grande varietà di prodotti, più o meno abrasivi, che conviene differenziare a seconda delle qualità, distinguendo fra quelli destinati a diluire e quelli per la semplice pulizia. Le vernici come smalti ed oli si diluiscono con acquaragia sintetica, trementina, olio di lino o petrolio, gli acrilici con acqua come del resto tempere ed acquerelli. Gli attrezzi si possono pulire con la stessa acquaragia o con l’alcool. 
 
- SPATOLE
Ne sono necessarie almeno due, una rigida e di medie dimensioni,(quelle usati dagli imbianchini)   per stendere il materiale che riprodurrà i nostri terreni d’ambientazione, come supporto quando tagliamo il plasticard, come dima ecc. L’altra, più piccola e morbida, da pittore o scultore, per stendere lo stucco.
 
- SPAZZOLINO DA DENTI.
A setole dure, anche non più nuovo, serve per rimuovere residui di resina e pulire le superfici. Ideale per sverniciare i modelli togliendo i residui del colore.
 
- SPILLI
Servono per applicare colla in piccole quantità, al posto giusto e, vantaggiosamente, per tenere fermi i cingoli, o per maneggiare piccole parti nel montaggio o nella verniciatura. Sono utili anche per incidere la plastica od approfondire piccoli solchi, e per levare il colore da fessure ed angoli.
 
- SPRUE FILATO A CALDO
Fra le cose da conservare di un kit, anche se in numero limitato, vi sono i supporti dai quali abbiamo staccato i vari pezzi, purchè siano tratti lunghi e dritti; sono preziosi per dettagliare il modello stesso, filandoli a caldo sopra una fiamma Otterremo così aste e perni, antenne radio, tubi di scarico ed altro. Perdendo solo mezz’ora ogni tanto, potremo ottenerne una buona riserva, sufficiente per alcuni mesi di lavoro.
 
- SQUADRE
Da disegnatore,  per misurare e tracciare righe, allineare pezzi o tenere in dima parti in incollaggio. Ideali per tenere diritte le maglie di cingolo durante l’asciugatura o montaggio. Quelle tonde sono utili in caso di aiuto per rifare le dimensioni di portelli con quella forma.
 
- STUCCO
Quello per plastica serve corregge piccole imprecisioni, chiude fessure e fori, rifinisce le giunzioni od addirittura riproduce alcuni dettagli. Può essere usato anche per grandi lavori di trasformazione o ricostruzione richiesti dalle elaborazioni. Per i difetti di stampaggio e ritiri, si usa per riempimento, magari con una spatolina metallica a punta arrotondata e flessibile, o con una vecchia lama, uno stecchino e così via, a leggeri strati, ripetendo l’applicazione e lisciando con cura la superficie trattata. Le linee di giunzione possono essere eliminate limando poi l’eccesso dopo averlo fatto ben asciugare. Mentre asciuga si ritira leggermente, perciò se ne deve sempre applicare un po’ più del dovuto per avere una buona copertura. Attenzione se si dovesse costruire pezzi grandi, aumentando la quantità lo stucco essicca più lentamente, tendendo così a rompersi più facilmente. Ce n’è a più o meno rapida essiccazione, secondo il tipo di lavori da fare, la finitura superficiale però, per quanto rifinita, rimane uguale a quella della plastica circostante solo a prima vista. Una volta pulita la zona stuccata, la verniceremo con del colore opaco chiaro, per farne risaltare ulteriori imperfezioni, da correggere prima della verniciatura finale, se non si facesse così le parti stuccate si scorgerebbero ancora attraverso la vernice. 
Quello epossidico è venduto in sticks di uguali proporzioni, unibili in modo da formare uno stucco consistente come l’argilla, ideale per costruire forme difficili da scolpire in plastica. Indurisce in quasi due ore, è solubile in acqua e con un po’ d’essa acquista in adesività, serve per turare fori sulla resina e sul metalli.
 
- STUZZICADENTI
Possono reggere determinati pezzi, per esempio ruote o rulli, nella fase di preparazione o verniciatura, basta infilare l’altra estremità in un pezzo di polistirolo che faccia da supporto. Sono d’aiuto anche per stendere colla o stucco.
 
- TRACCIATORE
Utilissimo per incidere, con l’aiuto di un righello metallico dime, pannelli e portelli ma anche per togliere spessore da pezzi di forma particolare. 
 
- TRAPANINO ELETTRICO
Altro attrezzo indispensabile, meglio sceglierlo abbastanza piccolo da poter stare in una mano, ci eviteremo di stancarla troppo. Nella confezione di solito , viene fornito col mandrino svitabile che ospita 4  differenti porta punte di varie  dimensione , che una volta inseriti  e stretti fissano  i vari accessori. Viene anche  fornita  una piccola dotazione di fresette. Ha molteplici applicazioni, sia per forare (con le punte da trapano da 0.03 in su)  che con le varie fresette per trattare le superfici in modo che siano più ruvide (effetto fusione). Ma serve anche per svuotare fari, snellire pezzi .o per scavare o rendere frastagliata un bordo piastra. Assicurarsi che sia dotato di regolatore di velocità, per non rovinare la plastica col calore sviluppato con l’attrito delle velocità più alte. Per trovare altre fresette, dai fornitori di dentisti ce se sono di tanti tipi: diamantate, con codolo piccolo, servono per i lavori più "di fino", in acciaio, con codolo medio, di varie forme – a stella, tonde, rastremate, servono per svuotare e rifinire. A pasta di ceramica, con codolo grosso, per i lavori grossi. Negli accessori troviamo invece utili, quelle con la carta vetrata già su un tondino.
La colonna, che trattiene il trapano ed è utile per fare tanti fori, il codolo flessibile per arrivare dove la fresa vincolata dalla rigidità del trapano non arriva.
 
- TRAPANO A MANO
Attrezzo uguale al trapanino, che però sfrutta l’energia muscolare, è l’ideale quando usiamo le costose punte di piccole dimensioni, girandole a mano si possono fare i fori nella plastica con precisione,  evitando di romperle.
 
- TRIELINA
Di non facile reperibilità, in quanto resa illegale per un cambio di normativa, è un liquido che serve per smacchiare i tessuti. Utilissimo per fondere la plastica e negli incollaggi di piccole parti, è comunque una ‘saldatura’ controllabile bagnando poi il pezzo con acqua. Indispensabile per trattare le parti lisce della plastica se c’è da renderle più ruvide per l’effetto fusione, usandone poca, stesa con un vecchio pennello.
 
- TRONCHESINE
Molto utili, quelli da elettronica in acciaio durano tanto e tagliano bene, discreti quelli da elettricista, quelli per unghie servono in casi di emergenza, perchè, a meno che non siano di alta qualità, si rovinano facilmente. Comunque servono, come il cutter, per staccare i pezzi dallo sprue senza sforzi , tranciare spilli,  spezzare la plastica o tranciare pezzi robusti. 
 
- VASETTI DI VETRO.
Si recuperano dal campo della gastronomia, il tipo per sottoaceti con capsula sono ideali per contenere piccole quantità di liquidi, come il diluente, oppure vinavil o plastica liquida.
 
- VINAVIL
Colla reperibilissima, serve per chiudere microscopiche fessure. Miscelata con della comune tempera colorata e spalmata su un pezzo, fa da protezione quando verniciamo. Una volta che il colore è essiccato, con la punta di un cutter solleviamo la pellicina ed ecco,  il lavoro è salvo.
Rimane indispensabile nell’incollaggio del legno e della carta ed è molto utile per unire pezzi
trasparenti.
 

3 –QUEL CHE SERVE PER VERNICIARE  (materiali, attrezzi e tecniche di applicazione)

Agli albori, a volte non si prevedeva la colorazione del modello, non avendo, per la verità, molti materiali adatti allo scopo. Molti si cimentavano all’opera ricorrendo a vernici non destinate all’uso specifico, con risultati facilmente immaginabili. E’ vero che ormai i modelli sono stampati in colori già vicini a quelli militari, ma non si può più ammettere un aspetto così assurdo. Colorare un modello vuol dire molto di più che coprirlo con una vernice, stesa più o meno abilmente, essa ha lo scopo importante di trasformare il materiale del kit in quelli anche più vari e di riprodurre, sino ad un certo punto, anche l’età ed il tipo d’uso di un mezzo. La sottile pellicola della vernice trasforma un anonimo assieme di pezzi in un mezzo già personalizzato, vista in questa luce la colorazione assume una capitale importanza nelle varie fasi di preparazione di un modello.

Oggi ci sono ormai gamme molto vaste di vernici, riproducenti abbastanza realisticamente toni e colori dei mezzi originali ai quali ci rifacciamo. Con un po’ d’impegno, supereremo l’inesperienza o la cattiva conoscenza delle varie tecniche, arrivando alle premesse di buoni risultati, che restano alla portata di tutti. 

La verniciatura è da impostare attentamente: le stuccature, se risulteranno estese, vanno dipinte in una tinta vicina a quella del kit, la differenza di colore potrebbe evidenziarsi troppo con la successiva prima mano di colore. Si può coprire tutto, invece, con una leggera mano di grigio, per accorgersi di quelle eventualmente mal eseguite e per partire da una superficie già trattata. Un altro tipo di verniciatura preventiva è quello riguardante le parti interne, se presenti, perché una volta assemblato il modello alcuni particolari sarebbero difficili da raggiungere. Per il resto, i corazzati non sempre sono difficili da verniciare, perché spesso hanno una sola tonalità di colore. Mescolando  le tre tinte fondamentali – rosso, giallo, blu – otterremo quelli secondari – verde – arancio – violetto – e così via, si ottengono tutti i colori dello spettro, con le varie gradazioni. E’ utile ricordarlo, ogni tanto, perché anche se esistono molte confezioni per i più svariati colori, è probabile che prima o poi ce ne servirà uno inconsueto o particolare, che ancora non esiste nella produzione commerciale. Inoltre, per scurire il colore correttamente si usano i suoi complementari, adoperando il nero di solito si avrà un aspetto grigiastro o verdastro e meno intenso ma si può rimediare con un po’ di  rosso. E’ diffusa l’idea d’usare il bianco per schiarire i colori, ma il procedimento non sempre è adatto, per esempio il rosso diverrebbe un rosa e sarebbe meglio usare un giallo, un crema od un verde chiarissimo. Il risultato, se non sarà quasi perfetto, sarà perché i colori potrebbero essere non puri nei pigmenti, alcune volte questo ci verrà utile ad ottenere alcune sfumature diverse. 

Agli inizi, ci si può far confondere dalle solite controversie sulla tonalità ‘esatta’ di un colore. Non esistendo interpretazioni assolute da seguire o dogmi indiscutibili, è meglio esaminare più fonti possibili (fotografie, tavole, chips di colore, cataloghi ufficiali eccetera), tralasciando quelle più fuorvianti come i colori dei carri nei musei ed i ricordi, per forza di cose non precisi,  dei reduci. Formiamoci un’interpretazione personale e partendo da quella raramente saremo troppo lontani dalla verità, questo senza troppa spesa e senza avere già dall’inizio modelli non corretti. Chiedere a modellisti più esperti è sempre utile, verranno fuori gioie e dolori di una lunga elaborazione, durante la quale si sono sviluppate comunque ricette e scoperti alcuni – pochi – punti fermi.

Per esempio, qualsiasi colore, con le intemperie, può cambiare in modi diversi, perdendo tono o facendo affiorare l’uno o l’altro dei suoi pigmenti. L’occhio umano non reagisce allo stesso modo al colore, dipende dalle dimensioni dei soggetti e dalla distanza fra essi e l’osservatore. Il colore stesso non sempre era uniforme ed il suo aspetto dipendeva anche dal modo col quale era stato applicato sui mezzi. Molte volte ci verrà da pensare, dando le prime pennellate ad un modello, che il colore scelto sia troppo scuro. Tanto più piccola è la parte e tanto più il colore ci sembrerà così. Non è una mera impressione, l’avevano già scoperto i pittori del Rinascimento che gli oggetti più vicini hanno colori che sembrano più vivi di quelli, dello stesso colore, più lontani. L’atmosfera fa da filtro azzurro, con l’umidità messa in evidenza dalla luce, è una specie di "filtro" che attenua i colori, rendendoli meno vivi e con una dominante leggermente azzurrina. L’occhio, abituato a questi cambiamenti d’intensità dei colori in base alla distanza, avverte una stonatura vedendo in un modello piccolo un qualcosa che ha la stessa valenza di un oggetto lontano, ma con un colore ‘sbagliato’, perciò schiarire un po’ i colori non è una mania, ed aggiungerà un altro tocco di realismo. Con tutti questi fattori in gioco, non resta che farsi guidare ogni volta da un po’ di buonsenso.

Un notevole lavoro al quale ci si deve dedicare è quello di districarsi fra le sigle delle case costruttrici, voler definire un certo colore col suo nome ufficiale è come dire che il cielo è azzurro, punto e basta e vi sono oggettive difficoltà ad individuare almeno i colori – base. Si deve comunque tener conto della possibilità di associare colori con basi chimiche diverse, non è stravaganza cercare nuovi sbocchi e sfruttare le varie caratteristiche per questo o quell’effetto. Di vernici ne esistono di innumerevoli tipi e varietà, ed impareremo a dosarli in base alla documentazione ma anche al "colpo d’occhio".

Gli SMALTI presentano forse la gamma più ampia, in modo un po’ diverso a seconda che siano destinati al pennello od all’aerografo, la differenza è nella finezza del pigmento. A finitura opaca, semilucida o lucida, di solito coprono bene, ad eccezione del bianco e delle tinte molto chiare. Si devono usare possibilmente nuovi e senza grumi, verificandone l’uniformità prima di versarli nell’aerografo. Il loro diluente è quello specifico della stessa marca o l’acquaragia, se si usassero diluenti poco adatti, si possono creare delle bollicine simili a polvere, in questo caso rimuoveremo il colore essiccato con cura. Gli ACRILICI sono simili, per densità, agli smalti ma sono diluiti in una base cremosa solubile in acqua od alcool. A finitura opaca o semilucida, per diluente si usa l’acqua o l’alcool etilico. La loro capacità coprente è inferiore e quindi servono più mani, ma asciugano più rapidamente. Ad aerografo, la loro densità non permette di ridurre molto il getto ed è possibile arrivare ad un massimo di 1 o 2 mm, trattandosi di colori creati per il disegno. Per questo motivo esiste una base incolore, utile quando si vuole dipingere colori più diluiti del solito, senza che perdano campo. Grazie al contenuto d’alcool, gli acrilici sopportano bene, una volta essiccati, i trattamenti successivi. Una seconda mano potrebbe risultare con grumi e spessore, difficilmente rimuovibili senza rovinare l’opacità.

Col diffondersi dei colori a smalto, sono comparsi anche i classici barattolini, ancora molto presenti sui nostri tavoli di lavoro. I colori a smalto in media vanno sempre bene, anche come tinta di fondo dalla quale partire con mimetizzazioni ad acrilico. E’ opportuno tenerli in un luogo apposito, chiudendoli bene. In essi, il colore va ben mescolato prima dell’uso, per avere sempre tinte opache, coprenti e con essiccazione perfetta. Se la fluidità tendesse a diminuire, si aggiunge un po’ di diluente o della comune acquaragia, rimescolando abbastanza a lungo ed inserendo nei barattolini qualche piombino da pesca, per mescolare meglio.

Per arrivare a buoni livelli qualitativi, occorrono dei buoni pennelli, preferibilmente a setole morbide, sia a punta tonda che a spatola. Sono da tenere sempre in ordine, non mescolando mai i colori direttamente con essi, pulendoli bene ogni volta e subito dopo l’uso, col diluente o con l’acquaragia, asciugandoli con uno straccetto morbido o con un fazzolettino di carta. Vanno poi disposti in un loro contenitore, senza schiacciare le setole sul fondo ma premendolo sulle pareti laterali per non piegare la punta. Prima di riporli, preferibilmente con la punta in alto, ruotiamoli su di un foglietto di carta, per farli restare debitamente appuntiti. Proteggiamo le punte, almeno per i tipi ‘di marca’con appositi cappucci di plastica. Forse tutte queste cure potranno sembrare eccessive, ma un uso oculato li farà durare più a lungo, ammortizzando eventuali maggiori costi.

Impratichirsi col pennello, tra l’altro, verrà molto utile anche in altri settori, come la realizzazione dell’equipaggio e per le ambientazioni ed i diorami. Il segreto è imparare ad usare la giusta quantità di colore, troppo poco non coprirebbe adeguatamente, lasciando inoltre anche i segni delle pennellate, troppo porterebbe a coprire col colore anche quel che non si deve. Per togliere l’eccesso di vernice che dovesse finire in punti non voluti, conviene tenere a portata di mano uno straccetto morbido od un fazzolettino di carta. Si comincia coi colori chiari e si passa poi a quelli scuri, applicando le tinte poco per volta e lasciando asciugare molto bene le mani di vernice. Alcuni colori chiari, sopra la plastica eventualmente scura, non copriranno bene con una sola mano, anche se avremo fatto il possibile. E’ sempre meglio applicare due mani leggere, con un intervallo, che una sola ma di colore troppo denso. Comunque, con la giusta consistenza, il colore si porterà bene, coprendo senza problemi già con la prima mano. Facendo delle prove su pezzi sfusi di plastica o su cartoncino, potremo già effettuare le correzioni necessarie. Nel verniciare, è meglio seguire il senso delle maggiori dimensioni del kit, senza badare ad eventuali segni di pennellate, che in genere spariranno con l’asciugatura. A larghe falcate, spargeremo il colore lungo le superfici, prima in un senso e poi nell’altro. Bisognerà a volte dipingere per prime la parti del treno di rotolamento più nascoste, perché poi ad un certo punto sarebbero poco raggiungibili.

Non lesiniamo mai sui pennelli, che quando costano poco facilmente poi dureranno poco o, peggio, peggioreranno i nostri modelli. Pennelli di pregio dureranno molto di più di quelli scadenti, oltre a garantire risultati che essi non daranno mai. All’inizio basterà averne uno doppio zero, un  n.1 ed un n.2, è utile averne anche uno a spatola ed ancora di più uno da trucco, che riuscirà a dipingere i particolari come un più costoso triplo zero. Un pennello n.3 va bene per quasi tutti gli usi ed uno un po’ più grande può essere utile per le grandi superfici ma non è indispensabile. Le parti piatte andrebbero verniciate con un tipo più largo, mentre uno a punta tonda, che procede a spicchi, lavorerà bene in ogni direzione. Per gli effetti di luce e l’invecchiamento, ne servono di rigidi in setola di maiale, se occorrerà dipingere superfici corrugate occorrerà un pennello a punta, non piatto. Man mano che i pennelli diventano vecchi non sono da buttare, anzi, funzioneranno ancora sulle superfici estese, specie se di buona qualità. Un tempo accessibile solo ai "professionisti", oggi l’aeropenna è alla portata di tutti, a costi ridotti e con prestazioni migliorate, ormai insostituibile per avere un ottimo grado di finitura del colore di base, e per mimetizzazioni che siano altamente realistiche. Inoltre, quando saremo più esperti, con essa potremo imitare la polvere e lo sporco o verniciare pure il terreno od elementi di diorami, aumenteremo anche le nostre possibilità, senza caricare la vernice, quando ci fosse da pulire il ripiano di lavoro o levare polvere dai modelli costruiti da tempo. Si può classificare nelle due categorie ad azione singola o doppia, ma il principio-base è sempre quello della nebulizzazione del flusso di colore con un getto d’aria sotto pressione, in corrispondenza del puntale. L’apparato è costituito essenzialmente da un ‘corpo’ miscelatore da impugnarsi, al quale sono applicati un serbatoio per il colore e l’innesto della tubazione per l’aria compressa; altri dispositivi più o meno semplificati consentono diverse regolazioni. I compressori in commercio sono quelli per hobby generico, rumorosi ed ingombranti ma poco costosi, quelli silenziati sono decisamente più costosi ma caricano velocemente e non emettendo quasi nessun rumore restano ideali per lavorare durante le ore notturne e senza disturbare nessuno.

L’aerografo ad azione singola è senza dubbio più economico ma ha più di un limite, il primo è la maggior quantità di colore che emette, nonostante la regolazione dell’aria e del dosaggio d’uscita della vernice. E’ perciò più adatto per dare la prima mano di colore, anche se con alcuni si possono realizzare strisce mimetiche  da 2 – 3 mm di larghezza. Può essere la nostra prima aeropenna, per familiarizzare con questo tipo di strumento di lavoro. Quelli a doppia azione sono concepiti per lavori più raffinati, perciò sono più complessi e meno facili da maneggiare rispetto a quelli ad azione singola, però una volta conosciuti, offrono possibilità molto più ampie. Con una levetta si controlla sia l’uscita dell’aria  - con un movimento a pressione verso il basso - che quella della vernice, con un movimento orizzontale che sposta l’ago che regola l’apporto di colore. Le diverse possibilità stanno proprio in questa duplice azione, nella quale trovare l’equilibrio tra l’immissione d’aria e quella di vernice.

L’uso dell’aerografo non è eccessivamente difficile, ma occorre abbastanza pratica per un buon risultato. In primis, le vernici, specie se scure, devono essere diluite molto, con proporzioni di diluente pari ad almeno il 35 – 40 % per le penne a gravità ed al 55 % per quelle ad aspirazione. E’ consigliabile usare diluente della stessa marca dei colori usati ed è molto importante ottenere una miscela esente da grumi di colore od elementi estranei, che potrebbero ostruire l’ugello, specie nelle penne ad aspirazione. La pressione da usare dipende dal tipo di aeropenna, per quelle collegate al compressore non si dovrebbe mai uscire dai limiti 1.25 – 1.75 atmosfere, il valore più alto è per il tipo ad aspirazione.

Le tecniche d’uso sono molte, probabilmente una per ogni modellista, dopo i primi passi svilupperemo quella adatta per i risultati che ci prefiggiamo e già al terzo modello avremo raggiunto un grado di preparazione sufficiente. L’aeropenna deve essere fatta scorrere lentamente e costantemente sulle superfici da verniciare, senza fermarsi troppo sullo stesso punto, con l’accortezza d’iniziare a spruzzare prima d’arrivare alla zona da colorare e terminare dopo averla completata. La vernice si depositerà in uno strato sottilissimo, ed almeno le prime volte avremo la sensazione che il colore non copra e tenderemo ad applicarne ancora. Se proprio la prima mano non fosse sufficiente, c’è solo da aspettare l’asciugatura completa e ripetere l’operazione, specie usando colori chiari, una seconda passata a distanza di tempo è preferibile e due strati sottili coprono sempre meglio di uno grossolano. . Per le prime prove, spruzziamo su alcuni vecchi pezzi o ritagli di cartoncino, in modo da poter regolare bene la pressione e controllare già la resa del colore.

Durante la verniciatura, normalmente la distanza da aeropenna a modello, anche se la superficie di esso fosse irregolare,  sarà tra i 15 ed i 30 cm, a seconda del tipo di vernice, dell’apertura dell’ugello e delle dimensioni delle zone da dipingere, l’inclinazione migliore sarà a 45°. Per particolari tipi di colorazione occorrerà porla più vicina, stringendo l’ugello per avere un getto più sottile. L’ideale sarebbe che il colore asciughi già quasi mentre si deposita sulle varie parti. Gli acrilici sono i colori più adatti per l’aeropenna, coprono bene anche parti piccole ed asciugano in tempi strettissimi. Certi dettagli, per finire, resteranno da ritoccare a pennello o, appena avremo più pratica, da verniciare a parte, senza insistere col colore per non nascondere i più minuti.

Ricordiamoci di usare l’aeropenna in ambienti ben areati o, se possibile, all’aperto, data la vaporizzazione della vernice che non è mai salubre, anzi è consigliabile indossare una mascherina, ogni volta che la verniciatura si promulgasse o se soffrissimo di allergie. In ogni caso bisogna coprire con fogli di giornale il piano di verniciatura e le zone limitrofe, su di essi mettere un fondo formato da due cartoni ad angolo, uniti con robusto nastro adesivo e coperti da un terzo, a mò di tettoia. Le dimensioni consigliate sono ovviamente da considerarsi più grandi del modello, ma volendo avere u margine di sicurezza si possono indicare in 60 x 40 cm, quelle del tetto verranno di conseguenza. E’ una costruzione provvisoria, rapida da mettere in piedi, ma efficace come schermo alla vernice,  perché tratterrà gran parte del colore nebulizzato per aria.

Quando si cambia la tinta, è necessario staccare e svuotare il contenitore, riempirlo di diluente e spruzzare su di un foglio di carta fino a quando non esce più colore. Dopo aver ricaricato con la nuova vernice, fare qualche spruzzo di prova per eliminare eventuale diluente rimasto in circolo e si ricomincia.

La manutenzione, per la maggior parte, è incentrabile sull’evitare che il colore si essicchi all’interno dell’apparecchio, rischiando di peggiorare od impedire una corretta nebulizzazione nel successivo impiego di un’altra vernice. Perciò, per evitare danni anche irreparabili, una cura particolare dev’essere impiegata per la vera pulizia dell’aeropenna, non si deve mai lasciarla con residui di colore per lungo tempo, a verniciatura ultimata. Vuotato il colore, è opportuno effettuare una prima pulizia caricando diluente, spruzzandolo ed a tratti chiudendo la bocca dell’aeropenna con un tamponino per favorire il rigurgito, che aiuterà una pulizia interna dei condotti. Smonteremo poi completamente i vari componenti, sistemandoli in un contenitore pieno di diluente o di semplice acquaragia,  con un apposito pennellino, parte per parte laviamo molto bene, l’ago, in puntale  e il diffusore. Una volta lavati immergiamoli in acquaragia grassa o con dell’olio sintetico lubrificante ,oliamo bene l’ago facendo attenzione non piegarlo. Laviamo bene il corpo dell’aereografo e quindi rimontiamolo. Un’eventuale ultima spruzzata di diluente su di un foglio bianco, per essere sicuri che non ci sia più il minimo grumo di colore e l’aeropenna può essere riposta. In specie gli acrilici polimerizzano velocemente, formando crosticine altrimenti difficili da eliminare. Una mezz’ora d’accurata pulizia ci farà sempre risparmiare molto, perché un’aeropenna ostruita o non in perfette condizioni si traduce poi in dolori per il nostro portafoglio. 

Anche se ci siamo dati da fare, alcune volte il risultato ottenuto non ci sembra accettabile, può succedere che un colore sia in cattivo stato e che ci troveremo di fronte ad effetti non previsti. Occorrerà così tornare allo stato precedente del modello, perché la plastica o resina tornino completamente puliti da vernice e da prodotti di finitura si può ricorrere a diversi sistemi. Per certi pezzi si può ricorrere a carta vetrata fine e molti risciacqui in alcol denaturato per togliere dai dettagli la vernice. Quasi tutte le marche offrono, accanto alla loro gamma di colori, anche prodotti svernicianti compatibili con essi, la maggior parte si deve diluire a seconda del materiale ove applicarli. I prodotti possono essere tossici ed aggressivi, per cui il loro uso è sconsigliabile ai meno esperti e comunque sono da adoperarsi in luoghi aerati e da tenere al sicuro. 

 

4 - LA  DOCUMENTAZIONE 

Di pari passo con la crescita della nostra attrezzatura, o meglio prima ancora di acquisirne i primi elementi, c’è da avere un minimo di documentazione. Non si può completare nessun modello senza avere un’idea, anche vaga, delle sue caratteristiche tecniche e della sua storia operativa. Accenneremo più volte alla necessità di una buona documentazione per completare un modello che non sia generico e che abbia un buon realismo. Anche un minimo di documentazione, venuta fuori magari dopo anni, è sufficiente a ridare impulso a dei progetti abbandonati. Le fonti possono essere le più svariate, anche se a volte non sarà semplice mettere assieme le tessere del mosaico – troppa documentazione può anche generare perplessità, saremo almeno certi di aver fatto al meglio possibile. Un po’ di tutto può essere usato per focalizzare un particolare mezzo in un particolare contesto con gli elementi più utili. Essere ben informati è nella natura del modellista serio, essendo il modellismo anche una rappresentazione della realtà, che ha bisogno a monte di particolari e dettagli riconoscibili. Chi, pur con entusiasmo, volesse rifinire un modello solo con le semplici istruzioni e senza servirsi del potente mezzo della documentazione, finirà con l’avere un modello svalutato in partenza, i pezzi saranno serviti a mettere assieme una sorta di soprammobile, che anche al profano rivelerà difetti e brutture. Invece, cercando di approfondire, prima ancora di aprire la scatola e staccare i primi pezzi porrà le basi per non incappare in gaffes tecnico-storiche.

È importante anche conoscere almeno un po’ la storia di quegli anni cruciali e qualcuno sarà portato, proprio dallo studio dei corazzati, ad approfondimenti in altri campi. Ogni modellista sarà in grado, col tempo, d’evitare incongruenze storiche sempre in agguato, non ambientando più il suo Panzer I del 1939 nelle Ardenne. Reperire documentazione è un fattore importante, può essere costoso ma impareremo presto a concentrarci sull’essenziale. Sino a dove si possa spingere la nostra ricerca lo decideremo noi, anche se la ricerca pura ha un suo fascino. Per ottenere risultati sicuri è sempre meglio esaminare analiticamente il materiale che incontreremo, se possibile.

I libri sono ancora una delle fonti più accessibili ed a volte quella più importante. Oggi non mancano  testi specializzati, provenienti anche da editorie che in poco tempo hanno fatto passi da gigante, come quelle dell’Europa orientale. Tra la classica tipologia, per i nostri scopi valgono di più i testi con più disegni e fotografie, specie se chiare ed anche  di mezzi operativi. Non è proprio necessario avere un’intera biblioteca su ogni mezzo che intendessimo costruire.  Realisticamente, specializzarsi in una particolare classe di mezzi od occuparsi solo di un fronte operativo può aiutarci a non dover tenere sottomano libri in quantità sterminata. Più che il numero, del resto, sarà importante la loro qualità, per esempio libri su interi gruppi di mezzi o peggio ancora su tutti i carri di un certo esercito saranno sempre meno utili di un qualsiasi buon libro fotografico riguardante un solo carro od una sola campagna. Infatti, fotografie d’epoca e di dettagli sono il miglior aiuto per iniziare un buon progetto modellistico e quelle dedicate alla vita operativa danno sempre un’idea precisa ed utile di come un mezzo appariva dopo un po’ di tempo di servizio all’aperto. La ricerca iconografica è a volte essenziale, se si tratta di mezzi prodotti in pochi esemplari. Anche i disegni tecnici in scala sono utilissimi, perché non è detto che tutti si abbia occhio per le fotografie, bisogna ammettere però che una loro attenta visualizzazione ci farà riscontrare moltissimi dettagli. I disegnatori più seri, e finalmente non ne mancano da noi, sono ormai in grado di ricostruire benissimo tutto un mezzo, il che ci aiuterà molto in caso di fotografie con pochi dettagli od a controllare gli stessi. La loro utilità è maggiore nel caso si voglia modificare la versione del kit, Se la scala fosse diversa dalla 1 a 35, ormai non è più un difficile problema ridurli od ingrandirli secondo i casi.

Ai classici libretti della serie “In action” che furono i capostipiti, si sono aggiunte da un pò di tempo varie altre serie che propongono un buon testo accompagnato da interessanti fotografie, anche di mezzi veri, ed utili disegni di buona fattura, sono quelle polacche (Wydawnictwo MILITARIA ed Armor PotoGallery) americane (Darlington) tedesche (Nuts & Bolts) e persino russe (Armada). I manuali tecnici d’epoca sono difficili da trovare, ma restano una fonte primaria, perché spiegano molto chiaramente non solo come erano fatte certe parti, ma ne descrivono anche il funzionamento. Attenzione, perché anche i corazzati hanno un loro linguaggio tecnico, in gran parte formato mescolando termini provenienti dalla marineria, vocaboli industriali, classificazioni d’artiglieria eccetera.

Le storie di reparti, anche minori, sono a volte l’unico modo per conoscere veramente contrassegni corretti e precise ambientazioni, se è vero che le foto contenute non sono mai tantissime restano veramente valide. In ogni caso, è consigliabile acquistare un modellino in meno ed un libro in più, che ci aiuterà a realizzare modellini più originali, avremo più soddisfazione ed il nostro interesse si manterrà vivo.

 I periodici, come le riviste a tiratura nazionale, che grazie ad un costante impegno, partendo dai primi tentativi degli anni ’70 (MODELLI MILITARI, MODELLISMO MILITARE, WARRIOR, STORIA MODELLISMO) ed alcune fasi di transizione (NONSOLOHOBBY, TUTTOMODELLISMO) sono sbocciate più di recente ai pilastri CORAZZATI, MODELTIME e STEEL ART, od i bollettini prettamente associativi (come quelli del CMPR, CRS,  GMT ed IPMS italiani) sono anch’essi un altro perno della documentazione. Le riviste ormai sono tutte a colori e permettono di conoscere meglio il lavoro fatto su diversi tipi di modelli, con le tecniche più avanzate di modellisti di vaglia. Anche se non hanno più la vitalità e lo stile di una volta, quando erano quasi l’unico riferimento di un certo peso un po’ per tutti, sono ancora un buon veicolo informativo anche su nuovi prodotti, mostre e concorsi e così via. I bollettini di gruppi modellistici, che per ovvie ragioni di costo sono prevalentemente stampati in bianco e nero offrono però spesso spunti veramente ghiotti, ancora in grado di risvegliare l’entusiasmo. E’ il vantaggio dell’essere preparati da modellisti che pensano ad altri modellisti, trattando meno argomenti e meno novità, ma in modo approfondito e non legato alla mode del momento.

Anche l’incontro coi mezzi reali può fare la differenza tra un modello di buona fattura ma ancora troppo ‘da scatola’ ed un modello che si nota. I Musei di corazzati, specie se li abbiamo vicini, valgono veramente la pena di veri e propri ‘safari’ fotografici, uno solo di essi fornisce materiale per mesi. I Musei più seri hanno un servizio di riproduzione di fotografie storiche ed in genere rispondono per correttezza ad ogni richiesta, anche se a volte in tempi lunghi. A volte sono proprio una specie di ultima spiaggia, nel senso che custodiscono ancora l’unico ed ultimo esemplare del suo genere. A richiesta, le fotografie si possono scattare da noi stessi e se sarà possibile, motivi di sicurezza a parte, salire od entrare sui mezzi, si potranno avere dettagli anche delle parti interne o più nascoste. Nel caso di raccolte private, in genere si tratta di mezzi ruotati, non meno interessanti, con le notevoli eccezioni di almeno due raccolte a Bologna ed in Romagna. In ogni caso, ricordiamoci di ‘affrontare’ i mezzi con occhio critico, perché potrebbero comunque presentare manipolazioni, colorazioni incorrette o peggio, ricostruzioni poco fedeli. Anche visite a Reparti operativi possono essere una grande fonte d’informazioni, più di una volta nelle caserme c’è un minimo di collezione storica ed in altre, in mancanza di questa, ci si trova a tu per tu comunque con un qualche residuato, abbandonato in un qualche angolo ma ancora buono per noi. Da un po’ d’anni a questa parte, si deve dare atto al nostro Esercito di capire ed accogliere i modellisti per quello che sono, né spie né bambinoni ma civili che hanno passione per argomenti militari e che, con le loro riproduzioni, aiutano a conservare le tradizioni di tutto un mondo che ormai è Storia e sprone per il futuro. Per fotografare i mezzi senza troppi problemi il primo consiglio è prepararsi il giorno prima, stando il più leggeri possibile, perché dopo un po’, ogni cosa diventa più pesante. Potremo controllare che tutto funzioni perfettamente, per evitare spiacevoli sorprese. Oltre alla macchina, bastano un set di pulizia (pennellino, fazzolettini di carta) per togliere subito eventuale polvere o sporco prima che faccia danni anche rilevanti, un cavalletto per fronteggiare situazioni particolari, degli stracci per evitare di sporcarsi nel caso di ‘incontri ravvicinati’ con le parti interne del mezzo, un blocco appunti per segnarsi le particolarità del mezzo che stiamo inquadrando, e magari un bel disegno a quattro viste dello stesso per segnarvi i vari dettagli fatti e da fare. Per il resto, sono l’occhio e la mente del fotografo che determinano i risultati. Con l’esperienza, impareremo a cambiare le inquadrature, dando tagli migliori alle immagini. Evitando di tenere la macchina di traverso – un lato dell’immagine deve essere sempre parallelo al terreno – non sbaglieremo mai.

La scelta dello schema di colorazione da utilizzare implica anch’essa un minimo di documentazione, per verificare le combinazioni più adatte ad essere trasposte in scala ed evitare, se possibile, una monotonia nella realizzazione. Ogni paese ebbe un suo stile, accanto a schemi quanto mai semplici ce ne furono anche di molto elaborati, perciò attenzione ad abbinare giustamente periodo e tipo di mimetica, aiutandosi con le notizie sulle disposizioni ufficiali e su campioni di colore, questi ultimi da usarsi con del buon senso.   

Il computer, sin dalla sua nascita, è sempre stato d’aiuto al modellista, perlomeno nell’umile lavoro di aiutare la messa in ordine della nostra documentazione, con un notevole risparmio nei tempi di ricerca, ma il vero salto di qualità c’è stato con l’apparizione di Internet. Da dieci anni a questa parte, esso ha avuto un’evoluzione esponenziale, che ha creato molte occasioni d’aiuto ed incontro nei siti e nei vari forum o spazi di discussione. Se vogliamo, è una piazza di paese sconfinata, gironzolando per essa s’incontrano sia produttori che molti altri modellisti con le loro opere, oltre ad una massa di notizie, recensioni, aggiornamenti fruibile in modo mai visto prima. Questo mantiene vivo e vitale il nostro hobby, perché lo avvicina al mondo giovanile ma anche integra validamente ogni ricerca di chi è più esperto. Oltre a risparmiarci lunghe ricerche, Internet ci porta per mano anche in musei e raccolte, senza muoverci di un metro dal nostro tavolo di lavoro., senza contare che oggi è molto più facile stabilire contatti anche all’estero per gli scambi di kits e documentazione. E’ anche in grado di aiutarci nel faticoso lavoro di ricerca negli archivi o biblioteche. Ormai anche nel modellismo si usa molto, che esso possa dare dipendenza, facendoci uscire dalla realtà più del necessario, è ormai dimostrato. Il campanello d’allarme è l’abbandono del tavolo di lavoro, lasciando che approfondimento, ragionamento e creatività ne soffrano. A lungo andare, impareremo a stare lontani dalla disinformazione, diffusa nei siti assieme a volte anche alla mancanza d’autoironia e di un vero confronto,il che da luogo a polemiche da ‘bar sport’.

Le videocassette sono utili solo in certi casi, se si ha a disposizione un apparecchio con un  buon fermo immagine per analizzare meglio i particolari, nei molti esempi di film d’epoca che hanno valore documentativo o nella massa di documentari veri e propri girati all’epoca. In effetti, la Seconda Guerra Mondiale è stata la prima guerra nella quale i mass-media hanno operato massicciamente, buon per noi. Come si vede, è praticamente improponibile che si possa fare ancora il modellista solitario, che mette in opera al massimo l’antico sistema del passaparola.

Prima ancora di pensare al modello la regola è riunire tutta la documentazione che avremo raccolto con vari mezzi, dopo i primi impasse, impareremo che molti argomenti sono correlati. Oltre a controllare i dati principali delle misure per potere fare un check fra il kit ed eventuali disegni, raccoglieremo quante più possibili fotografie di dettagli, tenendo a mente che in certi casi essi sono proprio uguali anche su scafi diversi – per esempio, cingolatura, treno di rotolamento, armamento di bordo, motore eccetera. Un ulteriore controllo va fatto tra fotografie in dettaglio e disegni tecnici, per trarre le prime conclusioni su quali lavori di modifica od aggiunta saranno più urgenti sul kit. Un po’ di problemi possono sorgere, comprensibilmente, quando siamo in presenza di esemplari particolari o stiamo preparando trasformazioni.

Conviene conservare bene il materiale cartaceo – foto, articoli di riviste, appunti e quant’altro - ed i supporti informatici, in modo analitico, per avere un archivio sempre pronto. Le varie cartelle, divise per argomento, almeno inizialmente non occuperanno troppo spazio. Le diatribe più snervanti sono senz’altro quelle sulle tonalità di colore da usarsi, ma obiettivamente è difficilissimo arrivare a definire rigorosamente le tinte usate in passato, e da prendersi con riserva le ricette per colori magari usati solo per qualche mese, in un lontano e piccolo teatro operativo. Le buone cartelle colori sono fatte con campioni di pittura ma attenzione, ogni stampa tipografica presenterà piccole differenze con la tinta reale. Sarebbe un vero peccato che per poca attenzione o pigrizia si arrivasse a dipingere un modello con un colore totalmente sbagliato, ma è consigliabile non avere l’ossessione del ‘colore giusto’ perché molte volte non c’è modo di conoscerlo. In ogni caso, ci potremo realizzare da soli delle cartelle colore, accanto al campione annoteremo marca e proporzione dei colori usati, in modo da poter tornare ad usarle nel futuro.  

La ricerca ed il lato informativo, dovendo combinare vari aspetti per avere un buon quadro d’assieme, potrebbero assorbire anche troppo del nostro interesse, permettendoci di completare meno modelli, o nei casi più estremi neanche un modello. Poco male, saremo comunque utili ai nostri amici modellisti come fonte di riferimenti, facendo risparmiare loro tempo per la messa in cantiere delle loro realizzazioni.  

 

5 – PREPARAZIONE  E  PRIMI  PASSI  NELLA REALIZZAZIONE DI UN KIT 

La confezione di un normale kit in plastica contiene numerosi pezzi, riuniti in stampate dalle quali si diramano listelli  - che chiameremo d’ora in poi sprue – che a loro volta supportano i pezzi. Certe sono confezioni anche troppo belle e non c’è da dar torto a chi le ha ideate e preparate, anche esse hanno una loro importanza e sono pur sempre esempi d’illustrazione, a volte di altissima fattura. Tornando al contenuto, vi sono le istruzioni, a volte molto dettagliate, ed un foglio decals con un, poche o diverse possibilità. Nelle scatole più vecchie, è possibile trovare anche un minuscolo tubetto di colla od un motorino elettrico per avere la possibilità di far muovere il modello, una volta completato.

Non è detto che il risultato che ci aspettiamo sia sempre in proporzione al costo od alla quantità di pezzi del kit, perché molto dell’aspetto finale sarà frutto della nostra mano e delle pazienti ore dedicate al suo completamento. Ogni pezzo deve essere controllato nei dettagli, e con più attenzione di quanto normalmente si tenda a fare. Il livello di finitura che possiamo trovare tra i kits di mezzi militari è notevole, in una corsa alla perfezione per ottenere finitura fortemente realistiche, inclusi i dettagli più piccoli fedelmente riprodotti. La presenza e buona qualità dei kits addizionali in resina consentono il completamento di diverse varianti dalla stessa scatola di montaggio, ma l’abilità nel maneggiare un kit in plastica resta molto importante.

Il settore dei kits in resina è un po’ atipico, nato dalla mancanza, negli anni dello sviluppo dei modelli in plastica, di mezzi poco conosciuti. Si tratta di soggetti dai costi di stampo alti se non  proibitivi e con un certo grado di complessità, così non sono ancora alla portata di tutti, d’altra parte si realizzano così mezzi impossibili da trovare in plastica. Questo tipo di kit può forse intimorire chi non è esperto, i pezzi sono uniti alle matrici di stampo, a volte senza incastri precisi, o con deformazioni , per il resto la loro costruzione non ne  differisce di molto, a parte una maggiore cura nello staccarli e ripulire poi le parti staccate, e per il necessario uso di colla cianoacrilica. Neanche il risultato finale è molto dissimile, ma la quantità di ore necessarie alla costruzione è maggiore, considerando che la maggior parte dei dettagli deve essere a volte sostituita. Lo stampo, realizzato artigianalmente, a volte non può scendere in troppi particolari, alcune parti minori presenti non sono utilizzabili cosi come sono. Di recente, però, i kits in resina sono più qualificati e facili da montare ma c’è comunque da far uso di buon senso oltre che delle istruzioni – non sempre presenti od all’altezza –e della documentazione. Altri stampi sono nati come parti aggiuntive (scafi, torrette eccetera) per kits in plastica già esistenti, anche loro sono migliorati e grazie ad essi ormai si possono ottenere particolari varianti senza grandi problemi costruttivi.

Nella preparazione di un kit, il primo passo è ricavarsi uno spazio nel quale lavorare comodamente, è sufficiente una superficie piana abbastanza grande, con un ripiano d’appoggio che faccia da sfondo ai pezzi, una sedia confortevole ed una fonte di luce che non stanchi velocemente gli occhi. Le regole fondamentali per costruire un kit ‘senza infamia e senza lode’ sono lavorare nella sequenza delle istruzioni e  fare uno o più  montaggi a secco. Per prima cosa studiamoci le istruzioni con cura, abituandoci a riconoscere le parti, esse molte volte comprendono il layout delle stampate, così sarà facile trovare i pezzi man mano che ci serviranno, grazie anche ai numeri presenti sulle stampate accanto ad essi. Le prime volte, seguiamo pure le istruzioni alla lettera, segnandoci i vari pezzi man mano che li separiamo ed usiamo. Scarteremo versioni opzionali, se è prevista più di una configurazione, in modo da avere solo ciò che ci serve. Segniamoci le sequenze più complicate, sarebbe peggio scoprire poi di aver montato male i pezzi o di averne dimenticato qualcuno. Se si prevede già di modificare od elaborare il kit di partenza, c’è da pensare a quali parti usare e quali convertire. Quando saremo più esperti, il controllo dei pezzi e la lettura del foglio d’istruzioni non richiederanno più di un quarto d’ora, diventando operazioni di routine. Organizzando al meglio la nostra aerea di lavoro, ridurremo al minimo l’inconveniente della perdita dei pezzi, a volte già staccati all’interno della confezione. La regola d’oro è staccare i pezzi man mano che sono necessari, per tenere sgombro il più possibile il nostro tavolo e poter procedere per comodi sottoinsiemi. Per separare i pezzi dallo sprue, il metodo migliore è usare delle forbicine o tronchesine, stando attenti a non deformarli nel premere troppo. Per eliminare ritagli e sbavature dai pezzi, non bisogna staccarli rompendoli a forza, potrebbero rovinarsi, è meglio tagliarli con un cutter molto vicino allo sprue, appoggiandosi bene al tavolo da lavoro. Dopo averli staccati, con limetta e carta abrasiva occorre lisciare per bene. Andando per gradi, con passaggi successivi di abrasivi sempre più fini, otterremo delle buone superfici, senza segni o graffi. La plastica non è porosa e non avendo venature, si può scartavetrarla in qualsiasi direzione.  Se, come a volte succede, i pezzi non avessero numerazione, controlliamo soprattutto quelli che sembrano uguali, perché solo da un incastro o da una leggera curvatura scopriremo se un pezzo va posizionato a destra od a sinistra. Importante è pianificare la sequenza, solo quando saremo più esperti, cioè con decine di modelli alle spalle, potremo seguire una personale sequenza di costruzione.

Staccati con cura i pezzi dallo sprue, controlliamo che non vi siano sbavature od imperfezioni di stampo che impediscano una perfetta adesione delle parti. Senza dubbio i principali inconvenienti potranno essere, specie nei kit meno recenti, l’esistenza delle impronte degli stampi magari in posizioni molto visibili e di sbavature vicino all’unione degli stampi. Il primo si risolve con dello stucco,  che tappi i fori, il secondo eliminandoli col bordo di un cutter o con una limetta. Per avere a portata di mano senza fatica i pezzi e metterli al sicuro, useremo delle scatolette, per esempio le confezioni in plastica trasparente per prodotti alimentari, almeno per i pezzi più piccoli. Un montaggio "a secco", di norma effettuabile a mani nude tranne che per i pezzi di difficile accesso,  consentirà di controllare che tutti gli elementi siano in ordine e toglierà ogni dubbio su come apparirà una volta terminato. Non facciamoci tentare dalle cosiddette ‘parti mobili’, sulle istruzioni tutto appare semplice e funziona, la realtà può essere diversa ed è necessario un attento esame sull’opportunità d’imbarcarsi nell’impresa, ci si potrebbe trovare con un modello zoppicante, poco realistico ed al quale sarà difficile porre un rimedio. A parte la torretta ed al pezzo di bordo, non ci sono molte altre parti che ci convenga mantenere libere. Solo col tempo sapremo sfruttare le caratteristiche di mobilità di alcune parti, che diverranno utili ad una più suggestiva ambientazione.

Certi kits hanno lo scafo composto da più parti, il che potrebbe creare inconvenienti se la plastica fosse troppo esile nello spessore, in tal caso non rimane che rinforzarlo dall’interno con sprue o pezzi di plastica di recupero. Si possono usare il cutter sulle linee, lo stucco per eventuali depressioni e la carta vetrata per le sporgenze, l’importante è che non si veda nulla d’incongruo nei pezzi, rovinerebbe di molto l’effetto finale, perché la presenza di segni visibili di stampo è ancora un segno di poca cura. E’ un lavoro lungo e faticoso, ma è lo spartiacque fra un modello solo messo assieme ed uno ben costruito. Quindi pazienza, specie nel sistemare i pezzi più piccoli ma anche nell’aspettare che il modello si completi come previsto. La nostra "creatura" crescerà bene se tutto verrà fatto con calma, senza fretta e con attenzione. 

I sottoinsiemi sono un logico sviluppo ed il modo più pratico di procedere, in ogni modo un kit è già di buona fattura se non lascia vedere bene di quanti pezzi è composto, montandolo anche sommariamente.  Concentrarsi su meno pezzi per volta  e costruire per gradi si rivelerà comodo anche per la successiva verniciatura. Classicamente sono treno di rotolamento – scafo – torretta, ma con l’esperienza ci programmeremo altre combinazioni. Se le dimensioni dello scafo fossero grandi, anche in questo caso si potrà provvedere ad opportuni rinforzi interni, come pezzi di sprue tagliati ed inseriti.  Molta cura è da porre nella simmetria dei pezzi che debbono risultare allineati fra loro, altrimenti darebbero subito una cattiva impostazione. Nell’unione dei pezzi, controlliamo bene che la giunzione non lasci ‘scalini’ dovuti ad un’imperfetta unione od alla presenza di pezzi interni che intralciano. In questi casi, può essere difficile correggere l’inconveniente se non lo si fa subito con interventi di riduzione e rifinitura. Sui pezzi va posta la giusta quantità di colla, secondo la loro grandezza e posizione, applicandola attentamente, magari con uno spillo od uno stuzzicadenti,  un eccesso potrebbe rovinare alcuni dettagli. Anche se si dovesse fissare una grande superficie, mai versare direttamente la colla sulla plastica, così non si può dosarne la quantità necessaria e si rischia di averne sempre in eccesso.  Specie se si è lasciato il tubetto aperto, anche brevemente, si formerà nel beccuccio una sorta di tappo di materiale secco. Si potrà rimediare a questo comune inconveniente bucando il tappo con uno spillo e spruzzando – per prova - una goccia di colla sopra un piano non assorbente. Bisognerà tenere unite le parti più grandi con del nastro adesivo o con elastici, almeno per 15 – 20 minuti. Attenzione ad usare le mollette su parti più piccole, perché potrebbero esercitare una pressione troppo forte, ed i pezzi s’incollerebbero in maniera non corretta. E’ meglio stenderla su entrambe le parti, l’ideale sarebbe che, tenute assieme premendole un po’, essa debordi leggermente all’esterno.

Parti lunghe e strette come  i cannoni per esempio hanno l’inconveniente di finire per risultare storti anche quando le parti  da unire non lo erano in partenza o perché non sono state tenute in posizione corretta, controllandola durante l’asciugatura del collante. Con questi tipi di pezzi è bene adoperare un collante a breve periodo d’asciugatura, tenendoli uniti. Ogni tanto basterà dare un occhio al pezzo, traguardandolo ed eventualmente correggendone  manualmente l’assetto, fino a quando la colla non avrà fatto presa. Anche marmitte o tubi di scappamento devono essere incollati e scartavetrati bene prima di verniciare, nulla è più antiestetico che vedere un pezzo con evidente unione di due parti. Per i pezzi più piccoli, applichiamola con l’aiuto di uno stuzzicadenti, col pennellino della confezione se si tratta di colla liquida, o ancora meglio servendosi di un vecchio pennello, che abbia ancora un minimo di punta.

Nel caso di materiali porosi, per evitare che la colla penetri troppo, bagnare prima la superficie con acqua, mentre se un pezzo proprio non si incollasse,mettiamolo da parte, lasciandolo asciugare 10 minuti, e riproviamo di nuovo, però applicandone di meno. Se ci si accorge d’aver sbagliato nel montare un pezzo, nulla d’irreparabile, se la colla non è asciutta, basta allontanare le superfici, ripulirle dalle sbavature e ripetere l’operazione. Se la colla avesse già fatto presa, una goccia di diluente staccherà i pezzi senza danni. Per togliere le eccedenze, basterà aspettare la perfetta essiccazione, usare una limetta di cartone per unghie o della carta abrasiva a granatura media, facendo attenzione a rigare il meno possibile le parti adiacenti e passando una seconda volta con la carta abrasiva sottile. Se ancora restassero tracce di colla, si toglieranno definitivamente servendosi di un coltellino a mezzaluna.

Alcune piccole componenti di un kit come assali, tubi di scarico, bracci di sospensione, si possono rompere con facilità. La maggior parte di esse può essere riparata semplicemente incollando le due metà assieme con un po’ più di colla, che formerà un manicotto attorno alla giuntura. Lasciando che il pezzo si assesti per alcune ore, a colla ben indurita si può limare con cautela, fino a far scomparire il manicotto e ridurre la giunzione alle dimensioni originali, ottenendo una riparazione invisibile.

Mentre i primi pezzi incollati riposano per 2 o 3 ore, ci si può tranquillamente dedicare ad una fase successiva, con altri elementi. Lasceremo da parte i dettagli fino a quando non saranno montate le parti principali, per altre piccole parti aspetteremo dopo la completa verniciatura. Un vantaggio dei modellini di mezzi militari è che spesso le giunzioni tra le parti sono chiaramente riscontrabili e molte volte non c’è da insistere, almeno finché non saremo pronti a dare più realismo. Se restassero visibili fessure o parti montate in maniera non omogenea, ricorreremo ad opportune stuccature, pochi minuti d’impegno potrebbero essere determinanti per una buona riuscita. Una volta steso lo stucco, con una spatolina abbastanza flessibile, si attende che sia ben asciutto e poi lo si pareggia, con lo stesso attrezzo o col polpastrello inumidito. E’ sempre bene abbondare un po’ con la quantità stesa, dato che essiccando esso si ritira, altrimenti ci si ritroverebbe con fessure ancora percettibili e col dover ripetere la stuccatura. Attorno alla zona stuccata potranno restare delle tracce di stucco, da pulirsi velocemente con uno straccetto bagnato in acquaragia. Se le incrostazioni resistessero, si può raschiarle leggermente con una lama a mezzaluna. I tempi d’asciugatura dello stucco variano caso per caso ed in proporzione al suo spessore, ma un tempo ‘sicuro’ può essere considerato sulla mezza giornata. Un tipo di stuccatura “da esperti” è quella che si ottiene, se le fessure fossero molto sottili, usando su di esse un po’ di smalto opaco dato a pennello, da passare con carta abrasiva umida quando sarà asciutto. Nel caso contrario, di fessure veramente grandi, per fissare meglio lo stucco praticheremo dei fori angolati e poco profondi, usando un po’ più di materiale, pressandolo con una spatolina  e levigando, ad asciugatura avvenuta. La plastica liquida che ci saremo prodotti andrà bene sia come colla che stucco, secondo le necessità: spalmiamola col pennello nelle fessure, uno strato alla volta, lasciandolo seccare bene prima di applicare il successivo. Levigheremo con carta abrasiva, pulendo con un vecchio pennello intinto nel solvente. Dopo queste varie operazioni, spolveriamo con un pennello morbido le zone sulle quali abbiamo lavorato, per eliminare eventuali particelle residue. Dopodiché, conviene applicare una mano di colore grigio chiaro opaco sopra le zone stuccate, per capire se sono ancora porose o se sono state levigate bene.

In molti kits, specie non recenti, i cingoli sono realizzati ancora con due o più pezzi di vinile, che dopo aver cercato di rendere più realistici togliendo segni di stampo e rovinando un po’ le eventuali parti che nella realtà sarebbero tasselli di gomma, non resta che unire. Dopo aver allineato per bene le loro estremità, teniamole ferme e fissiamole, con la lama scaldata di un cacciavite o con la testa di un chiodo. Con una o due applicazioni avremo una chiusura poco visibile, attenzione perché un eccesso di calore potrebbe danneggiare dettagli o causare rotture. Se proprio accadesse, basterà disporre la parte rovinata in basso, appoggiata al terreno, od in alto, nascosta da eventuali piastre a copertura dei cingoli. Anche una puntatrice da ufficio può essere utile, basta sistemare il tratto dove il cingolo è stato unito sempre in basso.

Conviene sempre incollare le sospensioni, a meno che non si sia prevista un’ambientazione, perché la pur leggera tensione del cingolo potrebbe spingere verso l’alto il primo e l’ultimo rullo, trasformando il nostro carro armato in qualcosa di simile ad un cavallo a dondolo. Perciò i cingoli vanno installati solo quando l’intero complesso del treno di rotolamento sia a posto e dopo alcune prove. E’ veramente una questione di realismo, nella realtà la loro tensione è importante, se troppo stretti si romperebbero al primo sforzo, se larghi si rischierebbe la loro perdita. Ogni classe di mezzi ha un aspetto tipico, quelli coi rulli reggicingolo li hanno spesso leggermente allentati, con insaccature tra rullo e rullo, sono relativamente facili da ottenere, con qualche spillo ben inserito a caldo nei fianchi dello scafo per forzarli verso il basso, all’altezza giusta. Nei carri con le ruote motrici un po’ alte e senza rulli reggicingolo, come alcuni tipi tedeschi, esiste un’insaccatura ben visibile, il modo più semplice per riprodurla è assicurare il cingolo all’asse della ruota inferiore con del sottile filo di rame, ottenendo un aspetto abbastanza convincente. Le odierne confezioni, a volte già comprese nei kits, di cingoli maglia per maglia offrono cingoli molto realistici, che non hanno bisogno di molti interventi. La prima operazione è il issare i carrelli portanti nella loro posizione definitiva, calcolando le loro escursioni. La parte più critica è l’unione con la ruota motrice, in modo che le maglie proseguano in maniera realistica. Una volta pronti basta farli scorrere attorno al treno di rotolamento, un po’ come quelli veri, se non sono presenti i rulli di sostegno il cingolo dovrà prendere una tipica curvatura, ottenibile incollando con cura una maglia dopo l’altra, in modo da poter correggere man mano la loro inclinazione.. Per il loro montaggio occorre un lungo lavoro di sgrossatura dei pezzi, preparando attentamente le superfici che in seguito andranno incollate, se in plastica, od incastrate, se in metallo bianco, non tralasciando di controllare a secco i vari incastri e se del caso migliorarli con una limetta.

Se avremo applicato le poche, semplici regole per togliere di mezzo tutto quello che tradisce l’origine “stampata” del kit (giunture troppo evidenti, sbavature, riscontri di sprue, pezzi sbagliati nella posizione, eccessi di colla eccetera) avremo già un buon modello, nel quale nulla, o quasi, appare in plastica e che, col successivo passaggio della verniciatura, apparirà anzi in tutt’altro modo. Senz’altro alcune parti si potranno colorare prima, ma non sono molte a meno che non si tratti di un semovente a cielo aperto; un pò di buonsenso ci aiuterà a decidere di volta in volta il da farsi. Prima di cominciare a verniciare, controlleremo a fondo il modello per accertarci che non ci siano residui dei lavorazione, ogni imperfezione che può sembrare poco visibile ad occhio nudo sarà certamente molto più evidente con la prima mano di vernice. Terremo il modello lontano dal suo peggior nemico di sempre, la polvere, se non fosse possibile lo spolvereremo accuratamente con un pennello morbido del n. 5, da riservare per questo lavoro.

Se può consolarci, teniamo presente che anche i kits più recenti non sono proprio perfetti, esigenze produttive, mancanza di documentazione, semplificazioni costruttive obbligano a volte le case produttrici ad alcuni compromessi con la fedeltà al vero. Comunque, a tutto c’è rimedio ed imprecisioni – piccole o grandi – si possono sempre sistemare.

Se abbiamo già di fronte un modello "buono" nel senso che il montaggio è stato regolare, la carteggiatura applicata dove occorre, i residui di colla eliminati con cura, avremo già fatto il primo passo per avere un onesto modello "da scatola".

 

BIBLIOGRAFIA

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-  M. Jones,  Scale Model Fighting Vehicles  – Almark Publications 1972
- Lorenzetti,  I manuali pratici del plastimodellismo – Corazzati –  Fabbri Editori 1976
- Caiti e Pirella, Manuale di plastimodellismo – Delta editrice – 1976
- Zipoli, Il Modellismo militare – Rizzoli – 1977
- E. Jane, K.M. Jones, Painting and detailing military vehicles, Almark 1978
- Chesnam, Scale Model in Plastic – Londra 1979
- D’Agostino, Il libro del modellismo in plastica – De Vecchi 1980
- G. Ricchezza, Manuale pratico di plastimodellismo – Mursia 1980
- Paine, Modelling tanks and Military Vehicles  – Kalmbach Books 1982
- F. Verlinden, The Verlinden Way (vari numeri) – Verlinden Publications 1983 – 1989
- G. Pini, Guida al modellismo in plastica – De Vecchi 1993
- T. Greenland, Modellismo militare Corazzati tedeschi – Albertelli Editore 1995
- AA.VV., Osprey Modelling – Osprey Publishing 2002 - 2009
 
 
RINGRAZIAMENTI
 
È doveroso, oltre che un piacere, ringraziare chi ci è stato accanto e ci ha aiutato nel lungo lavoro di elaborazione del materiale raccolto, senza il cui contributo non si sarebbe potuto disporre di tutto il necessario per realizzare questa guida, sia sotto il profilo documentativi sia sotto quello tecnico.
 
Ringraziamo tutti gli amici che hanno messo a disposizione la loro esperienza e i loro modelli, e Daniele Salaro, Paolo Tinelli e Lorenzo Tonioli per il reperimento di vecchie pubblicazioni e per le notizie riguardanti produttori non più esistenti.
 
Desideriamo ringraziare inoltre Daniele Guglielmi per la revisione del testo e l’inserimento di notizie e dati, i modellisti del Gruppo Plastimodellismo Fiorentino  e le Redazioni dei bollettini modellistici CMPR e GMT .
 
                                   gli autori 

Andrea Tallillo accanto ad una AB 41 del "Savoia Cavalleria" nella storica sede di Merano (BZ) - agosto 1995

Antonio Tallillo in un Jagdpanther conservato a Munsterlager (Germania) - maggio 1995

semovente sovietico Su. 152, ottenuto da conversione in resina Azimut su scafo Tamiya

carro armato americano M4 della versione potenziata "Jumbo", da kit Tamiya

 

carro medio italiano M11/39, conversione in resina MST su scafo del vecchio, ma ancor valido, dell' M 13 della Italeri

carro leggero sovietico T 26, conversione MB su scafo del carro polacco 7 TP della Spojnia

cannone d'assalto tedesco Stug IV, kit Tamiya con molte aggiunte e correzioni

carro leggero americano M24 "Chaffee", kit Italeri del 1986 ma ancora di buon livello

carro leggero italiano L6/40, kit interamente in resina della Model Victoria

cannone d'assalto tedesco Sturmgeschuz III F8, da kit Dragon

lo strano semovente tedesco di ripiego Pz IV / 70, un altro kit Dragon

carro veloce sovietico BT 5, un vecchio kit della Zvedza/Italeri

 

carro da appoggio fanteria inglese Churchill Mk VII, riprodotto dalla Tamiya

carro leggero anfibio sovietico T 38, kit in plastica della moldava AER

carro pesante sovietico KV 1 modello 1941, torretta in resina Peddinghaus su scafo Tamiya

all'inizio della seconda Guerra Mondiale, si usavano ancora mezzi leggeri, qui un CV 33 italiano, che poco avevano del carro armato vero e proprio

 alcuni carri leggeri vennero poi trasformati per una varietà di usi. Il Panzer II Ausf. D tedesco divenne nel 1940 un carro lanciafiamme,
con nuova torretta principale e due piccole torrette da cui lanciare il liquido
 

uno dei primo carri moderni fu il francese Somua S 35, ad esso si ispirarono i tecnici americani per lo Sherman

 

per lungo tempo in Unione Sovietica si produssero carri leggeri da fanteria, qui in una versione radio del 1938

la concezione americana del mezzo cacciacarri prevedeva l'armamento in torretta scoperta, come nel carro M 10 del 1942

i tecnici tedeschi arrivarono nel 1943 a progettare diversi mezzi cacciacarri in casematte inclinate, come la Jagdpanther

per gran parte del conflitto, le forze corazzate tedesche usarono però anche i cannoni d'assalto,
nati per l'appoggio alla fanteria e divenuti mezzi multi uso, lo Stug IV era tra i più perfezionati  
 
 
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