MANUALE  DI  MODELLISMO  PRATICO

(Seconda Parte) 
 
Come realizzare e migliorare i modelli in scala 1/35
della Seconda Guerra Mondiale

 

di  Andrea e Antonio  TALLILLO

 

Dettagliare i  modelli 

  

INTRODUZIONE

Ancora oggi, molti principianti restano un pò perplessi nell’osservare i modelli dei più esperti, confrontando così sfavorevolmente le loro prime realizzazioni. Questo comporta una reazione di rinuncia e non vi è niente di più sbagliato, ma bisogna pensare che se un modellista li ha fatti in un certo modo, è possibile almeno avvicinarsi ai suoi livelli – od anche superarlo, un giorno ! Occorre solo restare curiosi e sperimentare i sistemi delle ‘vecchie volpi’, convincendosi che non vi sono trucchi magici e che il modellismo non è riservato a pochi privilegiati ai quali tutto riesce sempre.

Ben presto, impareremo a tener conto, nel rifarci al soggetto reale, anche della materia di alcuni suoi componenti, dell’impiego al quale era destinato, di come invece lo si è usato e modificato sul campo, e così via. Spesso inoltre bisogna aggiungere anche i segni che il tempo e l’uso poco o tanto hanno lasciato. Mantenendo sempre alto il livello della nostra passione, riusciremo a fare un po’ tutto, seguendo le tappe per le quali sono già passati i modellisti ai quali si devono i modelli più pregevoli. Seguendo poche, semplici regole, otterremo pezzi di maggiore effetto e con un loro stile, che sorprenderanno noi per primi per la relativa semplicità con la quale si possono ottenere trattamenti adeguati. Andrà a finire che, se coi primi modelli consideravamo i dettagli ”minori” tut-te piccolezze che ci portano via abbastanza tempo, in seguito troveremo sempre un motivo per aggiungere il nostro tocco personale anche a modelli di per sé validissimi, segnalandoci così come modellisti un pò sopra la media.

Il numero di chi rielabora od interviene più a fondo sul modello è abbastanza alto, con risultati spesso rimarchevoli. Ci sono ancora grandi possibilità legate all’inventiva, all’uso di nuove tecniche e materiali, alla ricerca documentata ed all’uso del PC. Dettagliare, modificare ed elaborare modelli sarà una buona palestra per la prima dote del buon modellista, la pazienza. Il lavoro si può protrarre anche per qualche mese, dall’ispirazione all’inserimento nella vetrina della nostra collezione, perché è meglio operare con calma, procedendo organicamente e facendo scelte il più oculate possibile, per evitare sbagli poco riparabili. E’ un modo abbastanza spregiudicato e duttile di crescere, aperti ad esperienze che daranno risultati del tutto apprezzabili. 

Superdettaglio e trasformazioni sono i tipi d’intervento più comuni ed ormai è molto meno frequente trovare modelli interamente autocostruiti. Dei buoni livelli di modifica sono ormai accessibili ai più e più possibilità vuol dire avere diversi livelli di finitura.

Accompagniamo il modellista, poco per volta, quale che sia il suo grado di esperienza, cercando di dare informazioni sul bagaglio di conoscenze che deve possedere se vuole avere ottimi risultati. Sono “problemi” modellistica che più o meno abbiamo un pò tutti e perciò parleremo di tecniche accessibili a molti. Siamo convinti che chi è già esperto raggiungerà ulteriori vertici, ma anche chi fosse proprio un neofita troverà una buona guida per andare avanti ed avere una visuale più ampia sul nostro piccolo ma meraviglioso mondo. Ormai il modellismo è fatto di discipline diverse ed è diventato un’attività unica, perché da una formazione artistica completa.   

Si parla ancora di “segreti” per questo meraviglioso hobby ma in realtà si tratta solo di tecniche più o meno elaborate, messe in pratica di volta in volta. Il vero segreto è più che altro nel modo nel quale ci si ponte di fronte al modello che stiamo completando, considerandolo “unico” e giustamente irripetibile tutte le volte.  

 

1 – IL  SUPERDETTAGLIO 

Dettagliare comprende un vasto settore d’interventi, dall’aggiungere i pochi necessari, a correggere quelli di un kit ‘da scatola’, sino ad arrivare a modifiche elaborate. Un modello potrà diventare unico o comunque mai esattamente uguale a qualsiasi altro, ricordiamoci però che se è vero che c’è soddisfazione nel dettagliare, anche su modelli molto buoni, non c’è mai da esagerare.  E’ abbastanza facile rimediare a lievi errori dimensionali, di vecchi modelli o di certi kits dell’Est Europa o correggere molti piccoli dettagli mancanti od irreali, visti anche i limiti tecnologici di uno stampo non recente. Basta aggiungere e correggere pian piano, facendolo un pò su tutto il mezzo, dai ganci di rimorchio di prua alla marmitta posteriore e ciò dà la misura dell’abilità raggiunta, rendendo il modello più realistico. Uno dei miglioramenti di base, da effettuare su qualsiasi arma, è forarne la canna, segnando il centro con uno spillo ed usando una punta molto sottile per impostare il foro, ruotandola lentamente.

Dopo una controllatina, si può forare, se non fosse centrato bene scrostiamo da un lato con la punta di un cutter. Per avere una maggiore svasatura, dopo aver praticato il foro vi gireremo la lama di un cutter, che formerà appunto un foro più aperto. Nelle armi leggere, basterà poi una goccia di colore nero per avere un effetto di maggiore profondità. Sempre a proposito di armamento, nei kits le bocche da fuoco sono molte volte realizzate in due pezzi, con altri che servono per il freno di bocca, in realtà esse, anche se in sezioni, erano pezzi singoli, ai quali veniva avvitato eventualmente un freno di bocca. Sono una delle parti dove si concentrano gli sguardi e cosi’ non si devono rilevare tracce di colla fra le due parti, che del resto dovrebbero essere dritte.

Con le canne più corte una buona stuccatura, da lisciare bene per eliminare ogni traccia, è d’aiuto, per ovviare al pericolo che quelle più lunghe, nonostante tutto, risultino svirgolate, ormai è presente sul mercato un buon numero di canne metalliche tornite, dal costo non astronomico e che con un minimo d’interventi di rifinitura risolvono molti problemi. Restando sulle canne dei kits, un mezzo per ottenere una rastrematura migliore è quello d’inastare la volata dall’estremità più piccola nel mandrino di un trapano, da fermarsi a sua volta con una morsa al tavolo di lavoro, facendo girare il trapano tenendo contro il pezzo un piccolo lisciatoio ricoperto di carta abrasiva; in pochi secondi saranno pareggiate le irregolarità di costruzione; rimane solo da rifinire l’estremità inserita nel mandrino, e la parte nella quale la canna s’inserisce nella culatta.  

A prima vista, un intervento che può sembrare interminabile è rifinire i rulli del treno di rotolamento, che in un carro operativo presentano piccoli danni dovuti a sassi ed ostacoli e, dopo un certo periodo di tempo, anche un logorio più o meno accentuato. Anche se i pezzi possono essere molti, basti pensare alle 32 ruote di un qualsiasi scafo di Panzer IV, il loro trattamento è facile, con un trapanino o con una limetta si potrà, oltre a togliere il segno di stampo lungo la circonferenza, anche dare alle parti che in realtà erano in gomma un aspetto logorato che non guasta.  

I dettagli già stampati, realizzati anche male o posizionati non correttamente che sono invece da separare, s’incontrano ormai solo nei modelli più datati, quando gli attrezzi ed i loro supporti erano tutt’uno con lo scafo. Tanto vale sostituirli e riposizionarli; la maniera migliore per rimuovere i dettagli è usare una fresa a disco montata su trapanino, poi si carteggia per togliere gli ultimi residui e lisciare la superficie. Se questa non fosse liscia, per esempio quella antiscivolo di un parafango, il lavoro diventa più complicato. Se non si potesse sostituire il pezzo con uno nuovo, il punto in questione potrà essere nascosto piazzando un carico, come una cassa, una rete mimetica o così via. Su parti lisce si possono anche chiudere facilmente eventuali fori d’installazione, poco realistici, con stucco o materiale più economico come sprue stirato a caldo o plastica liquida.

La correzione di angoli è relativamente facile, se si tratta di una giunzione “naturale” del mezzo c’è solo da scartavetrare o tagliare il pezzo in modo da avere l’esatta angolazione. Per un’intera piastra od una sezione, rimuovere e sostituire è abbastanza complicato ed è meglio considerare prima se ne vale la pena. Per il taglio, una fresa circolare montata su trapanino, usata a bassa velocità, od un buon seghetto ci daranno entrambi risultati sicuri. Errori dimensionali notevoli sono poco frequenti, ormai, se siamo già un pò esperti avremo sviluppato un “sesto senso” che ci aiuterà, con poche occhiate, a rendersene conto. Vanno sempre bene controlli accurati su buoni disegni e fotografie chiare e ravvicinate, dopodiché c’è da decidere se veramente vale la pena d’impiegare tempo e sforzi a ripararli. L’importante, più che le misure rispettate al millesimo, che esista una giusta proporzione.

Se c’è da correggere un’intera area, controlliamo prima se molti dettagli di superficie possono essere rimossi dalla zona che ha problemi. Quelli più piccoli come bulloni e cerniere vanno tolti col cutter o meglio ancora con un bisturi, dettagli medi e grandi col trapanino o col seghetto. Se un dettaglio non fosse agevolmente staccabile, attorno ad esso va tagliato un “francobollo”. Dal pezzo staccheremo ogni eccesso di plastica, salvando la parte che ci interessa che incolleremo di nuovo su quello originale dopo averlo accuratamente stuccato, o su quello nuovo. Dopo aver rimosso le parti riutilizzabili, c’è da rimpiazzare il pezzo del modello con uno dimensionalmente corretto. Se è una parte squadrata o leggermente curva, basta incollare del plasticard appena sovradimensionato al pezzo originale, dopo un’asciugatura di qualche ora, torneremo al lavoro tagliandolo attorno e scartavetrando per bene. Se necessario, certi pezzi forniti dal kit, troppo “pesanti”, sono usabili come riscontro per realizzarne di identici, ma più fini.

Le reticelle presenti nelle prese d’aria del cofano motore, nei kit meno recenti sono incise nella plastica, con un grado di realismo a volte quasi accettabile ma che non può soddisfare chi ha magari dettagliato l’altro 90 % del mezzo. La prima operazione è ritagliarle conservando i supporti. Si può procedere in due modi, con un pirografo munito di lama o col trapanino, praticando fori uno di fianco all’altro : una volta staccato il pezzo lo si leviga con una lima, delimitando i bordi che poi andranno assottigliati tramite una fresa. Nello stesso modo ridurremo lo spessore della plastica delle placche laterali fino a quando saranno forate. Tutta l’operazione si effettua dall’interno dello scafo, se i pezzi risultassero troppo deboli per i bordi, per rinforzarli useremo dello stucco.

Si taglia a poco a poco la nuova reticella, usando un pezzo di tulle da bomboniera – ce ne sono con quasi tutti i tipi di tramatura e con un bastoncino di legno la adatteremo al suo alloggiamento, incollandola con cianoacrilato. Se per il kit che stiamo costruendo avessimo già acquistato un foglio di fotoincisioni, è probabile che almeno una reticella per la presa d’aria principale sia fornita, in genere questo tipo di pezzo si adatta bene alle dimensioni dell’apertura, che rimane comunque da scavare.  

Bulloni e rivetti possono mancare o essere da rimpiazzare, se troppo grandi. Sono ricavabili, a buon mercato, togliendoli da altri pezzi o vecchi modelli con una lama nuova, ben affilata. Più di una marca offre bulloni o rivetti già posizionati su barrette di plastica, che sono solo da staccare. In ogni caso, ci sarà d’avere molta cura nel posizionarli, non fidiamoci di farlo ad occhio, perché anche avendo una buona vista alcuni errori sono possibili. Segniamo invece una linea a matita, abbastanza visibile, con un righello metallico, e su questa guida spazieremo esattamente le posizioni con l’aiuto di un compasso. Se, invece i bulloni o rivetti presenti sono solo da rimpicciolire, può essere sufficiente ridurli un po’ con una lisciatura, da effettuare con calma e mano non troppo pesante, per evitare di ridurne troppo o toglierne.  

La rivettatura, in particolare, può essere un aspetto controverso, dato che sui mezzi veri e propri è molto piccola ed affogata; sparirebbe completamente se riportata in scala. E’ preferibile comunque che restino appena visibili, perché la nostra impressione del mezzo vero non si riduce allo stesso modo, se mancassero si noterebbe la loro assenza prima ancora di pensare alle loro vere dimensioni. Molte volte mancano i “cordoni” delle saldature, specie nei kits meno recenti, ma è facile riprodurli, con dei pezzetti di sprue stirato a caldo, incollati lungo le giunture delle piastre. Una volta asciugati, lavoriamoli col pirografo, otterremo così i classici segmenti di materiale di fusione riscontrabili sulle parti vere. Se le saldature fossero più estese, è indicato stendere una zona di stucco ed ancora mentre è fresco picchiettarlo col pennello. Più o meno lo stesso procedimento per le saldatura male riprodotte, da togliersi prima con una buona lama.

Un particolare che colpisce, guardando fotografie ravvicinate o meglio ancora, “incontrando” mezzi reali, è constatare come molte superfici di parti in fusione (casematte, torrette ecc.) siano poi mal riprodotte nei modelli, ovvero troppo lisce. La tipicità delle superfici rugose è ancora raramente inclusa negli stampi e per dire il vero anche molte corazze laminate, viste da vicino, non sono proprio lisce come il marmo. Ci sono molti metodi per riprodurre queste superfici, uno è quello di applicare colla liquida o trielina gradualmente alle parti che ci interessano, ottenendo una finitura leggera.

Nei casi di superfici più rozze, come nei carri sovietici, l’effetto si può aumentare picchiettando con un pennello rigido la plastica con la trielina. Altrettanto efficace e meno impegnativo è usare delle frese in un trapanino, passando avanti ed indietro sulle piastre creando realistiche dentellature. Fatta la mano, si potrà usare al meglio ogni tipo di fresa, più o meno a fondo. Se avessimo esagerato col trattamento, un’applicazione di colla liquida o trielina addolcirà le incavature. Anche lo stucco, se molto fino e malleabile, è un buon materiale di base, da lavorarsi ancora fresco, sempre con un pennello secco.

Se il pezzo da correggere avesse curvature complete, come nel caso di torrette fuse, il lavoro si può fare con lo stucco per plastica o meglio ancora con quello epossidico, più efficace nelle sezioni più spesse. La scultura la si porta a termine in più fasi, sbozzata la forma che ci serve, con la seconda applicazione arrotonderemo i contorni, lavorando poi alla rifinitura finale con la carta vetrata partiremo da quella a grana più grossa, per arrivare alla più fine. Da ogni superficie fusa possono sporgere parti come portelli, cupole o periscopi che fusi non sono, per questo sono consigliabili le frese, alla fine, che permettono di girare attorno bene a tutto quello che dovrà restare com’è. Molte volte sono presenti numeri di fusione, grandi o piccoli, ripetuti in più parti, è possibile riprodurre almeno quelli grandi avendo cura di conservare i numeri di colata degli sprues di altri soggetti d in altre scale; una volta tolti con una buona lama a scalpello e posizionati sulle superfici, basterà un’applicazione di trielina per armonizzarli alla base.

Come intervenire quando delle parti incise non lo sono a sufficienza e mancano di nitidezza ? Un coltellino a lama appuntita può essere l’attrezzo che più è adatto, lo si passa più volte nei solchi, togliendo quel tanto di plastica che rendeva meno visibili le incisioni. Un ottimo strumento alternativo per quest’operazione può essere uno scriber o tracciatore. Quando lo si usa, è preferibile utilizzare come guida un righello metallico, mantenendo la punta sempre nella stessa angolazione ed esercitando una leggera pressione, cercando di realizzare ogni linea con una sola passata, in modo che risultino tutte ugualmente profonde.

Un elemento che per anni ha avuto pochissima evoluzione è la cingolatura, realizzata in vinile, mai troppo realistico. Per diverso tempo, probabilmente la soluzione più semplice, costruire le maglie una per una, era giudicata quasi un possibile soggetto da serial fantascientifico. Alcuni risultati abbastanza convincenti li ebbero, quasi sperimentalmente, ditta italiane come la Tauro Model, nel suo indimenticabile kit dello A7V tedesco della Grande Guerra, e la Amati, per una busta adatta a migliorare i cingoli del primo Panzer III M/N della Tamiya. Seguì molto sporadicamente la Tamiya in un paio di kits.

Fu però una piccola ditta giapponese, la Model Kasten, che si lanciò nella produzione costante di cingoli maglia per maglia in plastica, riportando notevole successo ed aprendo la strada poi all’italiana Friulmodellismo che però preferisce ancora il metallo bianco.

Oggi sono presenti sul mercato diversi tipi di cingoli maglia per maglia, da quelli ormai canonici in plastica a quelli in resina ad incastro della Model Victoria. Inoltre, molte ditte ormai li adottano già nei loro kits, addirittura quelle polacche e russe. E’ anche vero che si tratta di un dettaglio costoso ed impegnativo in quanto ad ore di lavoro, ma non ci sono molti altri modi di rendere più dettagliato un comune cingolo. Molto di recente, la Trumpeter cinese è arrivata al lampo di genio di prepararne di già pronti, stampati in serie di più maglie, e col senso del peso, chissà dove andremo a finire…

Molte volte, negli stampi l’armamento secondario è realizzato in un solo pezzo, “dimenticando” i dettagli dell’installazione, fissa o girevole che sia. Ne esistono di già pronte in commercio, oppure si può ricostruire una postazione nei suoi particolari, compresi il contenitore per le munizioni ed il nastro delle cartucce inserito.

Le parti realizzate in fotoincisione possiedono quel tocco di realismo tanto desiderato, la loro costruzione è lenta ma il modello ne guadagna in qualità ed allo stesso tempo si ottengono pezzi che, se realizzati in proprio, richiederebbero un lungo tempo d’esecuzione col pericolo di risultare meno precisi. Sono importanti i vari attacchi per attrezzi e dotazioni, con le loro cinghie e fibbie, molte volte omesse nei kits. Gli attacchi possono avere forme diversificate ed anche un pò complesse, a volte le fotoincisioni sono d’aiuto, ma è più realistico rifarsi le cinghie in carta o lamierino metallico da navimodellismo e gli attacchi in plasticard, aggiungendo eventuali bulloni o fermi.

Per i portelli del cofano motore o dell’equipaggio da lasciare eventualmente aperti o semichiusi, in modo che diano più vita al mezzo, è meglio assottigliarli dall’interno, limandoli con attenzione e passandoli con carta abrasiva, per non rovinare senza rimedio i particolari esterni. I loro dettagli interni sono il più delle volte mancanti, o da rendere più realistici.

In molti kits mancano dei periscopi realistici, questi sono realizzabili con pezzetti di acetato e plasticard. Le guaine dei fili elettrici di fari o proiettori, molte volte esposte, sono riproducibili col filo di rame, con lo stesso materiale o con la plastica stirata a caldo si possono realizzare le connessioni tra eventuali serbatoi supplementari esterni e quelli interni. Una volta stabilito come fissarli, li si sagoma correttamente con delle pinze a punta normale od arrotondata, purchè sottili, e con un punteruolo scaldato su di una candela si praticano i fori dai quali uscivano od entravano, in altri casi useremo il cianoacrilato.

Un valido alleato sono anche le lamine in metallo – rame od ottone – reperibili nel materiale per navimodellismo, che impareremo ad usare sostituendo parafanghi, piastre, protezioni dei fari, manici e supporti, che risulteranno più solidi od aggiungendo cerniere. Il filo di rame, disponibile in diversi diametri, Può avere un uso molto esteso nel realizzare maniglie e ganci, aiutandoci con pinzette per dargli forma. 

I pezzi piccolissimi ed i dettagli più fragili devono essere lasciati veramente per ultimi, finita la costruzione ed anche la colorazione di base, usando magari una pinzetta per collocarli meglio. Per essere sicuri che nelle ultime fasi non diventi impossibile attaccarli, bisogna provare a secco più volte durante la costruzione, settore per settore. Le antenne radio si possono realizzare con del sottile filo metallico o col vecchio metodo della plastica stirata a caldo, tenendo un pezzetto di plastica sulla fiamma di una candela, tirando finchè la plastica, ammorbiditasi, filerà. Nel caso di quelle a telaio, a volte incluse nei kit, basta scartavetrarle un po’ per togliere i segni dello stampo. Se sono da autocostruire, basta usare il solito filo di rame di diametro opportuno, basandosi su di un disegno attendibile, dopo aver realizzato i vari supporti in plastica.

Non cerchiamo di fare troppo subito, di frequente ci ricordiamo che si opera in una dimensioni particolare, che porta a tecniche da adattare di volta in volta e non sempre facili da mettere in pratica con buon esito.   

 

2 – I  KITS  IN  RESINA   

Ai modellisti succede spesso di sperare che, prima o poi, una delle grandi case che realizzano mezzi militari in scala metta in produzione il kit di un carro che li ha colpiti. Non sempre esse ci leggono nel pensiero e solo se il modello ha buone possibilità di successo ha il via l’inizio del processo che porta agli stampi, alla realizzazione e distribuzione di un normale modello in scatola di montaggio. E’ logico che, nonostante in questi ultimi anni ci siano state molte “new entry” molti sogni siano destinati a  restare tali, a meno di non decidersi per l’autocostruzione di un particolare mezzo che ci ha colpiti. Da una ventina d’anni sono nate ditte che, superando il semplice livello amatoriale, si possono permettere di realizzare anche quei mezzi che per la loro minore o scarsa notorietà resterebbero esclusi dai programmi delle marche più note, in resina epossidica. Essa è anche la base di set di conversione, a volte anche notevoli, con pezzi da aggiungere o sostituire a quelli dei kit ordinari, in plastica. Questi set sono indicati soprattutto per i modellisti più esperti, il loro costo rimane elevato ma la definizione dei particolari è sempre buona se non molto alta. Personalmente, consigliamo un accostamento graduale al vasto mondo dei prodotti in resina, per esempio una torretta che ci consente di cambiare la versione offerta nel kit è già un buon allenamento ad allargare i nostri orizzonti senza veri e propri traumi.

Una caratteristica dei kits in resina è il doveroso lavoro supplementare, sotto forma di levigatura dei componenti e del loro miglioramento con vari dettagli aggiunti. La costruzione, poi, richiederà un maggior grado di abilità manuale ed è consigliabile ai più esperti; essi avranno giustamente più soddisfazione, se tutto andrà per il suo verso, in un modello che non avrà nulla da invidiare ad un normale kit commerciale, con in più il fascino dell’insolito.  

Ormai, a patto che la qualità dei pezzi sia di buon livello, la lavorazione può essere portata a termine con successo tenendo a mente pochi accorgimenti. La difficoltà principale, nei kits di conversione,  sta nel tagliare correttamente la plastica e verificare l’allineamento delle nuove parti col resto del kit. Ove possibile, taglieremo le parti in plastica incidendole con una punta, in modo da non slabbrare troppo la parte in contatto con la resina ed evitarci troppe stuccature successive. Fermiamo con una morsa il pezzo in plastica sul bordo del nostro tavolo di lavoro, proteggendone la superficie con del cartone, quindi tagliamo lavorando sulla parte da eliminare. Rifiniremo con lime sottili e carta abrasiva.  

Per gli interni, si devono far “entrare” dopo alcune prove a secco e la rimozione degli eventuali dettagli dalle pareti del kit di base, l’aspetto definitivo lo avremo anche con l’aiuto di spessori in plasticard o con la pre-costruzione di una struttura interna che sostenga i nuovi pezzi. La regolazione tra essi e quelli principali del kit di base di solito è precisa, almeno per le uscite più recenti, ma può esserci sempre qualche piccola imperfezione, da stuccarsi dopo aver applicato piccole ‘toppe’ dalla parte nascosta alla vista. Una volta montati, per gli interni rimane il problema della loro verniciatura, che si può eseguire con tecniche prese da quelle che si adottano per i figurini. Anche in questo caso, infatti, non è importante la fedeltà assoluta nei colori ma la sensazione di realismo trasmessa. Sulla base di un colore che sia corretto si farà uso di un dry- brushing a colori chiari, bianco o grigio chiaro, per i dettagli da mettere in rilievo oppure ad un piccolo bagno di colore ad olio scuro per evidenziarne ombre ed incisioni.

Le uscite di kits in resina sono ancora molte e costituiscono indubbiamente un allenamento più che valido a costruire superando le difficoltà, tutto questo ritornerà utile anche per migliorare lo standard dei nostri “normali” modelli ad iniezione. I prodotti più recenti hanno un livello di dettaglio che si avvicina molto ai modelli in plastica delle più grandi case, gli attrezzi occorrenti sono più o meno gli stessi, con qualche attenzione a scegliere le lime, le punte da trapano e gli adesivi.  

                                                                                                                                                                                                                           

SU. 152 - kit Tamiya  - conversione Azimut                    kit Tamiya + torretta MB per ottenere il primo tipo di T 34/85
 
                                                                                                                                                                                                             
kit Tamya, torretta per Kv 1 - prima versione del 1939                          kit di completamento Model Victoria per L 6/40

                                                                                                                                                                                                                         

kit di bunker con torretta Phanter della MIG Productions                       kit in resina della Mini Art del Cv 35

 

3 - MODIFICHE - CONVERSIONI  ED  ELABORAZIONI  

Senza dubbio una delle maggiori attrazioni del modellismo è la grande gamma di possibilità di alterare, adattare o modificare le parti di un kit, dando luogo ad un modello differente. Ognuno può mettersi alla prova, usando le sue risorse di pazienza ed abilità, ma la cosa migliore è cominciare con semplici modifiche strutturali o piccole trasformazioni ed acquisire pratica, intraprendendo qualcosa di complesso più avanti. Per modifiche e conversioni s’intendono tutti gli interventi fatti su di un modello che ne cambino, anche solo in parte, l’aspetto originario, quelle più grandi comportano veri e propri lavori di rifacimento. Le prime potranno essere abbastanza facili cambi di versione o tra configurazioni dalla prima produzione all’ultima – o viceversa -, visto che ben pochi mezzi restavano perfettamente uguali dall’inizio alla fine della produzione, o prodotti da una sola fabbrica. Fino a non molto tempo fa, la pratica più comune era combinare i componenti di due o più kits per avere quello che non era ancora disponibile, ma ormai la proliferazione di kits ha tolto molto di quel gusto, anche se molti kits offrono ancora diverse possibilità di restare una base per versioni anche molto diverse dall’originale.

E’ vero che ormai, con l’andazzo del "3 in 1" di certe ditte, come la Dragon, nelle scatole di montaggio ci sono già in nuce le possibilità di ottenere qualcosa di più diverso in quanto a versioni, ma ci sarà sempre qualche modellista, lo vogliamo sperare, a caccia di un tocco di esotico in più.

In ogni caso, arriva il periodo, per molti modellisti, nel quale non si è più soddisfatti di quel che si ottiene normalmente dalle scatole di montaggio e si desidera intraprendere una qualche modifica. E’ meglio non imbarcarsi in modifiche o conversioni usando pezzi di marche diverse, a meno che si sia calcolato che le riduzioni in scala e le proporzioni siano molto compatibili, il che può essere non infrequente. Le elaborazioni sembrano un bel salto rispetto all’ordinario ma richiedono solo una buona programmazione secondo il nostro obiettivo, un’estensione della nostra esperienza di base, l’ampliamento della nostra preparazione tecnico-storica, una manualità maggiore che possa risolvere gli intoppi e l’applicazione di tecniche primarie con le quali ricaveremo tipi strutturalmente differenti, a volte anche di molto.

Ovviamente, c’è da fare pratica su soggetti facili, non restando delusi se i primi tentativi andranno a vuoto. Per fortuna, da anni sono disponibili sul mercato molte parti alternative, in genere in resina, che ci saranno di grande aiuto specie nei progetti più ambiziosi. Resta fondamentale, però, graduare le varie difficoltà e le nostre capacità contingenti, senza avere traguardi troppo impegnativi, almeno all’inizio. Quando avremo imparato a maneggiare bene gli attrezzi ed a lavorare sia la plastica che la resina, ci si potrà cimentare con lavori più difficili e complicati, come per esempio disegnarci nuove piastre su plasticard e montarle al posto di quelle originali, riprodurre perfettamente un vano motore con l’impianto propulsivo, i serbatoi eccetera o produrre ex-novo alcune parti usando pezzi di scarto e ristampando il tutto in resina.

In effetti l’approccio migliore con i prodotti in resina è proprio quello di cominciare con gli elementi di conversione od i set di miglioramento, parti che unite ad un normalissimo kit ad iniezione, magari non proprio recentissimo, gli danno una nuova potenzialità. Anche in questo settore, dagli inizi mitici dell’allora sconosciuto Verlinden si è arrivati ad un buon numero di produttori, di svariati paesi, che si dedicano esclusivamente alla realizzazione di simili parti supplementari, in genere torrette di nuovo tipo, treni di rotolamento diversi  o veri e propri interni completi.

L’impostazione iniziale comincerà con uno studio comparativo del kit di base, analizzando il più possibile com’è stato preparato ed i lavori necessari per ottenere la nuova versione o configurazione. Non è tutto oro quel che luccica ed è sempre consigliabile, anche avendo dei discreti piani in scala, comparare le dimensioni relative di un pezzo rispetto a quelli di base, lo stampista, specie anni fa, a volte non aveva la mano più felice della nostra, facendo le debite proporzioni. Seguendo un processo logico e restando costantemente più attenti nell’esecuzione dei lavori e nel montaggio, arriveremo addirittura, prima o poi, a migliorare i pezzi di miglioramento grazie ai nostri piccoli interventi.

Le bolle d’aria che a volte si possono presentare alla superficie andranno riempite con stucco o cianoacrilato, alcuni pezzi potrebbero essere incurvati o leggermente piegati, ma la resina è un materiale lavorabile a caldo e sarà sufficiente riscaldare i pezzi ed attendere un po’ per rettificarli, raddrizzandoli o comunque riportandoli al loro stato originale. Con la resina, attualmente, si possono stampare anche pezzi molto piccoli o fini, che però avranno sempre l’inconveniente di essere più fragili rispetto agli analoghi pezzi di plastica iniettata.

Le parti interne ci facilitano molto il compito, ma sono strettamente necessarie, costi permettendo, solo ai mezzi “a cielo aperto” come per esempio certi semoventi. Una giusta via di mezzo è far vedere solo parte di quel che si può scorgere dai portelli aperti di un carro, con meno ricerca da effettuarsi. Tempo fa era impensabile poter trovare numerosi kits di motori da carro armato; di soggetti interessanti non ne mancherebbero certo, dai classici motori da camion adattati, a quelli di derivazione aeronautica, ai diesel. E’ sempre stimolante poter conoscere ed apprezzare uno di questi prodotti della tecnica, ognuno ha la sua storia e le sue caratteristiche contingenti. Piano piano, sono comparsi kit dei propulsori dei panzer più famosi e dei principali tipi di carro alleati, è quasi un peccato “affogarli” nell’interno degli scafi ma si può ricorrere ad una scenetta con argomento la loro manutenzione o riparazione. Attorno ad essi, abbondano le varie tubazioni, a volte parzialmente già stampate, ma si può ovviamente aggiungere molto grazie al filo di rame, piegato ed inserito con l’occhio ad un buon riferimento documentativo, con quello veramente di piccolo diametro si possono facilmente ricavare i fili delle candele.    

All’estremo limite della gamma di possibilità rispetto al completamento della pura e semplice scatola di montaggio, esiste ancora l’autocostruzione, ormai praticata da veramente pochissimi, per una serie di motivi, primi tra i quali la mancanza di tempo libero in misura adeguata e la continua uscita di soggetti nuovi, anche poco sfruttati, che restringe sempre più la cerchia del “mai visto sinora”.

Progettando un’autocostruzione, sarà necessario attendere fino ad avere molta, ma molta documentazione, non partendo mai senza avere almeno un buon set di disegni ed un buon numero di fotografie del mezzo reale, specie nei dettagli. Se il soggetto fosse un semovente, per esempio, assicuriamoci di conoscere bene i dettagli del pezzo d’artiglieria di bordo e di come era assicurato allo scafo, il quale potrebbe essere stato modificato a fondo.

Un altro aspetto importante è decidere per quale materiale usare, se possibile è meglio optare per una combinazione semplice, come quella plastica-plasticard-ottone e stucco. I campi però sono vasti ed alcune volte l’inventiva del modellista supera i trucchi consigliati in un qualsiasi manualetto, basta aguzzare l’ingegno ed armarsi di buona volontà, pianificando non solo la realizzazione dei pezzi ma anche acquisendo una buona gamma di attrezzi ed imparando bene il loro impiego. Stiamo pur certi che, secondo le Leggi di Murphy, l’ultimo dettaglio che ci mancava salterà fuori poco tempo dopo il completamento del modello autocostruito.   

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prime modifiche : 1) fili elettrici, saldature fra piastre, realizzati gli attacchi;  2) irruvidite le piastre;  3) ganci di sollevamento

                                                            

vari materiali contribuiscono a d arricchire e a rendere l' insieme più realistico

                     

lo stucco aiuta ad amalgamare pezzi di varia provenienza e può rendere più ruvide le superfici
migliorando la verniciatura finale e anche a "ritoccare" pezzi poco somiglianti

              

fotoincisioni usate per le griglie, torrette in resina migliorate, teli di protezione realizzati con carta ispessita con colla vinilica,

                                            

dettagliare gli interni, anche se è laborioso, regala quella soddisfazione in più......

                        

il modello finito ed infine verniciato saranno la giusta ricompensa a dure ore di lavoro

 

4 – CORAZZE  E  PROTEZIONI  SUPPLEMENTARI  

La loro forma più comune era quella di piastre, di spessore vario ma sempre minore rispetto  quello di base, imbullonate o saldate ad esse. E’ facile farle, con dei buoni disegni e fotografie e tagliando del plasticard, da piegarsi se fossero curve e seguissero i contorni di una torretta. I relativi bulloni sono facilmente applicabili col metodo che abbiamo visto prima, lo stesso per le eventuali saldature lungo i bordi, basta incollare attorno ai bordi dello sprue stirato a caldo, da trattare col pirografo o stucco per riprodurre il materiale di saldatura. Teniamo presenti le aperture per certe installazioni, come il posto di guida e l’armamento secondario di scafo, già presenti nella piastra di base. Le piastre a volte fornite nei kits sono in genere un po’spesse e vanno scartavetrate sino a quello giusto.

Altre volte, le protezioni supplementari prendono altri aspetti, legati alle circostanze sul campo, perché l’importante era difendersi dai proiettili avversari. Gli esempi sono moltissimi, si parte dalle comuni maglie di cingolo proprie o di carri avversari – ci sono esempi di Panzer IV con maglia del T34, Cromwell con cingoli di Tigre o Panther e di semoventi da 75/18 italiani con cingoli di carri inglesi, fissate con cura o drappeggiate, per le sezioni assicurate a piastre piane si può ricorrere ai cingoli dei kits, se abbastanza realistici, se sulle piastre ci sono angoli o curvature l’ideale è usare cingoli maglia per maglia o tagliare con una buona lama le migliori parti in vinile, riposizionando le maglie.

I cingoli potevano essere fissati con ganci saldati,  o con più elaborate staffe, la cui forma ricaveremo dall’esame di qualche fotografia chiara. Altro elemento comune su molti campi di battaglia erano i sacchetti di sabbia, a volte fermati accuratamente, in apposite strutture, o più frequentemente legati con del filo di ferro a parti del mezzo. Con il tempo, il loro stesso peso e possibili danni li ‘sgonfiavano’ e cosi’ il loro aspetto diventava meno rigido.

I sacchetti di sabbia delle confezioni in plastica in genere sono troppo lisci nella finitura e troppo lineari, mentre sempre controllando sulle foto storiche si può apprezzare come fossero meno uguali fra loro e più accumulati; li si potrebbe incidere e piegare a caldo, ma con fatica sproporzionata al risultato finale. In resina esistono confezioni già pronte, m si tratta di materiale adatto solo ai muretti o studiato solo per pochi tipi di carro, fatalmente sempre gli Sherman o quasi.

Sarebbe preferibile realizzarli in proprio, rotolando pezzi di Das Pronto o stucco, con il quale si prepara un rotolo del diametro di circa 1 cm, da pareggiarsi e poi appiattire con un pezzetto di legno o profilato. Taglieremo poi il rotolo in pezzi squadrati, lunghi 1.5 cm circa, lisciando i loro bordi con un dito inumidito ed appoggiando sulle superfici pezzi di tessuto per dare loro l’apparenza della tramatura della tela di sacco.

Andrebbe ancora meglio modellarli sul mezzo, in modo che prendano già una piega realistica sfruttando la residua malleabilità dell’impasto preparato, prima che asciughi. Le cuciture vanno aggiunte con la punta di un cutter, i lembi della chiusura potranno essere rifatti o recuperati da sacchi di sabbia in plastica. Altri tipi di paste per modellare, in genere usate nelle attività scolastiche, sono ancora più indicate perché più manipolabili  e poco costose rispetto allo stucco.

La forma di protezione meno diffusa, ma più facile a riprodursi in scala è quella del cemento applicato, anche in spessori notevoli, alle sezioni anteriori di certi cannoni d’assalto tedeschi Sturmgeschutz III e IV e, in campo avverso, a quelle di alcuni Sherman. Rientrerà in campo lo stucco epossidico o la plastica liquida, con modalità simili a quelle usate per correggere le torrette fuse. Su diversi Sherman dei Marines usati nel Pacifico, la protezione supplementare prese la forma di assi di legno che seguivano il profilo laterale della sovrastruttura, assicurate con bulloni, ma distanziate e con del cemento versato nell’intercapedine. Questo tipo di protezione, molto di circostanza, può essere riprodotto con legname da navimodellismo, con interi pezzi di plasticare, inciso e lavorato col pirografo, o grazie ad alcuni set di miglioramento in resina, che prevedono già pronte almeno le fiancate dei mezzi.

Realisticamente, le corazze supplementari rallentavano o deviavano i proiettili, facendo restare integra la corazza principale dei carri. Quelle spaziate, usate in molti mezzi tedeschi ed in misura minore anche in tipi inglesi del 1940 ed italiani ed ungheresi del 1943, erano invece un efficace rimedio contro quelli a carica cava, che detonavano prima, smorzandone l’esplosione. Anche se fragili a prima vista, erano piastre o reti che necessitavano di supporti rigidi : se comprese nei kits in genere sono sovrascalate, supporti compresi, ed a volte neanche quelle offerte in fotoincisione sono molto realistiche. Per restare nel campo del fai da te, le piastre possono essere riprodotte in cartoncino o plasticard ed i loro sostegni con del plasticard o con l’ottone, non sarà proprio un lavoretto, ma realizzare una struttura di questo genere ci compenserà molto, una volta completata, in termini di realismo. 

               

a volte, bisognerà aggiungere delle piastre, per irrobustire le pareti dei carri, che nella realtà erano imbullonate o saldate

ecco delle tipiche piastre supplementari, appese a rotaie usate,montate sui cannoni da assalto tedeschi, ben visibili su questo Stug IV

 

5 – LA  ZIMMERIT 

I particolari sviluppi della lotta controcarro, con l’uso di alcuni tipi di mine magnetiche, fecero apparire in campo tedesco un ingegnoso sistema di protezione dalle stesse, con un impasto antimagnetico, a base di cemento.

Dall’estate del  1943 sino ad un certo periodo del 1944 si applicò un composto chiamato zimmerit, dal nome della ditta ideatrice C.W. ZIMMER di Berlino, sia in fabbrica che campalmente in alcuni casi. La zimmerit si presentava con una superficie corrugata, in modo che l’impasto essiccasse velocemente (3 ore) e per poterne usare meno, le superfici interessate erano quelle più vulnerabili, in pratica un pò tutti i lati dello scafo e della torretta, incluse le superfici sotto alle corazze distanziali ed in alcuni casi sino ai supporti dei fari. Lo zimmerit veniva applicato con attrezzature non standard e l’applicazione era soggetta a molte varianti, mentre almeno una versione comune fu presente su una dozzina di tipi diversi, ogni tipo di carro e semovente ebbe un sua versione, o più versioni diverse, per il Panther per esempio ce ne sono almeno otto differenti, mentre invece campalmente si coprirono alla meno peggio, in certi casi, anche semicingolati SD. Kfz. 251 o semoventi di altro tipo.

Dopo la classica controllatina alla ricca documentazione esistente, specie per non affannarci a “zimmerare” mezzi che, almeno in fabbrica, non la ricevettero mai, prepariamoci a riprodurla, considerando questo lavoro supplementare come una fase vera e propria e non un semplice arricchimento. Infatti, dovremo pensare, secondo il tipo di mezzo, a che questa fase non intralci le altre, fermo restando che la verniciatura sarà successiva.

Il procedimento più vicino al sistema reale è quello che prevede lo stucco. Ne useremo del più fine e malleabile che avremo a disposizione, applicandolo a strati sottili e diluiti nelle prime fasi della costruzione ed operando su di una superficie per volta, applicandone un po’ ad ogni ripresa. Per abituarsi ad usare quantità giuste ed avere un ritmo costante, prendiamo mano magari la mano su vecchi scafi. Bagnando abbastanza di frequente lo stucco avremo il vantaggio di poter correggere gli eventuali errori in tempi brevissimi.

Per i tipi di zimmerit regolare, il modo più realistico è costruirsi un piccolo set di stampini dentellati, usando un po’ tutto quello che possa avere sporgenze piccole e spaziate, come ingranaggi o tappi di bottiglia in plastica. Incollando strisce di questi materiali su supporti piani o semicurvi, otterremo stampini più versatili ed economici di quelli metallici in commercio. Attorno a certe parti,  feritoie, visore del pilota, ecc., avremo, in scala ridotta, lo stesso problema che c’era nella realtà, ma ne verremo a capo girando loro attorno ed usando a volte delle vere e proprie toppe. Nelle zone veramente piccole, ed attorno a bulloni o portelli, sono utili anche punte di cacciavite o lamine smussate con carta vetrata. Eventuali parti da aggiungere sulle superfici, supporti per fari, scudature ecc., è meglio lo siano quando lo stucco è ancora fresco, così la giunzione sarà realistica. Anche per questo di stampini sarà meglio realizzarne diversi, cercando sempre di avvicinarsi alle dimensioni e forma delle righe reali. Con questo sistema, si arriva ad un alto grado di perfezione, anche se il completamento del mezzo può così’ richiedere molto più tempo.

Esistono in vendita lastre in resina o fotoincise, già pronte per i tipi principali che vestirono la zimmerit. A parte il costo supplementare, a volte non sono un granchè realistiche, con righe troppo regolari e vi sono comunque problemi d’incollaggio ed altri legati al fatto che essendo state studiate per certi kits non sempre sono riciclabili per altri, se non con ulteriori interventi. Dopo alcuni tentativi di kits già con la zimmerit stampata – negli anni ’70 fu pioniera in questo senso la Monogram ed altri estemporanei, anche la soluzione del kit già predisposto con una zimmerit stampata non è praticabile, se non con i più alti standards di stampaggio propri di alcune ditte.

Normalmente, un mezzo appena zimmerato era color grigio ocra, grazie al 15 % di tale pigmento presente nella sua composizione. E’ bene aver presente che sulla zimmerit, spessa all’incirca 8 mm od anche meno, veniva stesa la mimetizzazione, ma c’erano poco più delle insegne nazionali e dei numeri tattici, in alcuni casi i distintivi erano contornati, specie i più elaborati, per non doverli ridipingere più faticosamente. Inoltre un altro vantaggio della zimmerit era che rendeva la sagoma dei mezzi meno nitida e percettibile, anche la mimetizzazione era più raro restasse veramente “nuova”. Nella sua composizione entravano anche in buona parte colla, segatura di legno ed acetato polivinile, così era facile che lo strato di zimmerit, dalla consistenza simile a quella del gesso, se un colpo andava a segno, bruciasse più o meno estesamente, restando però attaccato sul carro, perciò un mezzo “zimmerato”, in caso di danni, è probabile sia anche annerito perlomeno in parte, salvo la zona colpita direttamente, che resterà in acciaio con tracce del rosso minio  anticorrosione. Altro discorso per danni occasionali o scrostature date da un intenso uso.    

                                                  

la zimmerit dovrà essere applicata senza mai dimenticare le particolarità dei carri su cui stiamo operando,
perciò sarà uno strato leggero o più pesante, ma sempre lasciando liberi i vari portelli o addirittura i bulloni

   

la zimmerit, infine, ci darà una mano ad esaltare l'invecchiamento

   

la vista frontale di questo Stug III tedesco, mette in risalto la zimmerit in stile "a quadretti",
sarà un problema realizzarlo sul nostro modello

 

6 – LE  PARTI  FOTOINCISE 

Se è vero che anche in un kit ben dettagliato, a causa dei limiti dello stampaggio della plastica iniettata, i parafanghi, le protezioni o le griglie possono presentarsi troppo spesse o non realistiche, non resta che rifare i pezzi ex-novo o ricorrere alle apposite confezioni di fotoincisioni in ottone, rame od acciaio. Essi sono entrati massicciamente nel modellismo militare, dopo l’esordio che risale a vent’anni fa, offrono molti vantaggi, come il poter avere elementi molto sottili e precisi e la possibilità d’avere già pronti pezzi con dettagli impossibili da riprodurre con i classici stampi in plastica o resina.

La tecnica è arrivata a livelli quasi inarrivabili, con per esempio griglie e reti, il cui disegno poteva variare di molto da un mezzo all’altro, con tramature  particolari. Un loro grande inconveniente è però il fatto di essere elementi piatti, senza volume, anche se hanno dettagli in rilievo. La produzione, nella quale fu veterana la cèca Eduard nei primi anni ’90, è ancora basata soprattutto su kits esistenti ed è strettamente legata alle nuove uscite, il loro uso più comune resta quello di perfezionare e dettagliare le scatole di montaggio, ed alcune già li comprendono. Ma le applicazioni dei prodotti fotoincisi sono veramente innumerevoli, in  confezioni autonome, come le cancellate, il fogliame, il filo spinato, eccetera. o trovarne per i figurini (cinghie e buffetterie). Ci stiamo ormai viziando con proposte che solleticano la nostra latente pigrizia, come per esempio le linee di saldatura, da rifinire comunque con una passata di stucco liquido perché sembrino verosimili, o con gli elmetti per gli equipaggi da “costruire” più o meno come quelli veri ! 

I fogli fotoincisi ormai non sono nulla di strano, ma dei piccoli kits a sé stanti, anche se esistono dei limiti oggettivi alla loro forma ed a volte non si raggiungono effetti convincenti. Tutte le parti sono da studiare attentamente, per valutare bene se sono usabili subito o se siamo di fronte a qualcosa di migliorabile.

Per lavorarli, si può usare una lente d’ingrandimento, per non sforzare troppo gli occhi sui vari dettagli, per tagliare le parti con realismo basta piazzare il telaio su di una superficie dura – tipo legno o cartoncino – ed usare una lama affilata, a scalpello, o delle forbicine ben affilate, per poi pareggiare le zone staccate con delle limette adatte. Certe volte, è necessario modificare leggermente le dimensioni di un pezzo, per adattarlo al punto nel quale deve essere collocato. Basta tracciare con una matita le linee guida, da seguire poi le forbicine. Le parti separate dai supporti non vanno piegate solo con le nostre dita, ma con pinzette ed appoggiandoci su di una dima in legno o metallica, per avere una piega netta, del resto agevolata da linee o fessure-guida. Prima d’incollare i pezzi è meglio provare a secco, e piegarli di nuovo se necessario, altrimenti l’errore si vedrebbe poi microscopicamente. Le parti restano delicate e sono da manipolarsi con molta cura, perché eventuali deformazioni sono poi difficili da correggere. Ci sarà d’aiuto una limetta per sgrossare il bordo dei tagli e renderli realistici; altri pezzi sono già concepiti per essere incurvati, operazione da realizzarsi sempre effettuando una pressione graduale su di un oggetto cilindrico a mò di dima, impugnando pinzette a punta piatta.

La miglior colla da usare per le parti fotoincise resta quella cianoacrilica, del tipo in gel, che permette un po’ più di tempo d’essiccazione per riposizionare i pezzi sopra al kit, con la miglior precisione possibile. In altri casi, può essere necessario usare della colla vinilica, se si tratta di elementi molto piccoli.

Altre applicazioni dei pezzi fotoincisi sono le lastre usabili come stencils (Stencilit ed Eduard, per esempio) che permettono di verniciare insegne e numeri d’identificazione come nella realtà, facendo superare con una finitura più realistica, i risultati, a volte non esaltanti, delle decals e superando persino, nella resa, i trasferibili. L’uso di queste mascherine è pratico, basta separare gli elementi che ci servono e posizionarli sul mezzo per la verniciatura, che verrà bene con un minimo di pratica e precisione. 

  

7 -  DANNEGGIAMENTI  E  DANNI  DA  COMBATTIMENTO 

Già un’attività abbastanza intensa ed una manutenzione normale causavano ben presto scrostature nella vernice e corrugamenti nelle parti in lamiera. I corazzati sono ovviamente in grado di muoversi anche travolgendo ostacoli abbastanza impegnativi, che non mancano di lasciare il segno sulle parti in semplice lamiera come i parafanghi. Possono anche subire danni più cospicui sottoforma del risultato del contrasto da parte dell’avversario – colpi, schegge, mine eccetera e questo senza perdere efficienza. In pratica, un carro operativo non restava intatto a lungo, specie sul fronte orientale sul quale le battaglie di carri furono intense e senza molte possibilità, per i reparti, di avere pezzi di ricambio in tempo utile.

Le condizioni autentiche dei mezzi da combattimento dell’epoca potevano anche essere più “drammatiche” della media dei modelli che completiamo.    

Ammaccature e danni, ovviamente, riguardano per prime le parti più fragili come parafanghi e marmitte, fari od altre parti esposte. Esse si potevano rovinare anche sui lati, a causa di edifici, alberi ed ostacoli stradali. Le ammaccature da urto si simulano scaldando le parti interessate e torcendole appena con una pinzetta, appena sono ammorbidite al punto giusto, oppure “a freddo” con l’aiuto di frese o limette. Nei kits, i parafanghi in genere ormai sono sempre predisposti a parte, anche in più sezioni, sarà così più facile rovinarli solo in certe zone e, sempre tenendo presente in che scala lavoriamo, se avessimo ottenuto un aspetto troppo “arricciato” di alcuni punti, si può armonizzarli col resto sempre col calore o a freddo, con il cutter e le limette. Specie per i parafanghi, la premessa è alleggerire le parti visibili, con frese o carta abrasiva.

La tecnica per riprodurre danni da fuoco di armi leggere o di piccolo calibro, uno dei tipi di danno più comuni, è abbastanza più laboriosa.

Si inizia con il verniciare l’area scelta color metallo, una volta asciugata la verniciatura mimetica si graffierà proprio in quel punto, con delicatezza, finchè non ricompare il color metallo.

Secondo i vari calibri e le circostanze, potranno comparire fori più o meno distanziati fra loro o incavature,  piccole e lunghe, lievi e più larghe e così via, le “smagliature” possono essere arrotondate con carta vetrata e ripassate con una delle apposite matite a pastello. Per i fori, useremo con decisione uno spillo caldo, introducendolo dando il senso della direzione della raffica. Con mano ferma, muoveremo lo ruoteremo, provocandone il distacco dal kit ed avendo un foro frastagliato  e perciò realistico. I colpi non penetrati su di un carro pesante potevano essere diversi, concentrati più o meno nella stessa zona, per quelli leggeri, ovviamente, spesso uno solo a segno era fatale. Le circostanze potevano essere diverse, ma nei carri medi era difficile che una loro piastra, centrata da più colpi di medio calibro, reggesse. Questo tipo di colpi, a bordi sfrangiati, si può agevolmente riprodurre con le frese. Il tipo di proiettile più comune era quello perforante, che creava un foro abbastanza netto, senza altri danni apparenti a parte la vernice staccata molto irregolarmente a scaglie o “cotta” nei dintorni, a meno che non esplodessero le munizioni o il carburante.

Nella verniciatura, provvederemo con il pennello, di punta, a tracciare delle sottili linee quasi concentriche, per le scaglie. Secondo il calibro del proiettile e lo spessore e qualità della corazzatura, ci potevano essere fori netti, che modellisticamente non hanno bisogno di molte rifiniture, solo una punta di vernice color metallo internamente e marrone scuro o nero diluiti all’esterno, eventualmente color ruggine se è passato tempo dal danno, o piastre sconquassate, con danni sproporzionati al colpo ricevuto, in altri casi.

Controllare un po’ di fotografie di carri messi fuori combattimento ci darà l’ispirazione giusta, per dei danni realistici. I proiettili a carica cava detonavano in modo da concentrare l’esplosione in un’area ristretta, il risultato era una specie di lancia termica che bucando la corazza creava un foro non molto grande, a bordi fusi di calore. Per riprodurre questi danni, serve un chiodo, scaldato su di una candela, infilato nel tratto di corazza che ci interessa, ritirato quando la plastica sta rassodandosi, il foro va rifinito con le frese. Le corazze addizionali o spaziate potevano subire una quantità limitata di danni, le prime se colpite direttamente spesso venivano a disarticolarsi, mettendo a nudo la corazzatura principale, intatta. Le schurzen tedesche, per esempio, erano forabili da armi leggere e da molte armi controcarro, tuttavia l’errore che si fa a volte è quello di piegare i bordi, cosa che non può essere dato il loro spessore, senza danneggiare invece i loro supporti, che andavano strappati o perdevano la loro rigidità.

Tutte le parti non corazzate erano danneggiabili, a volte anche pesantemente, da schegge di granata, che sulle scatole metalliche facevano buchi veri e propri e su quelle di legno tagliavano e staccavano pezzi.

Una via praticabile è, per prima cosa, alleggerire la parete interessata con una fresa, si potrà poi trattarla con la punta di un cutter.

Un altro tipo di danno comune è un cingolo spezzato, per incidente o per danni subiti da mine o proiettili. Con un cingolo rotto, non vuol dire che il carro non possa fare ancora alcuni metri, srotolandolo per intero o buona parte. E’ relativamente facile, anche coi normali cingoli, purchè abbastanza realistici, fissarli in piano da una parte, mentre l’altra, aiutandosi con gli spilli come descritto prima, andrà “insaccata” fra i ruotini. Il compito è molto più facile, anche per riprodurre situazioni complicate, se avessimo a disposizione dei cingoli maglia per maglia, che risultano veramente molto più versatili e perciò realistici.        

Per finire, qualsiasi tipo di danno sufficiente a fermare un carro voleva dire l’abbandono da parte dell’equipaggio, o dei suoi superstiti, perciò la possibilità che si veda qualcosa degli interni della torretta, del vano motore o della camera di combattimento. Per il resto, non si dovrebbe vedere molto delle viscere di un carro danneggiato, a meno che i danni non siano catastrofici. Danni gravi però vogliono dire segni d’incendio a bordo, il che nasconderebbe in gran parte i possibili dettagli e toglierebbe di mezzo i carichi esterni ed il treno di rotolamento, le cui parti in gomma di rulli e ruotini venivano ridotti a semplici pezzi calcinati, con una pila di cenere attorno.

Per quest’effetto, basta mettere le ruote su di un trapanino e scartavetrare a fondo, ma stando attenti che il calore dell’attrito non le distorca troppo, non sempre ciò accadeva.

La cenere si ottiene da polveri di colore pastello, spargendo prima quella nera assieme ad una miscela grigio scuro, poi bianca in quantità minore sopra quella nera, il tutto va fissato con alcune gocce di acquaragia o trementina pura, una volta asciutto il solvente la cenere avrà aderito perfettamente.

Rappresentare i danni subiti è un procedimento lungo e difficile rispetto al semplice completarlo intatto. Anche nel danneggiare i nostri modelli, la documentazione ci consentirà di avere le idee molto chiare, per avere coerenza e non solo spettacolarità. La verniciatura, per esempio, prevederà zone annerite, parti incavate bluastre a causa della temperatura elevata e grandi zone ossidate.

I “baffi” di fumo sono da sfumarsi molto e dovranno avere un andamento a strisce parallele, più scure nella loro parte inferiore, ovviamente usciranno da portelli aperti, feritoie ed in genere da tutte le fessure, anche piccole, esistenti. Tutt’attorno ai carri abbandonati, potevano esserci accessori interni o parte degli effetti dell’equipaggio, oltre che stracci o documenti cartacei, ma allora tutto quello che ancora poteva essere utile si recuperava. 

sui fianchi di un mezzo molto protetto, come in questo caso, i colpi di armi leggere lasceranno semplici graffi
sulla superficie, per riprodurne l'effetto sarà sufficiente incidere leggermente qua e la con una piccola punta
 

8 – MEZZI  A  RUOTE 

Accanto od al seguito dei reparti corazzati veri e propri, durante la Seconda Guerra Mondiale furono presenti, anche se non in tutti gli eserciti, grandi quantità di mezzi blindati per l’esplorazione, il trasporto truppe, l’osservazione d’artiglieria e quant’altro. In questo tipo di mezzi mancano, è vero, i cingoli almeno in parte, e la presenza delle ruote pone altri e diversi problemi di realismo, come quella di estese parti in lamiera come parafanghi e scatolature, che in un carro potevano anche mancare. In più, molti erano solo parzialmente a cielo chiuso e ciò aggiunge anche a nostro carico la riproduzione, almeno in parte, degli interni, che a loro volta saranno abbastanza da arricchire, anche con le dotazioni, moltiplicate per almeno una mezza dozzina di uomini, dell’equipaggio e di tutto quel che serviva a marciare confortevolmente.

Obiettivamente, in tanti anni di modellismo, le case produttrici non si sono molto addentrate nell’argomento, mettendo sul mercato pochi mezzi buoni in plastica e mezzi in resina abbastanza buoni ma bisognevoli di molto lavoro di dettaglio. Solo da un paio d’anni la tendenza sembra cambiare, ma sempre al riguardo di mezzi molto conosciuti come quelli tedeschi.

Anche per questo tipo di veicoli, nei quali telaio e sospensioni sono in bella vista, il cruscotto è quasi sempre visibile come del resto il posto di guida e generalmente la presenza di dettagli è ricca, bisognerà lavorare non solo con piani in scala ma anche con molta documentazione fotografica, dalla nostra avremo il fatto che blindo e semicingolati sono più diffusi tra i cultori dei mezzi storici e non sarà difficile incontrarne anche più d’uno nei vari raduni.

Per le parti curve, si può piegare una striscia di plasticard pressandola sotto una superficie piatta con un attrezzo cilindrico ed estraendolo a poco a poco. La plastica molto sottile si potrà incurvare avvolgendola attorno al manico di un pennello, si può anche prendere un foglio, fissarlo con del nastro adesivo su di una forma : immergiamola in acqua ben calda, lasciandola ammorbidire e poi raffreddandola in acqua fredda, per mantenere la nuova sagoma. Per incidere i portelli o le portiere di un mezzo si può usare un tracciatore, lavorando sulla parte interna della superficie; con una  matita si segna la zona nella quale dovrà comparire la separazione, poi si ferma il pezzo a faccia in giù su di un pezzo di legno con del nastro adesivo e s’imprime il segno con un righello metallico. Se ci fosse la necessità di applicare nuove rivettature, per inciderle useremo un attrezzo appuntito, tenuto contro un righello metallico flessibile e pulendo ogni tanto la superficie per togliere i “riccioli” che avremo prodotto. Si lasceranno, per le fasi finali, i pezzi molto sottili come retrovisori, palette d’ingombro e pedane. I parabrezza devono essere ritagliati il più precisamente possibile, carteggiando le imperfezioni, non dimenticandosi dei tergicristallo e dei loro motorini, per fortuna tutto questo è rintracciabile all’interno degli appositi fogli fotoincisi dedicati anche a questo tipo di mezzi. Il filo di rame, di diversi spessori tendenti comunque al molto fino, sarà stavolta indispensabile, per preparare sia le tubazioni ed i cavi interni, sia i fili dell’impianto elettrico che i supporti dell’eventuale telone, le maniglie, gli attacchi per gli attrezzi eccetera.

Un problema molto comune per gli elementi che incorporano parti grigliate è che il tutto, oltre ad avere un disegno a volte neanche simile a quello originale, ha poca rigidità e s’incolla male. In alternativa ad usare pezzi fotoincisi, si possono sostituire con griglia metallica, per risolvere il problema dello spessore bisogna ribassare i telai con una lima piatta, per ottenere lo spazio necessario; ritaglieremo poi la griglia servendoci di una sagoma di carta disegnata in precedenza, con le dimensioni esatte. 

I vetri sono un “terreno minato” perché in genere sono stampati in plastica trasparente, soggetta a graffi ed opacizzazioni se maneggiata in modo errato. Per i parabrezza o gli eventuali finestrini, per fissarli si può usare colla vinilica, che se debordasse può essere tolta facilmente. Se ne possono ricavare di nuovi da pezzi d’acetato, ricalcando i pezzi del kit, che in genere hanno troppo spessore  e poca trasparenza, come fossero sempre blindovetro. In caso si dovessero tagliare parti trasparenti abbastanza grandi, lo si deve fare molto accuratamente, evitando sbavature che magari danneggeranno tutto un pezzo. L’unico sistema sicuro è coprirlo con strisce di nastro adesivo, lasciando solo una piccola  “fetta” scoperta lungo la linea da tagliare, il che fornisce una guida e protegge anche il resto delle superfici se il seghetto scivolasse. Una volta terminato il taglio, basta asportare il nastro adesivo. Un cutter potrebbe essere controproducente, sia per la sicurezza delle nostre dita che per ogni sforzo non misurato, causa di possibili rotture del pezzo. Le parti trasparenti graffiate o divenute opache possono essere pulite col dentifricio, applicato con un dito e sfregato, sino a restituire la trasparenza perduta.       

Spesso è necessario ridurre lo spessore di parafanghi e targhe, in modo che sembrino sottili come la lamiera, usando un cutter a lama ricurva per sistemare l’interno. Le targhe possono essere tolte, per sostituirle con un foglio di plasticare opportunamente tagliato, usando la relativa decal, se presente, come guida. Le sospensioni sono da modificarsi solo se sembra che ne valga la pena. Le molle a balestra sono fatte in un pezzo unico e non ben rifinite in molti casi con i loro dettagli di strisce, morsetti e bulloni. Se non ci riesce di migliorarli, rifacciamoli, usando come guida quelli del kit. Le molle degli ammortizzatori possono essere sostituite con del filo di rame, avvolto attorno ad una bacchetta di sprue stirato a caldo.

E’ importante, per un mezzo a ruote o semicingolato, di assicurarlo bene al terreno, così il telaio non deve avere deformazioni per evitare il sollevamento di uno o più rulli. Controlleremo le parti di esso od il pianale per tenerne allineati i lati più lunghi mentre lo incolliamo. Ci sarà da ricontrollare la simmetria del mezzo dopo aver aggiunto le sospensioni, prima con le ruote montate a secco, ma anche dopo averle incollate. Non solo i mezzi devono poggiare sul terreno in modo convincente, ma anche la cura dei particolari delle ruote darà loro più realismo.

Tra i vari pezzi di un kit, le ruote danno spesso l’impressione di rigidità, provocata dai fianchi troppo regolari e da battistrada uguale per tutta la circonferenza. In realtà, si determinerà sempre un certo schiacciamento della parte che appoggia a terra. Le ruote in plastica si possono comunque appiattire, senza squadrare la gomma, limandole e passandole su di un pezzo di carta abrasiva di gradazione media. Per ottenere la ‘pancia’ di un pneumatico morbido scaldiamo un coltello, premendolo su di esso, un altro sistema è limare ed appiattire il pneumatico, per poi incollare un pezzo di plastica sottile alla base e fare il rigonfiamento con plastica liquida. Le ruote presentano spesso una giuntura al centro del battistrada, raschiamola via con un cutter, riscolpendo le linee laterali con lo stesso attrezzo. Per un battistrada a righe, è sufficiente mettere il pezzo della ruota su di un perno, tenendo il cutter su sospensioni di cartone, girando la ruota contro la punta del cutter. In certi casi il battistrada è normale che possa presentare delle parti lisce, per dare l’idea di un pneumatico consumato, non c’è  che da “grattare” via con della carta abrasiva parte del battistrada e scartavetrare anche lateralmente, ma con meno vigore e regolarità, mentre con la lama di un cutter potremo praticare piccolissimi intagli e scalfitture sul battistrada; non dimentichiamo la ruota di scorta, anch’essa può essere consumata leggermente. Se le gomme fossero in plastica morbida nera, possono essere meno realistiche, sembrando troppo nuove; per cambiarne l’aspetto, basta togliere le linee di giuntura e rendere ruvidi battistrada e parti laterali, con una scartavetrata sottile.

Per la verniciatura delle gomme, applicheremo un leggero strato di grigio scuro, mai il nero, ed eventualmente poi applicheremo a dry-brushing un po’ di marrone scuro, molto diluito. Se occorre, si può mettere in evidenza un battistrada passando una mano di vernice scura e lasciandola penetrare, quando sarà asciutta ripasseremo attentamente la superficie con un tono più chiaro.

Per rendere più “vissuta” la struttura di un sedile, prima di montarlo daremo una passata con delle frese sulla superficie dell’imbottitura, che perderà subito la levigatezza, apparendo più consumata. Al momento il risultato sembrerà forse modesto, ma quando si passerà alla verniciatura il sedile apparirà veramente logorato, a mò di vecchia poltrona.

Applicare i danni, sia d’uso che di combattimento ai mezzi blindati è un “gioco” ancora più  popolare per molti. Per simulare il metallo ammaccato si può ammorbidire la plastica con una piccola fonte di calore, per modellarla in seguito con un altro attrezzo, sempre evitando però di toccarla. La parte interna del pezzo va tenuta rivolta verso la fiamma, per la faccia esterna si usa…molto borotalco. Mentre la plastica va ammorbidendosi, la si preme con un cucchiaino, muovendo fino a che si ottiene una cavità realistica. Il talco ha fatto da isolante, ma resta la difficoltà di dosare bene la distanza dalla candela, ed è meglio fare prima delle prove su dei pezzi non più utilizzati. 

Un altro modo per riprodurre metallo dentellato è sostituire i pezzi più semplici con altrettanti di metallo sottile, da piegare o forare più realisticamente.  Se avvenuto un urto contro l’angolo di un muretto od edificio oppure contro un ostacolo fisso, si userà lo spigolo di un pezzo di legno, spingendolo nell’ammaccatura. I parafanghi possono essere agevolmente levigati o raschiati dall’interno e poi lavorati, anche tagliandoli. Ricordiamo che se una parte è aperta si deve poter apprezzare molto bene l’interno, ricostruendo al limite la struttura con pezzi di plastica o sprue. 

Per riprodurre un parabrezza in frantumi, tagliamo la parte del kit o quella rifatta, spezzandola lungo la linea di taglio per creare un bordo dentellato, segneremo le rotture del vetro con un cutter, in superficie. Per i fori di proiettile di fucileria, converrà fare solo una serie di macchie in metallo spento, che simuleranno la vernice staccata, attenzione all’angolo d’impatto, che deve essere uguali per ogni punto toccato.

Il posto di guida di un mezzo ci dà l’opportunità d’inserire molti dettagli realistici e che daranno un senso di completezza anche al modello più “tirato via”.  Dettagliare maggiormente il cruscotto richiede molta precisione e fonti di documentazione assai precise, cosa non sempre facile, tuttavia è possibile riprodurre il pezzo con buona approssimazione.

Ritagliamo da un foglio di plasticard una sagoma uguale a quella del cruscotto sulla quale segneremo la posizione degli strumenti. In essa praticheremo dei fori a caldo, attraverso i quali andranno infilati poi dal retro i cavetti, ottenuti come al solito da fili di rame molto sottili. Gli “orologi” degli strumenti sono riproducibili usando decals od immagini tratte da riviste, l’idea di un po’ più di profondità la si può dare con un filo di vinavil o meglio un tondino d’ottone applicato attorno ad essi, in modo che sembrino veramente incastrati nel cruscotto, poi con calma stenderemo pochissima vernice lucida su ogni strumento, dando l’idea del vetro; ultimo accorgimento è coprire il tutto per evitare che la polvere ricopra proprio gli strumenti laboriosamente preparati. Sul retro, in corrispondenza ad essi, si fissano dei corti elementi cilindrici sui quali si innestano i cavetti. 

La maggior parte dei pulsanti può essere resa con punti di colore o con delle goccette di vinavil. I comandi principali e la pedaliera sono inclusi in molti kits, ma in quanto ad accuratezza e resa in scala, siamo a posto solo nei più recenti. Le leve del cambio ed i pedali sono facilmente ricostruibili con plasticard e filo di rame sottile, coi pomelli delle prime riprodotti anche qui con piccole gocce di vinavil, per le forme più complicate ricorreremo agli appositi fogli fotoincisi. 

In proporzione, i mezzi  a ruote appaiono quasi sempre “vissuti” anche negli interni, che d’altronde rimangono ben visibili nei nostri modelli. Vi sono alcune parti nelle quali senz’altro la vernice, consumata dall’uso, lascerà trasparire il metallo sottostante. Con un po’ di pratica e dopo aver guardato qualche foto, interverremo nei punti più plausibili. I teloni, per finire, non potranno mai avere proprio lo stesso colore della carrozzeria, in più scoloriscono facilmente sotto l’azione degli agenti atmosferici.  

                               

dettagliare il telaio, gli interni e rendere "vissuto" l'insieme del mezzo serve a renderlo più realistico

               

ed ecco i risultati su questo autocarro Chevrolet usato dalla LRDG inglese, kit Ttamya,
 e su questo Horch 15, kit Italeri
 
 

9 – DOTAZIONI  E  CARICHI  

Sono, ancora oggi, l’assieme d’attrezzi e dotazioni, come ricambi, contenitori per granate e carburante, effetti personali dell’equipaggio, che trovavano posto all’esterno dei mezzi, in genere sui parafanghi e sul cofano motore, ed in torretta. Questo per avere tutto a portata di mano e tenendo presente che quasi mai, all’interno, c’era il benché minimo spazio superfluo. Sul campo, poi, gli equipaggi s’ingegnavano ad aumentare le dotazioni anche con tutto quello che poteva tornare utile al comfort ed al veicolo in genere, come viveri e coperte supplementari, pezzi di ricambio e con materiale di preda bellica, specie armi leggere, perché a volte  migliore del proprio. Tutto poteva tornare utile, specie su fronti particolari come quello africano, od in caso di lontananza dalle proprie fonti di rifornimento, basta studiare qualche fotografia storica per  rendersene conto, era una profusione  di oggetti da sistemare in maniera semi-permanente, in modo da non perdere qualcosa per strada. Una delle attrattive di mezzi, corazzati e non, è proprio data dalla gran quantità d’equipaggiamenti e carichi visibili, attenti però a non esagerare, nessun carico deve interferire con l’uso dell’armamento o con la visuale dell’equipaggio.

Con un pò di accortezza, specie se siamo alle prime armi, potremo arrivare ad un sufficiente realismo con i carichi già presenti in un kit, a volte però la cosa migliore è usare carichi già pronti in commercio o, se possibile, autocostruirseli. In ogni caso, basterà personalizzare il nostro carro con senso della misura, perché ci saranno punti dove si accumuleranno vari carichi, più stabilmente ed al sicuro, in altri mento ed in altri ancora al posto del caricamento regolamentare potrebbe anche non esserci nulla. Tutto quello che non è fissato in altri modi deve pur vere una cinghia per poter essere appeso, fissato saldamente o deve essere sistemato agganciandolo ad un altro punto, il tutto in modo realistico, come sul mezzo vero. Si adopereranno così strisce di carta o lamierino di piombo, realisticamente piegate.

Alcuni pezzi non presentano difficoltà, basta avere  una discreta “banca dei pezzi” dalla quale trarre anche oggetti inusuali come padelle, copertoni, scarpe o stivali, eccetera. Le casse erano in legno o metallo, a volte sono già pronte nei kits ma restano poco realistiche. Basterà però trattare le pareti col cutter e con le frese, e dettagliare le cerniere, perché il realismo migliori. Per quelle metalliche dei kits è sufficiente dare loro un aspetto più vissuto, riproducendo in erti punti alcune ammaccature. Sono facilmente autocostruibili, per i sistemi di chiusura e le maniglie basterà usare pezzetti di plasticard e filo di rame piegato. Anche se molte casse sono già presenti in confezioni in plastica o resina riguardanti accessori e carichi supplementari, può darsi che altre volte ce le dovremo autocostruire, perché non ne troveremo  delle dimensioni che ci servono. E’ sufficiente usare dei pezzi di plastica e lavorarli poi come nel caso precedente. Le gabbie contenenti oggetti o taniche sono riproducibili con strisce di plasticard incollate fra loro,  coi segni delle saldature agli angoli.

Largamente impiegate, per nascondere mezzi e pezzi d’artiglieria fermi, le reti mimetiche si possono simulare con quadrati di tulle, pezzi di stoffa di nylon o simili fibre o con reti per prodotti alimentari, basta che la tramatura sia proporzionata alla scala. Per aumentarne il realismo, dopo averle aerografate in colore marrone molto chiaro, si possono applicare, tra le maglie, sottili ramoscelli di muschio o lichene o fettucce verdi e marrone qua e la. Le reti vanno drappeggiate sui mezzi nel modo più conveniente, fissandole con un po’ di vinavil, che inoltre è utile, steso su certe parti, per irrigidirle in una posizione prestabilita. Ovviamente, se volessimo riprodurle aperte e stese, avremmo un bel diorama ma il mezzo risulterebbe troppo…invisibile !

Per i pezzi, come i sacchetti, che si adattino bene alle varie superfici sulle quali sono posati, è meglio autocostruirli con lo stucco epossidico o col Milliput, partendo da una forma tondeggiante, sagomata con la punta di uno stuzzicadenti o con quella di un pennello per le pieghe più morbide, eventuali cinghie vanno fatte col solito materiale ed aggiunte per ultime. Le taniche furono un’invenzione tedesca, poi copiata da italiani ed Alleati, per il trasporto di carburante o acqua.

Erano contenitori metallici composti da due metà stampate, saldate fra loro e munite di un tubo, del meccanismo di chiusura e delle maniglie. In pratica, quelle in plastica dei kits o delle scatole di accessori a volte non hanno un sufficiente grado di realismo. Vanno già meglio quelle in resina o di plastica della nuova generazione, per quelle più a portata di mano, che troveremo già fornite nelle scatole di montaggio, sarà sufficiente comunque incollare bene il meccanismo di chiusura e le maniglie, non tralasciando di trattare le superfici col cutter o le frese, riproducendo qualche botta, per avere delle taniche più che decenti.

Teli arrotolati, coperte e sacchi a pelo sono abbastanza facili da riprodurre, usando tovagliolini di carta. Si comincia con un pezzetto bagnato in acqua, piegato per il lungo e poi arrotolato e legato con filo nei punti ove andranno posizionate le cinghie; con un po’ di pratica arriveremo già a buoni risultati, imparando anche ad aggiungere le cinghie anche dopo la verniciatura, per ultime, perché dovranno passare attorno a qualche elemento. I tronchi presenti sui lati di molti mezzi sovietici o di altri del fronte russo, erano insostituibili nell’aiutare a passare per le paludi, possono essere recuperati lavorando grosse radici che abbiano una discreta apparenza della corteccia; anch’essi vanno assicurati il meglio possibile, con del filo di rame, allo scafo. Per sostituire le funi di traino con delle nuove, più “vere”, basta farle in filo di rame intrecciato e togliere via gli occhielli in plastica dalle estremità di quelli del kit, facendo in essi un’incavatura e fissandoli poi alle nuove funi, che appoggiate sui mezzi o stivate secondo le norme danno un elemento di caratterizzazione in più.

Tutti i tipi di dotazioni e carichi dovranno essere pre-verniciati e molta attenzione dovrà poi essere posta nell’incollarli al mezzo, magari usando colla liquida o meglio ancora del cianoacrilato.   

Un particolare aspetto è quello delle frasche, usate discontinuamente per integrare o sostituire la mimetizzazione eseguita con le vernici. Non potremo applicarle come capita, come nella realtà bisogna tener conto delle parti in movimento, come liberi dovranno restare portelli e feritoie. Rami e foglie si possono fissare a maniglie od altri appigli che li possano sostenere, per il resto si dovrà procedere con cavetti da navimodellismo, tra i più fini. Importante cercare di dare realismo alla disposizione dei rami ed un aspetto irregolare alle loro dimensioni. La verniciatura delle frasche potrà essere aumentata di realismo usando gli acquerelli.    

                                               

a volte lo spazio disponibile sui mezzi sarà esiguo, altre volte potremo caricare di tutto, senza dimenticare l'interno del carro

                                   

carichi fissi, con varie sistemazioni e accessori di pronto utilizzo li possiamo caricare un pò dove c'è spazio

 

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